La terza stagione del Servizio civile in Italia


Licio Palazzini | 23 Maggio 2017

Con l’approvazione della Legge 106/2016 e del Decreto Legislativo 40/2017 si è aperta la fase della costruzione concreta di una terza stagione del servizio civile in Italia.

 

Dal 1972 al 2004 abbiamo avuto il servizio civile alternativo per gli obiettori di coscienza al servizio militare obbligatorio, dal 2001 ad oggi Servizio Civile Nazionale (SCN) su base volontaria per uomini e donne, da oggi Servizio Civile Universale (SCU), aperto a tutti coloro, uomini e donne regolarmente residenti in Italia, che chiedono di farlo.

 

Da più parti, negli ultimi anni, si era accentuata la spinta a riformare l’istituto del SCN, sia per correggerne i difetti, in parte legislativi e in parte attuativi, sia per meglio valorizzare il contributo di questo istituto pubblico alla vita del Paese. Decisivo è stato l’impulso dato dal Governo Renzi e riconfermato da quello Gentiloni, dopo la salvaguardia della sopravvivenza del servizio civile con il Governo precedente.

 

Sarebbe riduttivo però inquadrare il testo della riforma come mera correzione di difetti connessi alla previgente normativa, dal momento che esso presenta anche alcune innovazioni sostanziali circa la natura e l’inquadramento del servizio civile.

 

Il SCU innova l’attuale SCN su sette grandi assi.

  1. La tipologia e il numero di giovani a cui si rivolge, introducendo alcune misure di flessibilità nello svolgimento del servizio civile
  2. L’organizzazione degli enti accreditati, i soggetti abilitati a accogliere i giovani
  3. Le finalità e i settori della programmazione
  4. Il passaggio dalla progettazione annuale alla programmazione triennale
  5. La promozione della dimensione internazionale ed in particolare europea dell’esperienza
  6. La distribuzione delle competenze fra lo Stato e le Regioni e Province Autonome
  7. La governance del Servizio Civile Universale

 

La tipologia e il numero di giovani a cui si rivolge

 L’innovazione sostanziale consiste nell’orientamento a trasformare una misura tendenzialmente limitata e connessa a opportunità di finanziamento contingenti, in un servizio civile “universale”, cioè idealmente fruibile da tutti i giovani che ne facciano richiesta.

L’accesso è previsto per i cittadini italiani, di entrambi i sessi, per i cittadini dell’Unione Europea e per i giovani stranieri regolarmente soggiornanti. E’ significativo che questa apertura avvenga dentro l’Art. 52, primo comma della Costituzione, un contesto che apre interessanti prospettive anche per le Forze Armate, in chiave di Unione Europea.

Seppure il testo non vada a instaurare un effettivo diritto soggettivo a svolgere il servizio civile, si tratta, da un punto di vista degli indirizzi politici, di un’innovazione sostanziale, che mira a rendere disponibile ai giovani fuori dai circuiti dell’istruzione, della socializzazione e del lavoro, la possibilità di vivere l’anno di servizio civile e ricevere i suoi benefici educativi, formativi, di pocket money. Nel DL. 40/2017 resta però su base annuale la programmazione finanziaria.

In coerenza con questa impostazione, all’Art. 4, comma 3, lettera a) del DL. 40/2017 si parla esplicitamente di misure “volte a favorire giovani con minori opportunità”. Si apre una decisiva sfida per le istituzioni e le organizzazioni di effettiva capacità di coinvolgere larghe fasce giovanili. Una sfida persa dal 2001 per carenza di investimento finanziario statale. Sono state infatti quasi 1 milione le domande presentate dai giovani, ma solo 400.000 lo hanno potuto svolgere. Nei provvedimenti operativi andrà evitato l’avvitamento burocratico che ha segnato altre politiche verso cittadini con minori opportunità, così come il decisore politico dovrà, con largo anticipo, stabilire di quali minori opportunità si parla, per dare il tempo alle organizzazioni di prepararsi.

Rispetto alla normativa attuale vengono fissate norme di vantaggio per i partecipanti, quali la riduzione dell’orario minimo settimanale a 25 ore (oggi 30) a parità di compenso mensile, la previsione di un adeguamento del compenso all’inflazione, viene neutralizzato il compenso ai fini del reddito annuale, viene formalizzata la rappresentanza dei giovani.

