Le badanti non crescono più


Sergio Pasquinelli | 13 Luglio 2017

In un Paese che conta 13,4 milioni di anziani e dove gli ultra 65enni aumentano al ritmo di 260.000 all’anno, i servizi per la non autosufficienza sono in affanno. Le strutture residenziali, oltre ad essere fortemente carenti in molte regioni, sono servizi cari e spesso rigidi rispetto a un’utenza differenziata. I Sad comunali sono diventati servizi di nicchia, come sta meticolosamente illustrando Rosi Tidoli su LombardiaSociale.it. Mentre l’Adi delle Asl continua ad avere un carattere fortemente prestazionale/infermieristico, poco collegato ai servizi sociali dei Comuni.

E le badanti? Di recente Inps ha pubblicato i dati 2016 sui lavoratori domestici regolarmente assunti, distinguendo tra colf e badanti. Mentre le colf in regola proseguono una diminuzione iniziata cinque anni fa, il numero delle badanti – regolarmente assunte – è sostanzialmente stabile.

 

Numero di badanti e colf iscritte all’Inps negli ultimi dieci anni

Fonte: Inps, Osservatorio sui lavoratori domestici

 

Ma i dati Inps dicono solo una parte della verità. Infatti, se il mercato regolare si attesta a quasi 400.000 unità, sappiamo che i lavoratori irregolari, privi di contratto, sono almeno altrettanti, secondo una cauta stima. Noi stimiamo la presenza di un complesso di almeno 840-850.000 badanti totali nel nostro paese. Una stima affinata dopo oltre 10 anni di lavoro su questo tema, che unisce fonti ufficiali e fonti informali. Essa si basa su un calcolo che utilizza i dati Inps relativi ai lavoratori domestici, i dati sugli ingressi di cittadini non comunitari attraverso le quote flussi, quelli sulla presenza dei cittadini comunitari, nonché la testimonianza di molti interlocutori – nei centri di ascolto, nei sindacati, nelle associazioni, nel volontariato, nella cooperazione sociale, nei servizi impegnati nell’orientamento e accompagnamento all’inserimento lavorativo – che ci aiutano a mettere a fuoco le dimensioni dell’irregolarità. Sia dal punto di vista della presenza nel paese (mancanza del permesso di soggiorno), sia dal punto di vista contrattuale.

Una cattiva notizia

Difficile dire quanto il mercato nero stia compensando lo stallo di quello regolare. I segnali che raccogliamo sui territori ci parlano di una crescita del mercato non dichiarato, ma a ritmi contenuti. E non è una buona notizia. Perché la capacità ricettiva del sistema dei servizi, domiciliari e residenziali, è quella che è e non vede a sua volta aumenti di rilievo.

Il tutto ci porta a pensare che gli oneri ricadano, tanto per cambiare, sulle famiglie, che l’auto-risposta familiare sia in crescita, e che il welfare fai-da-te dilaghi: per necessità, non per scelta. Dove chi si può permettere un’assistenza a pagamento, la trova, mentre chi non può permettersela è inevitabilmente costretto a cavarsela da solo, mettendo a rischio equilibri e bilanci familiari spesso già precari.

Lo ha detto senza mezze misure Anneli Anttonen, professore all’Università di Tampere e studiosa di social care policies alla conferenza su “Transforming Care” lo scorso 27 giugno al Politecnico di Milano: i sistemi di cura che abbiamo costruito negli anni, fondati sul binomio servizi domiciliari/servizi residenziali, non bastano più, hanno bisogno di essere completamente riconfigurati. Abbiamo bisogno, soprattutto in paesi demograficamente problematici come il nostro, di una nuova cittadinanza per le politiche sociali, nuovi modelli di offerta, forme di governance aperte, nuove combinazioni tra risposte, attori e risorse.

Riforme di sistema: nuove possibilità

In un settore a lungo segnato dall’inerzia, è una notizia la presenza di un Tavolo formale presso il Ministero del lavoro che si sta occupando di definire il nuovo Piano triennale per la non autosufficienza, che secondo il Decreto del Ministero del lavoro dello scorso 26 settembre deve perseguire due soli obiettivi:

  1. definire i criteri per accertare la “gravissima” disabilità, che riguarda la Sla e una serie di altre patologie (art. 3). Lo stesso decreto infatti vincola le Regioni a usare il 40% delle risorse del Fondo per la non autosufficienza a beneficio di questa tipologia di destinatari, e il rimanente per la disabilità “grave”;
  2. lo sviluppo di interventi, a valere sulle risorse del Fondo, “nell’ottica di una progressione graduale, nei limiti delle risorse disponibili, nel raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale”.

Difficile dire se i tempi a disposizione consentiranno di raggiungere questi risultati, nei limiti di una legislatura che ha ancora pochi mesi di vita.

Allo stesso tempo FNP CISL ha presentato una proposta di legge di riforma delle politiche per la non autosufficienza, che propone l’istituzione di un Fondo ad hoc alimentato tramite una tassa di scopo, e che parla di riforma della indennità di accompagnamento: la principale misura di assistenza alla popolazione disabile e anziana non autosufficiente in Italia. Una misura per cui si spendono più di 12 miliardi di euro l’anno. Che un sindacato come la CISL si ponga finalmente il tema di migliorare una misura come l’indennità di accompagnamento costituisce una notizia.

Leggiamo nella relazione illustrativa della proposta:

“l’assegno, con i suoi 515,43 euro mensili (importo aggiornato al 2017), si rivela sempre più una misura rigida, generica e inadeguata a fronteggiare bisogni assistenziali complessi e diversificati. Il punto è che mancano griglie nazionali di valutazione e l’erogazione dell’indennità è interamente rimessa al sindacato delle singole Aziende Sanitarie Locali. Inoltre, non vi è la possibilità di effettuare una graduazione delle risorse sulla base della gravità del bisogno ed è totalmente assente una gestione di queste ultime finalizzata a regolarizzare i rapporti di cura informali (si pensi al fenomeno delle badanti irregolari). In altri termini, oggi vige un modello di intervento fondato su trasferimenti alle famiglie (come è tradizione dei welfare mediterranei) senza alcuna forma di controllo sull’utilizzo delle risorse, né meccanismi di incentivazione fiscale per il riconoscimento del lavoro di cura informale, o l’emersione del lavoro nero”.

 

Tutti elementi condivisibilissimi, che da anni noi, e molti con noi, stiamo evidenziando. Dunque anche chi in passato ha espresso una certa resistenza a promuovere modifiche dello status quo, sta ora esprimendo un interesse prezioso, rilevante, attorno a cui vanno tessute alleanze e convergenze.

Il mercato del lavoro della cura, delle badanti, potrà trarre beneficio di una riforma di questa rilevante misura – l’indennità di accompagnamento – e di una riforma complessiva del sistema di protezione della non autosufficienza. Verso un mercato meno isolato, più qualificato e adeguato a una domanda che cambia, nei numeri e nella qualità delle cure necessarie.