Il sociale in un welfare (quasi) immobile


La Direzione di Welforum.it | 27 Ottobre 2025

La sensazione è che il welfare sociale, quello di cui si occupa Welforum, stia evolvendo molto, molto piano, nel migliore dei casi, o sia fermo. La sensazione è che ci stiamo occupando, molto spesso, di cose marginali, dal peso specifico limitato. Distratti da un ampio rumore di fondo, ci agitiamo sugli aspetti organizzativi, gestionali, mentre manca un orizzonte, un respiro, una visione.

Il primo esempio riguarda la riforma dell’assistenza agli anziani, per come è nata e si è concretizzata: prima annunciata dal PNRR, poi disegnata con la legge delega (33/2023), ma ampiamente ridimensionata con il decreto che doveva attuarla (29/2024) e che ha mortificato molte aspettative (vedi qui). Come dire, un tentativo di cambiamento finito aspirato dall’omeostasi del sistema. Non completamente per fortuna, ma in buona parte. La riforma dell’indennità di accompagnamento è così diventata una sperimentazione marginale, che procede nel silenzio più generale.

Un po’ meglio sta andando sulla disabilità, con la sperimentazione dei “progetti di vita” (d. lgs. 62/2024) estesa a venti province e fino a tutto l’anno prossimo. In molti si aspettano, dopo, l’applicazione del dispositivo su tutto il territorio nazionale: vedremo quale sarà l’esito nel 2027. Intanto si corre il rischio di uno svuotamento del percorso che riguarda la nuova valutazione multidimensionale (vedi qui). E nel frattempo, il disegno di legge governativo sui caregiver familiari, a lungo annunciato, si è perso nelle nebbie.

Sui Leps permane lo sforzo di sostenerne finanziariamente lo sviluppo, ma nel quadro di una grande frammentazione delle linee di lavoro e delle risorse. Che siano di erogazione o di processo, per ogni livello essenziale vanno identificati obiettivi di servizio, costi, fabbisogni standard. L’unico Leps finanziato e quantificato è quello che riguarda il servizio sociale professionale (un assistente sociale ogni 5.000 abitanti). Siamo ancora lontani da un’organica messa a terra di un sistema di diritti esigibili, nel quadro di una riforma dell’autonomia differenziata di cui si sono perse le tracce.

Le famiglie con figli sono forse l’ambito dove si è agito un po’ di più, quasi solo con erogazioni monetarie. Il bonus nidi è cresciuto negli anni (vedi qui) ma riguarda ancora meno di due famiglie su tre con bimbi piccoli, mentre proprio sui nidi si è tornati indietro, con la riduzione degli obiettivi di dotazione a livello regionale dal 33 al 15% delle famiglie con nuovi nati. Il bonus mamme lavoratrici sale a 60 euro al mese l’anno prossimo, ma è solo per chi ha almeno due figli e con limiti di reddito e di età dei figli stessi, mentre il Piano nazionale per la famiglia 2025-27 ha come azione principale i Centri per la famiglia, realtà ancora lontane dall’affermarsi territorialmente. Alla fine di agosto, al Meeting di Rimini, Giorgia Meloni ha annunciato un nuovo piano casa per le giovani coppie, più volte evocato in questa legislatura, mai materializzato.

In tema di povertà, il passaggio dal Reddito di Cittadinanza all’Assegno di Inclusione ha segnato, come sappiamo, un depotenziamento della misura nazionale di contrasto, con una riduzione di oltre il 40% della platea e con programmi di inclusione e di formazione densi di criticità (si veda l’ultimo rapporto di Caritas Italiana). La legge di bilancio 2025 (207/2024) ha introdotto, in verità, alcune modifiche, ampliando le soglie di accesso, ma mantenendo l’obbligo ad adempimenti bizantini. Siamo così alle limature, come il cosiddetto bonus ponte, un contributo aggiuntivo per evitare scoperture economiche per le famiglie che rinnovano la domanda di assegno.

Sul terzo settore si assiste a ripetuti segnali di disattenzione. È recente l’allarme lanciato dal Forum circa il taglio delle risorse a sostegno delle attività di interesse generale del terzo settore (vedi qui), mentre risulta ancora priva di soluzione la questione del passaggio delle attività svolte da “IVA esclusa” a “IVA esente”, cosa che obbliga a impegnativi oneri amministrativi. Rispetto all’amministrazione condivisa, per quanto siano venute meno le resistenze legate alla legittimità della coprogrammazione e della coprogettazione e per quanto il tema compaia regolarmente nelle politiche di welfare (vedi qui e qui), permangono resistenze di tipo amministrativo (vedi qui) che rendono faticosa la loro concreta messa in atto.

In tema di immigrazione sono state stabilite per il prossimo triennio quote di ingresso maggiori rispetto al passato, ma ancora insufficienti, anche perché si traducono in un numero effettivo di permessi molto inferiore: lo documentano la campagna “Ero Straniero” qui e più di recente “Dataroom” di Milena Gabanelli qui. Il tutto in un quadro normativo totalmente superato (la Bossi-Fini è di 23 anni fa), con il surreale sistema “a chiamata”. Ma lo sappiamo, per il centrodestra è difficile smettere di considerare l’immigrazione come una minaccia e iniziare a trattarla come una risorsa.

Certamente sono state intraprese – negli ultimi due anni –  azioni apprezzabili, come il piano di assunzione di assistenti sociali per raggiungere il Leps “potenziamento del servizio sociale” e dei profili psico-educativi e amministrativi negli Ambiti territoriali sociali; come il tetto al 5 per mille portato a 610 milioni; come le linee guida per formare le badanti. Ma rimane la sensazione, a livello nazionale e su diverse partite, di qualche movimento dentro politiche ferme, tra l’affanno senza direzione e l’avanzare per frammenti, sperimentazioni e le sempreverdi misure a termine: i bonus (tanti, tutti molto selettivi, con molti “se” e molti “ma”).

In queste settimane cade il venticinquesimo della legge 328. Un’occasione per riflettere e avanzare proposte, che si potranno unire alle molte prodotte in questo quarto di secolo. I temi aperti sono tanti: forse abbiamo bisogno di un nuovo quadro normativo (il Cnel ha promosso un nuovo disegno di legge, qui). Ma soprattutto, abbiamo bisogno di rafforzare gli spazi, le competenze, gli strumenti di regia e di governo del sistema dei servizi, ai vari livelli. Ancora grande è il riflesso antico di rilanciare la palla a un piano superiore, nell’arena delle politics, dove si agitano in tanti, anziché rimanere in quello, meno seducente ma più concreto, delle policies. Siamo a un anno e mezzo dalle nuove elezioni politiche, un periodo, a tendere, di grandi promesse ma di pochi programmi. Sarà un anno e mezzo non sprecato, con decisioni di peso orientate a incidere sui profondi squilibri demografici e sociali che stanno crescendo nella società italiana, o un anno e mezzo di campagna elettorale? Fino a che punto siamo disposti a sopportare i costi sociali dell’inerzia?