Viene introdotta una durata variabile del periodo di SCU. Da un minimo di 8 a un massimo di 12 mesi (Art. 8, comma 1 lettera g L. 106/2016). Una flessibilità su cui tutti gli attori sono d’accordo. Si tratterà di capire se viene piegata alle esigenze finanziarie (a parità di fondi statali più posti da mettere a bando) oppure se è collegata alla effettiva tipologia dell’intervento proposto dall’ente accreditato.

Vengono infine confermate le disposizioni in essere dal 2002 in materia di valorizzazione delle capacità acquisite dai giovani durante il servizio civile. Su questo punto il Governo e le Regioni, ognuno per la loro competenza, si giocano una parte consistente di credibilità verso i giovani, così come della possibilità che il servizio civile sia una potente risorsa a disposizione della società e dell’economia nazionale, attraverso la valorizzazione del capitale umano e sociale che viene generato.

Per concludere questo primo tema, è curioso che questa visione di grande allargamento degli accessi al servizio civile sia stata ripresa ad aprile 2017, ma basata su un obbligo da imporre ai giovani. Il dibattito sulla natura della leva è un evergreen, che ha generato grandi discussioni generali ma pochissimi fatti. Peccato, perché la società italiana avrebbe molto da guadagnare, se ci fosse un’infrastruttura pubblica, di terzo settore, di soggetti privati e accademici che, sia attraverso le Forze Armate che il SCU, “produce” sicurezza, coesione, crescita di capitale umano e sociale, con il coinvolgimento diretto dei giovani.

 

Enti accreditati,e soggetti abilitati ad accogliere i giovani

Per sostenere l’ambizione del SCU è solo in parte adatta l’attuale situazione delle organizzazioni che possono presentare i progetti e impiegare i giovani.

Da una parte esiste un serbatoio vastissimo di organizzazioni pubbliche e senza scopo di lucro che sono già accreditate al SCN (16.043 enti accreditati, organizzati in 4.066 enti titolari di accreditamento)1, dall’altra, una larga parte sono di dimensioni esclusivamente locali e senza staff dedicati alla gestione di tutti i compiti richiesti, e per di più organizzati in 21 albi differenti.

A fronte di 231 enti accreditati con dimensione di rete nazionale ci sono 3.835 enti di dimensione in gran parte provinciale o comunale. Questi enti titolari di accreditamento hanno la responsabilità su 53.035 sedi di attuazione2. Di queste 39.981 sono rappresentate dai 231 enti con dimensione nazionale, 13.054 dai 3.835 con dimensione locale.

In termini di istituzione pubblica di riferimento 138 enti per 26.453 sedi sono iscritti all’Albo Nazionale, 3.928 enti per 26.582 sedi sono iscritti ai 20 Albi Regionali e Provinciali, sulla base di un accordo Stato-Regioni del 2006.

In questi anni hanno convissuto, senza sviluppare logiche di scambio e integrazione e, soprattutto in tema di controlli e ispezioni, il solo Albo Nazionale ha fatto azioni coerenti e continuate. Tranne poche eccezioni, per carenza di personale, le Regioni non hanno svolto lo stesso compito.

Di fronte a questa situazione, la normativa del SCU si propone di innovare profondamente, con misure che spingono alla dimensione di rete, sia sul territorio nazionale che su quelli regionali, fissando l’obbligo per ogni ente accreditato al nuovo Albo di avere staff dedicati e almeno 100 sedi di attuazione, prevedendo un solo Albo, la cui tenuta è affidata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. In sede di conversione del Decreto legislativo, prima avvisaglia delle difficoltà, è stata inserita una norma che prevede sezioni regionali per enti di dimensione esclusivamente regionale, con un minimo di 30 sedi e comunque con staff dedicati.

Adesso si tratta di capire come operativamente e in quali tempi questa misura verrà attivata, evitando che il patrimonio degli enti esclusivamente locali venga disperso, ma operando velocemente perché tutti gli enti abbiano standard qualitativi omogenei.

 

Le finalità e i settori della programmazione

Sul piano giuridico l’innovazione più rilevante rispetto all’attuale SCN è la concentrazione delle finalità dell’istituto in due aree, rispetto alle cinque precedenti.

Il SCU è “finalizzato, ai sensi degli artt. 52, primo comma e 11 della Costituzione, alla difesa non armata e nonviolenta della Patria, all’educazione alla pace tra i popoli, nonché alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, anche con riferimento agli Artt. 2 e 4, secondo comma, della Costituzione” (Art. 8, comma 1, lettera a) della legge 106/2016, ribadito all’Art. 2 del DL 40/2017).

Queste finalità sono realizzate attraverso attività in specifici settori, elencati all’Art. 3 del DL. 40/2017.

  1. Assistenza;
  2. Protezione civile;
  3. Patrimonio ambientale e riqualificazione urbana;
  4. Patrimonio storico, artistico e culturale;
  5. Educazione e promozione culturale e dello sport;
  6. Agricoltura in zone di montagna, agricoltura sociale e biodiversità;
  7. Promozione della pace fra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata, promozione e tutela dei diritti umani, cooperazione allo sviluppo, promozione della cultura italiana all’estero e sostegno alle comunità di italiani all’estero.

In questa elencazione ci sono conferme dei settori dell’attuale SCN, ma anche innovazioni quali la riqualificazione urbana o l’agricoltura sociale e soprattutto tutto il settore dell’educazione alla pace, che esprime la complementarietà potenziale fra Forze Armate e SCU nella difesa della Patria.

Dalla progettazione annuale alla programmazione triennale

Con l’Art. 8, comma 1, lettera b) della legge 106 e gli Artt. 4 e 5 del DL. 40/2017 si è fatto un passo avanti nella definizione dell’altra grande innovazione affidata al SCU.

Fino ad oggi il SCN prevede la presentazione ogni anno al Dipartimento e agli Uffici Servizio Civile delle Regioni e Province Autonome di progetti da parte degli enti accreditati. Mentre per enti più piccoli viene fissato un tetto di posti richiedibili, per gli enti più strutturati, presenti sia nell’Albo Nazionale che in alcuni Albi Regionali, non viene fissato questo tetto. Successivamente ad una valutazione dei progetti depositati vene prodotta una graduatoria, e in base alle risorse finanziarie disponibili su base annuale, viene fissato il punteggio soglia per mettere a bando i progetti a cui i giovani possono fare domanda. Nel corso di 15 anni abbiamo attraversato periodi in cui neanche il 10% dei progetti depositati andava a bando e periodi, come il 2016 e il 2017 in cui la gran parte dei progetti depositati è andata a bando. Nel 2017 saranno circa 49.000 i posti messi a bando. Questa incertezza strutturale non ha giovato ad una stabilizzazione qualitativa delle capacità di accoglienza, impiego e valutazione dei giovani e dell’impatto delle attività.

Per questo il SCU stabilisce il passaggio da specifici progetti ad una “programmazione del SCU, realizzata con un Piano Triennale, modulato in piani annuali ed attuato mediante programmi di intervento, proposti dagli enti di SCU nell’ambito di uno o più settori, definiti all’articolo 3.” (Art. 4 comma 1 del DL 40/2017).

“Il Piano triennale e i Piani annuali, in relazione a ciascun anno, contengono la definizione degli obiettivi e degli indirizzi generali in materia di SCU, anche al fine di favorire la partecipazione dei giovani con minori opportunità; la programmazione degli interventi in materia di SCU, per l’Italia e per l’estero, anche a carattere sperimentale e l’individuazione di quelli ritenuti prioritari; l’individuazione degli standard qualitativi degli interventi.” (Art. 4, comma 3, del DL 40/2017)

Se queste sono le indicazioni per i piani annuali e i programmi di intervento, la norma indica che “I programmi di intervento possono riguardare uno o più settori di cui all’articolo 3, anche aventi ad oggetto specifiche aree territoriali, e si articolano in progetti.” (Art. 5 comma 1 del DL 40/2017)

“I progetti indicano le azioni, con riferimento ai settori inseriti nel relativo programma di intervento; gli ambiti territoriali, ivi comprese le sedi di attuazione…; il numero di operatori volontari e la loro distribuzione…; il personale dell’ente coinvolto nello svolgimento delle attività, in relazione alla tipologia e alla dimensione dei progetti” (Art. 5, comma 2 del DL 40/2017).

Giunti al termine, un po’ confusi, di questo slalom di definizioni e di documenti, rispetto all’attuale situazione viene finalmente superata la rigida distinzione per settori, che ha incentivato la separatezza degli interventi. Aggregarsi fra soggetti diversi, non solamente impegnati ad impiegare i giovani, ma anche a condividere risorse umane e strumentali, e anche economiche, questa l’indicazione. Vengono opportunamente mantenuti i progetti al solo fine di mettere in condizione i giovani di conoscere le attività per le quali faranno domanda.

