La cura dopo la tempesta


Come hanno attraversato le badanti i lunghi mesi della pandemia? Come sta cambiando questa presenza, ormai più che ventennale, nel nostro paese? La crisi sanitaria ha colpito duro anche in questo settore: molte badanti sono rimaste senza lavoro, altre lo hanno visto modificato con sofferte conseguenze di prospettiva, di lavoro e di vita. Le dimensioni di questi cambiamenti non le conosciamo: abbiamo voluto iniziare a colmare questa lacuna.

 

Abbiamo realizzato una ricerca a dimensione nazionale nell’ambito del progetto “Time to care” sostenuto da Fondazione Cariplo, che fa il punto sulle badanti di oggi rispetto alla situazione del primo decennio degli anni Duemila. E abbiamo scoperto che è cambiato un mondo.

La ricerca verrà presentata in live streaming il 21 aprile: qui il programma dell’evento “La cura dopo la tempesta”, mentre il Rapporto di ricerca si trova qui.

La ricerca, a dimensione nazionale, è stata resa possibile grazie alla collaborazione di Acli Lombardia, Acli Colf nazionale e delle sue diverse sedi distribuite su tutto il territorio, e poi di Acli Varese, Acli Colf Milano, Saf Acli Milano, le cooperative Piccolo Principe e Ripari di Milano, Caritas Ambrosiana, Badando.it, Fnp Cisl Lombardia, VillageCare.it. Tutti, con le relative attività di sportello, si sono prodigati in mesi molto complicati.

Riprendiamo qui alcune delle evidenze raccolte, che ci consegnano una realtà insieme matura e segmentata.

 

Quello delle badanti è un mercato maturo non già sul lato della domanda di lavoro, che anzi aumenta inesorabilmente, muta nelle sue geometrie interne, familiari, si modifica in termini di deficit sanitari prevalenti, oggi sempre più di tipo cognitivo. È maturo sul lato dell’offerta. È maturo perché è bassissimo il turn-over, è senza dinamica evolutiva, ha grandi vincoli alla crescita (per l’assenza di flussi migratori regolati), e perché invecchia.

Rispetto a vent’anni fa, le badanti sono più anziane (vedi fig. 1), non sono molto più “insediate” nella società italiana, se intendiamo per questo vivere con la propria famiglia (metà di chi ha figli non li ha in Italia), riescono a lavorare molto di più solo di giorno e molto meno in convivenza, sono più disposte a essere formate ma mantengono distanza dal mondo dei servizi pubblici. Sono interessate all’uso di nuove tecnologie assistive, anche se non particolarmente dotate di competenze digitali, ma piuttosto tiepide nei confronti di soluzioni collaborative come la badante di condominio.

 

Fig. 1 – Distribuzione delle assistenti familiari per età. Confronto fra la situazione nei primi anni Duemila e oggi (anni Venti) (val. %).

 

Ed è un mercato segmentato: anzitutto per provenienza, dove ogni provenienza è accomunata da proprie abitudini, desideri, progetti. Poi è segmentato in base alla disponibilità al tipo di lavoro: si va dal ménage domestico tout court fino a un’assistenza serrata e “intima” (cura e igiene). È segmentato tra chi lavora a ore e chi è disposto alla coresidenza (esiste anche, ed è piuttosto ambìto, il segmento di chi opera nelle case di risposo, informalmente coadiuvando l’assistenza a singoli ospiti). È segmentato tra chi è assunto e chi non ha contratto, tra maschi e femmine.

La segmentazione aumenta la difficoltà a trovare un giusto incontro tra ciò di cui c’è bisogno e ciò che viene offerto. Con la fatica di cercare, nel mosaico di questo mercato, la persona giusta. Su un piano molto inclinato verso condizioni irregolari, dequalificate, aleatorie, a rischio di sfruttamento, fatte di tante solitudini che si incrociano.

“Incursioni” nel lavoro privato di cura

È possibile “agganciare” questo mercato, renderlo meno individuale, meno irregolare, più protetto e socializzato? Il “modello individuale” è realisticamente superabile? Nell’ultimo Rapporto Cergas Bocconi (Fosti et al., 2021), nel portafoglio dei servizi dei grandi player (enti gestori) nel campo del long term care figurano servizi residenziali, centri diurni, servizi domiciliari, ambulatori. Non figurano servizi di badantato “ritenendo di fatto impossibile competere con il prevalere di forme contrattuali in grigio o in nero, acquisite direttamente dalle famiglie” (pag. 40).

Alcuni tentativi realizzati in questi anni hanno cercato di smontare questo rapporto one-to-one attraverso formule diverse. L’idea di intermediare questo mercato può avere i suoi vantaggi, ma non è facilmente praticabile1. La tabella 1 mostra quattro ambiti oggetto di tentativi variamente promossi, con esiti alterni ma complessivamente modesti, tranne le azioni di matching domanda/offerta, che tuttora conoscono una certa diffusione.

 

Tab. 1 – Quattro ambiti a sostegno del lavoro privato di cura: sviluppi e aspetti critici

Filiera Grado di sviluppo Punti di attenzione
1.     Sportelli domanda/offerta

Relativamente diffusi, su iniziativa del mondo profit e del terzo settore.