La dimensione internazionale ed in particolare europea

Il SCU continua a prevedere progetti all’estero, in ogni parte del mondo. Gli viene affidata però una missione particolare. Concorrere alla esperienza diretta dei giovani nella costruzione della cittadinanza anche europea. Questa missione viene esplicitata con la disposizione all’art. 8, comma 1 lettera g) della legge 106/2016 e all’Art. 12, comma 1 del DL 40/2017 ove si stabilisce di poter “effettuare un periodo di servizio, fino a tre mesi, in un Paese dell’Unione Europea”. Qualora questa disposizione venisse adeguatamente sostenuta e integrata con alcuni Programmi Europei (Erasmus+, SVE), potrebbe concretamente accrescere il contributo del servizio civile all’unione dei cittadini, oltre ad irrobustire la collaborazione internazionale del Terzo Settore italiano.

 

La distribuzione delle competenze fra lo Stato e le Regioni e Province Autonome

A questo proposito il testo introduce elementi di chiarezza, perché mette in capo allo Stato le funzioni di programmazione, organizzazione, accreditamento e controllo del SCU (Art. 8, comma 1, lettera d) della legge 106/2016 e Art.6 del DL 40/2017). Nell’art. 9 del DL 40/2017 viene indicato l’elenco dei documenti sui quali le Regioni e Province Autonome vengono sentite (Piano triennale e Piani annuali, valutazione dei programmi di intervento, parere sul documento di programmazione finanziaria) e vengono indicate le funzioni che possono attuare, previo accordo bilaterale con la Presidenza del Consiglio (formazione del personale degli enti, controllo sulle attività da questi svolte, valutazione dei risultati raggiunti, ispezioni).

L’aspetto contradittorio di questo impianto è l’invarianza di costi e di organico che deve mantenere l’organo della Presidenza del Consiglio, chiamato ad assumere carichi di lavoro ben superiori rispetto all’esistente.

La governance del Servizio Civile Universale

Questo complesso sistema ha una governance molto scarna. La Presidenza del Consiglio predispone il Piano triennale e i Piani annuali che “sentite le amministrazioni competenti per i settori previsti dall’art. 3 e le Regioni, sono approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere della Consulta Nazionale per il Servizio Civile Universale e della Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano” (Art. 4, comma d del DL 40/2017).

E’ una governance che non prevede, a differenza di altri Paesi (USA, Francia, Germania) un board ove i principali stakeholders istituzionali e sociali si confrontano e elaborano strategie unitarie da tradurre nell’atto di indirizzo da sottoporre al Presidente del Consiglio dei Ministri. Un Dipartimento della Presidenza del Consiglio fra Ministeri, Regioni e, anche se in misura inferiore, Terzo Settore e Comuni rischia di essere organo subordinato alle esigenze di ognuno, come già accaduto dal 2014 con alcuni bandi tematici dei Ministeri. Questo elemento di debolezza è stato acuito dagli esiti del referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016.

La riconferma del Titolo V influirà molto probabilmente anche sulla governance del SCU, a cominciare dalle competenze delle Regioni e Province autonome. In effetti, fin dal 2002 era sorto un conflitto, arrivato più volte alla Corte Costituzionale, fra lo Stato e le Regioni e Province Autonome su chi fosse titolare delle competenze per la gestione del SCN e per la gestione delle risorse, comunque statali.

Infatti il nodo culturale e politico centrale, che si riproporrà anche nel SCU, è se il sistema si fonda sulla centralità delle finalità o delle attività. In altri termini, sarà trovato un equilibrio fra la funzione pratica del SCU (attività legate ai settori) e la funzione educativa rivolta ai giovani? Riuscirà il SCU a dare respiro nazionale e internazionale alle attività legate ai singoli territori?

Saranno le dinamiche politiche e i rapporti di forza fra Governo e Regioni e Province Autonome a segnare gli esiti, magari incerti e dinamici, di questo tema. Incertezza che certo non gioverebbe alla necessaria pianificazione degli interventi che sottintende una programmazione triennale delle attività.

  1. Fonte: accreditamento a febbraio 2017 dati Dipartimento Gioventù e SCN
  2. Sede di attuazione: struttura accreditata per accogliere i giovani