Apprezzato soprattutto il supporto fiscale.

Crescono lentamente, sul passa parola, fondamentale la reputazione che si costruiscono.

Capacità di lavorare in rete con altri soggetti viene apprezzata.

2.     Badante di condominio Alcune sperimentazioni avviate, esiti incerti. Funziona nella misura in cui c’è una “centrale operativa” di coordinamento, e un soggetto che la finanzia
3.     Lavoro somministrato Sperimentazioni estese in alcuni contesti territoriali. Funziona per esigenze di assistenza limitate (fino a 8-10 h settimanali). Oltre diventa soluzione diseconomica per le famiglie

4.     E-care, telemedicina,

App su smartphone

 

Sviluppo ancora embrionale.

Percezione di strumenti “laterali”, supportivi.

Digital divide.

C’è un grande lavoro da fare con molte famiglie sull’uso di dispositivi domestici e il loro potenziale di supporto non invasivo.

 

Di sportelli c’è stata una proliferazione, per iniziativa del mondo sia profit che nonprofit, si sono costituite reti regionali di sportelli, come in Veneto. Guardando le diverse configurazioni, ne riconosciamo di due tipi:

  • Sportelli “all inclusive”, dove viene proposta alla famiglia la candidata più adatta, ci si cura degli aspetti fiscali, le sostituzioni e così via. Sono servizi solitamente con una gestione tutta interna e tutta privata, con scarse relazioni con il territorio. La forma di relazione (anche economica) che si stabilisce è di tipo “prestazionale”. Modello tipico dei franchising
  • Sportelli “cerniera”, ossia luoghi che, oltre a fare incontrare domanda e offerta, offrono una serie di servizi come la lettura del bisogno, il tutoring domiciliare, la conciliazione delle divergenze, la formazione dei caregiver, la connessione con una gamma di servizi accessori. Secondo un modello “Hub & Spoke”: l’idea che ci sia un “mozzo” centrale collegato con dei raggi che diramano risorse e risposte attraverso collegamenti con il territorio: ente pubblico, cooperative, patronati, volontariato.

 

Difficile dire quale dei due modelli abbia più efficacia, perché in realtà riguardano aspettative diverse, segmenti di domanda differenti.

Una mappa aggiornata delle “incursioni” nel lavoro privato di cura di cui alla tabella della pagina precedente è un compito necessario che affidiamo ad un prossimo progetto, in fase di avvio. Nonostante i toni talvolta celebrativi nei resoconti di questi diversi tentativi, rimane limitato il loro impatto complessivo sul lavoro privato di cura (qualificazione, regolarizzazione). E infatti circola anche una certa disillusione, proprio in un momento, il lento ridursi della pandemia, che dovrebbe liberare nuove energie e percorsi, per potenziare socializzazione delle responsabilità di cura e tutele, in un mercato ancora molto irregolare, privato e chiuso in sé stesso.

In cerca di una politica

Sostenere e qualificare il lavoro privato di cura attraverso singole iniziative locali rimane un’impresa titanica. La filiera che dovrebbe legare formazione, certificazione delle competenze, azioni di sportello, sostegno dei processi, fa grande fatica a chiudersi. Occorre un salto di livello, l’apertura di spazi che sblocchino i vincoli esistenti: sui flussi migratori, la capacità di spesa delle famiglie, i processi di strutturazione e finanziamento dell’intero settore.

Senza azioni intraprese a livello nazionale i risultati raggiunti rimangono limitati e circoscritti2, tranne per lodevoli eccezioni o in presenza di investimenti ingenti che pochi si possono permettere.

Il lavoro privato di cura continuerà a mantenere una prevalente natura individuale e irregolare senza interventi centrali e coordinati che vadano ad agire su fattori-chiave per l’emersione e la sua qualificazione: la riapertura (regolata, selettiva) di una immigrazione per motivi di lavoro; incentivi alla regolarizzazione attraverso un diverso sistema fiscale; una riforma dell’assistenza domiciliare pubblica, che va potenziata, estesa, collegata al lavoro privato di cura; una nuova e diversa indennità di accompagnamento, che non ne perda gli elementi di garanzia e universalismo. Tutti elementi su cui c’è un’ampia convergenza da anni da parte di ricercatori di diversa provenienza3.

  1. Il differenziale di costo è l’elemento che frena di più l’ingresso della cooperazione sociale nel mercato. Tra una assunzione da parte della famiglia e una prestazione offerta da una cooperativa, che deve applicare il contratto delle cooperative, il differenziale è di oltre il 40 per cento. Il lavoro somministrato supera questo problema.
  2. Come per esempio in Lombardia, dove la legge regionale 15/2015, un’ottima legge, fatica ad essere implementata. Si rinvia su questo all’analisi proposta in Pasquinelli S., Rusmini G. (2021), Le assistenti familiari e il lavoro privato di cura, in: NNA – Network Non Autosufficienza, L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 7° rapporto 2020/2021, Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore
  3. Per una rassegna: NNA – Network Non Autosufficienza (2021a), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 7° rapporto 2020/2021, Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore.