Le politiche di welfare e i servizi in Lombardia

Quali scenari per il futuro?


Ugo De Ambrogio | 3 Febbraio 2023

L’articolo è stato pubblicato anche su LombardiaSociale.it

 

Il nostro sistema di welfare lombardo ha una storia complessa e frammentata, ed è stato fortemente messo alla prova dagli ultimi anni di pandemia e di difficile uscita dalla crisi economica e sociale da questa provocata; pertanto è assai difficile oggi prevedere che tipi di sviluppi potrà avere per il futuro prossimo. È però a tutti evidente che tale sistema dovrà essere riformato con cura, dati i forti processi di cambiamento in atto nei bisogni dei cittadini.1

Lo shock della pandemia ha infatti creato una grande discontinuità, ha amplificato disuguaglianze, fragilità, vulnerabilità e problemi già esistenti e, al tempo stesso, ha aumentato la consapevolezza pubblica della centralità del welfare e dell’importanza di avere un sistema di servizi non residuale, non marginale, ma cruciale per lo sviluppo sociale.2

L’analisi di quanto perviene agli osservatori dell’Irs che si occupano del campo del welfare a livello regionale (LombardiaSociale.it) e nazionale (Welforum.it) suggeriscono cinque scenari di futuro rispetto ai quali appare essenziale dotarsi di forte programmazione dal livello di governo regionale, anche se ipotizzare scenari di futuro in tempi di post pandemia, guerra, crisi economica ed energetica, inflazione galoppante, appare molto complesso e per certi versi azzardato.

Il primo scenario riguarda ovviamente le nuove diseguaglianze e povertà: l’emergenza Covid-19 ha infatti ampliato la povertà in termini di allargamento della platea e acuirsi dei bisogni. Come è noto, sono aumentate e continuano ad essere in aumento le diseguaglianze e siamo in presenza di un acuirsi delle differenze: tra gruppi di popolazione e tra territori più e meno deprivati. I poveri saranno sempre più poveri e nuovi poveri allargheranno la platea: basti pensare ai numerosi lavoratori che hanno già perso il lavoro, o con buona probabilità lo perderanno in considerazione dell’impossibilità per le aziende di riaprire, o dei nuovi settori che, malgrado abbiano resistito all’emergenza sanitaria, rischiano invece di chiudere o ridurre ampiamente le proprie fette di mercato a causa della crisi energetica; ma anche ai giovani neet, ai minori di famiglie di lavoratori monoreddito, ecc.

Il secondo scenario riguarda bambini e adolescenti: il trauma delle lezioni a distanza ha incrementato la dispersione scolastica e in ordine ai bambini in età prescolare ancora siamo lontani dal promuovere (nonostante le buone intenzioni del PNRR) nidi e servizi come diritto alla socialità e all’educazione. In particolare siamo in presenza di un sensibile aumento della povertà educativa, che riguarda essenzialmente bambini e ragazzi:

  • appartenenti a famiglie a scarso capitale culturale, poco connesse e poco digitalizzate, per i quali la scuola non è più stata un diritto ma un nuovo elemento di esclusione e disuguaglianza;
  • che hanno faticosamente tenuto i rapporti con i genitori a distanza: perché allontanati, detenuti o separati;
  • che vivono in nuclei familiari conflittuali, o in contesti caratterizzati da violenza verbale, fisica, psicologica, che sono stati privati, per lungo tempo, dell’affiancamento educativo da parte di educatori a domicilio e nei centri diurni;
  • con disabilità, per i quali gli anni della pandemia hanno portato spesso all’interruzione di terapie specialistiche, frequenza dei centri riabilitativi e accesso agli spazi di socialità, senza più la presenza di educatori domiciliari o la frequenza di centri diurni per minori;
  • con frequenti manifestazioni di isolamento (gli adolescenti) e di consumo di sostanze che portano a nuove dipendenze.

Ci troviamo oggi di fronte a bambini e ragazzi che escono dai due anni di emergenza sanitaria portando bisogni ancora più accentuati, in particolare per quanto riguarda quelle fasce di popolazione già prima considerate fragili, e che oggi lo sono ancora di più.

Il terzo scenario è in stretta connessione con gli scenari relativi a disuguaglianze e povertà educativa, sopra citati, e concerne il cosiddetto welfare abitativo. Per quanto riguarda i contesti abitativi possiamo infatti prevedere le seguenti dinamiche:

  • nei contesti privati si sta verificando e si verificherà un aumento delle difficoltà a sostenere le spese legate all’abitazione (affitto, mutuo e spese di condominio), anche da parte di chi fino ad ora ha potuto farvi fronte. Una volta superate le misure di garanzia che bloccavano gli sfratti, e ancora più in relazione all’aumento dei prezzi legati alla crisi energetica e all’inflazione, sono già in aumento, e lo saranno sempre di più, gli sfratti e i decreti ingiuntivi legati alla morosità, e dunque l’aumento di persone che si rivolgeranno ai servizi sociale per richiedere forme di supporto;
  • nei contesti di edilizia residenziale pubblica aumenterà la morosità e rischiano di essere ancora più trascurate le necessità manutentive degli immobili; persone già vulnerabili e beneficiari di housing sociale non saranno più in grado neanche di sostenere canoni concordati con il conseguente rischio di aumento di situazioni di morosità anche negli alloggi sociali. Si profila il rischio concreto di un aumento di conflitti di vicinato già presenti, o di nuovi conflitti, anche intra-familiari, a causa della permanenza forzata nell’abitazione e dello stato di stress emotivo delle persone.

Il quarto scenario riguarda la popolazione migrante, che in alcuni territori del nostro paese sta raggiungendo, grazie alle nuove generazioni, quasi un quarto della popolazione complessiva. Tale popolazione è spesso dotata di particolari fragilità ed è stata particolarmente colpita dall’emergenza sanitaria. Inoltre i flussi recentemente ripresi, in particolare dall’Africa attraverso il mediterraneo e quelli legati ai conflitti (in Afghanistan, in Ucraina, ecc.), genereranno ulteriori disuguaglianze, escludendo ampi settori di popolazione straniera dall’esigibilità dei propri diritti. Questo lascerà spazio alle già diffuse pratiche di sfruttamento, sacche di povertà e di microcriminalità.

Va considerato infine, come quinto scenario, un’ampia area di fragilità legata alle persone con disabilità, giovani e adulte, e le persone anziane non autosufficienti, sostenute da un sistema di offerta che si è rivelato assai fragile e che richiede ampi ripensamenti. In particolare relativamente agli anziani, la demografia e il calo lento ma inesorabile dei caregiver familiari tengono e terranno alta la domanda di assistenza, nei confronti dei servizi pubblici e del lavoro privato di cura, ancora poco regolamentato e regolato. Inoltre su questo fronte vanno anche considerati i processi di digitalizzazione che, per migliorare effettivamente la qualità della vita della popolazione fragile, richiedono di essere sostenuti da percorsi di “digital accessibility”, oggi assai poco presenti.

L’evoluzione dei bisogni, qui tratteggiata in modo sintetico e incompleto, e i fondi che oggi in dimensioni non così scarse come eravamo abituati negli anni più recenti, sostengono il welfare in Lombardia, rendono essenziale che, si rilanci una fiorente stagione di programmazione sociale di cui, sia a livello nazionale che regionale (con i nuovi piani di zona), si vedono interessanti segnali.

In questo contesto di rinnovata attenzione alla programmazione sociale, è auspicabile ed importante che gli sforzi e le energie dei programmatori sociali siano dedicati alla costruzione di risposte ai bisogni, aumentando le possibilità di tutti i cittadini di sostenere le crisi e gli shock, di reagire alle condizioni di fragilità che devono affrontare.

Programmare welfare oggi è pertanto funzionale a questi scopi; infatti se non si programma, il nostro sistema rischia di prendere derive che oggi troviamo già spesso presenti nel sistema italiano e anche in altri paesi. Il rischio è che risposte frammentarie, non regolamentate, non ispirate da direzioni strategiche (i servizi fatti a “fette”, vedi figura 1)3 producano una visione di “bisogni a fette”, ovvero risposte a questioni specifiche ma che non prendono in carico la persona nella sua globalità. La funzione programmatoria intende invece assumere il concetto di salute come benessere individuale complessivo, che riguarda le persone nella loro interezza.

Figura 1 – Rischi delle risposte non programmate

 

Un secondo rischio legato alla mancanza di programmazione è che, se da un lato il welfare deve essere rivolto a tutti (tutti siamo portatori di domande di welfare), dall’altro assistiamo, come è suggerito dai recenti studi di Remo Siza (2022), sempre più frequentemente a fenomeni di welfare caratterizzato da:

  • condizionalità, che riguarda comportamenti dei beneficiari nel corso del processo di cura, e che vincolano i benefici a determinate condizioni: ad esempio i cittadini possono accedere a un beneficio se rispettano prescrizioni, appuntamenti, se rispondono in modi ritenuti adeguati ecc.;
  • chauvinism, che riguarda interventi che risultano rivolti solo a specifiche quote di popolazione, per esempio si ritiene che certi interventi di welfare debbano essere rivolti solo ai residenti in Italia da lungo tempo e si introducono pertanto limiti temporali, condotte ostruzionistiche per selezionare i beneficiari;
  • politica dei bonus, che preclude politiche di lungo respiro, di investimento sociale;
  • criteri basati su automatismi digitali e algoritmi: l’utilizzo sempre più esteso di algoritmi per prevenire, ad esempio, abusi sui minori, probabilità di condotte opportunistiche nell’accesso, prevenzione dei reati in contesti urbani, rischiano di proporre interventi di welfare pensati come sostitutivi di una relazione personale e non come uno strumento che può arricchire una conoscenza diretta delle persone;
  • interventi sviluppati esclusivamente dentro il sistema lavorativo: in questo caso il welfare può divenire molto severo e punitivo nei confronti della cittadinanza che nel mercato del lavoro entrerà per poco tempo e con retribuzioni molto basse, di chi chiede un sussidio economico, dei senza dimora, ecc.

Quelle fin qui citate sono derive disfunzionali del welfare che possono essere evitate assumendo una logica programmatoria e strategica. Ciò richiede infatti, a chi si pone il problema di tutelare e promuovere i diritti di cittadinanza, di riflettere in ordine a continui e costanti problemi di tipo programmatorio. Inoltre, le modalità con cui realizzare tali programmazioni rappresentano un’importante variabile nello sviluppo di tali processi, e vanno considerate con attenzione per determinare l’efficacia stessa della programmazione.

La sfida che i programmatori sociali hanno di fronte consiste infatti nel trovare i modi migliori per innovare la capacità di rispondere a bisogni non solo delle persone più fragili e vulnerabili, ma dei cittadini in generale, che hanno, tutti, indipendentemente dalla loro condizione socio-economica, bisogni e richieste legate al welfare e alla salute.

Sintetizzando e ordinando quanto fin qui proposto, possiamo dire che per lo sviluppo del sistema di welfare lombardo nei prossimi anni vanno tenuti in considerazione i seguenti elementi:

  • la realtà dei servizi si presenta fortemente disomogenea, frammentata, contradittoria;
  • occorre una visione generale, che orienti un ripensamento dell’organizzazione complessiva, della governance, dell’implementazione e distribuzione delle risorse, soprattutto professionali, che intercettino e fronteggino concretamente i vari bisogni delle persone e delle famiglie;
  • occorre una programmazione chiara, che contenga lettura e comprensione delle situazioni concrete, e un disegno e attuazione di sistemi e reti;
  • non servono ennesime sperimentazioni, ma strutture e operatori assegnati con funzioni e compiti definiti da assolvere con efficienza e efficacia, osservata e valutata;
  • tutto ciò comporta riqualificazione e cambiamento, che non avvengono se non sono programmati, ovvero disegnati, preparati, coltivati, gestiti, monitorati;
  • occorre pertanto e prioritariamente un grande investimento, in particolare in coprogrammazione, coprogettazione, formazione e supervisione professionale e gestionale /organizzativa. In ordine a quest’ultimo punto le future supervisioni professionali e organizzative, divenute Lep e che saranno avviate grazie ai fondi PNRR, rappresentano un’importante opportunità.

Pur non avendo potuto realizzare di recente analisi e ricerche sistematiche, presento, di seguito, alcuni esempi di fronti e strategie programmatorie specifiche, per possibili innovazioni in Lombardia nel prossimo quinquennio, dedotte dai recenti contributi pervenuti ai nostri osservatori LombardiaSociale.it e Welforum.it.4

  1. Vi è oggi in Regione l’esigenza di costruzione di una vera sanità di prossimità: se ne parla molto, ma si vede ancora molto poco. Le Case della Comunità corrono il forte rischio di divenire dei poliambulatori riverniciati a nuovo. Le case della Comunità devono essere della comunità, e quindi richiedono principalmente l’avvio di una nuova modalità di lavoro per e con i medici di medicina generale. C’è qui poi un tema drammatico sul personale (mancano medici, mancano infermieri), su cui anche la Regione può fare molto (investire, formare). Inoltre possono essere un importante contenitore per costruire solidi legami tra pubblico e terzo settore, in ottica di coprogettazione territoriale.
  2. Vi è inoltre l’esigenza di costruzione di cure domiciliari che rispondano ai bisogni dei non, o parzialmente, autosufficienti, superando i pesanti limiti dell’ADI (assistenza domiciliare delle Asl) e dei SAD (Comuni), che erogano interventi molto prestazionali e limitati. Le persone hanno bisogno di integrazione sociosanitaria, di cui si parla tanto ma che si pratica poco anche in Lombardia. Le persone hanno bisogno di aiuti negli atti quotidiani della vita, non solo di un infermiere che viene per una terapia o a misurare la pressione. Finché restiamo in questa vecchia cornice continueranno a essere i familiari caregiver o le badanti gli attori principali degli aiuti, fortemente sotto pressione. Tale tema richiamato qui su ADI e SAD potrebbe essere esteso a molti altri servizi e Unità di Offerta che oggi più che mai sembrano poco adeguati a rispondere ai bisogni delle persone e/o risultano insostenibili da diversi punti di vista. Ad esempio, tutto il tema delle residenzialità, comunità per minori in primis. Sulla riformulazione delle Unità di Offerta la Regione negli ultimi anni ha sperimentato moltissimo ma messo a sistema poco o nulla. Servirebbe riprendere in mano gli esiti delle sperimentazioni e attuare un ripensamento complessivo delle unità di offerta.
  3. Un altro aspetto che richiederebbe una specifica attenzione riguarda la necessità di favorire la diffusione di esperienze e sperimentazioni che portino i servizi sociali e il terzo settore a sviluppare nei territori, con maggiore sistematicità rispetto a quanto fatto fino ad oggi, un effettivo servizio sociale di comunità sempre più in relazione con le diverse opportunità offerte dai sistemi di welfare territoriale come, ad esempio, si sta tentando di fare a Milano città, attraverso l’introduzione in ogni municipio della figura dell’assistente sociale di comunità.
  4. Nell’area Minori (e non solo), è indispensabile affrontare il tema delle lunghissime liste di attesa, in particolare delle neuropsichiatrie infantili che creano enormi disagi e sofferenze, e dell’esigenza di ridare impulso ai consultori familiari pubblici e consentire l’applicazione della legge 194, oggi in crisi a causa di un enorme numero di obiettori.
  5. Infine va sottolineata l’importanza di promuovere l’integrazione tra le politiche sociali e le politiche per la casa attraverso, per esempio, il potenziamento delle Agenzie per l’abitare (attori che oggi più di altri sembrano in grado di diversificare i propri servizi contenendo le nuove vulnerabilità e impedendo che queste si trasformino in nuove situazioni di marginalità); per promuovere la definizione di una filiera di interventi e servizi abitativi, in grado di offrire risposte differenziate e adeguate alle situazioni di bisogno e l’implementazione di misure di sostegno all’accesso e al mantenimento dell’alloggio in relazione all’allargamento della platea dei soggetti che necessitano di supporto.
  6. Vi è inoltre un problema sempre più evidente, che riguarda le professioni sociali. Spesso i servizi portano ad un affanno a sostenere l’esistente, prima ancora che nel pensare a come innovarsi e migliorare, per carenza di personale. Da una parte c’è sicuramente l’urgenza di cambiare prospettiva (per esempio investendo maggiormente, come si diceva prima, sul welfare di comunità), dall’altro mancano fisicamente i professionisti, educatori, assistenti sociali e non solo. Sono professioni che stanno perdendo attrattività tra i giovani e, una volta inseriti, i giovani neolaureati sembrano spesso impreparati e scappano dai servizi.
  7. Complessivamente, vi è un ruolo di regia dei sistemi territoriali che sarebbe molto utile che fosse garantito a livello regionale e che oggi appare molto debole: i territori sono sempre più chiamati a gestire volumi ingenti di risorse provenienti da varie fonti (es. nazionale ed Europeo) e allo stato attuale manca un pensiero rispetto alla ricomposizione e ad un ruolo di coordinamento che sarebbe strategico e che faciliterebbe da un lato un buon uso delle risorse e dall’altro potrebbe garantire la diffusione di saperi ed esperienze tra gli operatori. Parlando di ruolo di regia non si intende un ruolo centralistico e iper-regolativo della Regione, come a volte è avvenuto in passato, ma una regia che accompagna processi e territori, forma, sostiene le progettualità e l’innovazione che proviene dal basso. È importante infatti considerare che siamo in un quadro istituzionale in mutamento, dove la governance dei fondi e delle misure viene sempre più spesso gestita con una relazione diretta Ministero/Ambiti (pensiamo al PNRR, ma lo stesso vale sulla povertà e su altro) e dunque i ruoli e le modalità di collaborazione tra i vari livelli andrebbero regolamentati, ripensati e ridefiniti; peraltro, considerando che ci troviamo in una fase in cui la crescita improvvisa delle risorse – rispetto alla fase al ribasso degli ultimi anni – sta trovando una grande impreparazione. Il rischio è che le risorse vadano sottoutilizzate per “incapacità di utilizzarle”.

Nelle diverse direzioni di miglioramento auspicabili che qui, in modo un po’ sommario e poco sistematico, ho proposto, va considerato che gli strumenti dell’art. 55 del CTS: coprogrammazione e coprogettazione, prima citati, si propongono come opportunità di procedimento amministrativo ma anche e soprattutto di prassi metodologica, per allargare il processo decisionale e migliorare la programmazione stessa; sono pertanto un’importante occasione per la definizione di una visione sullo sviluppo delle politiche di welfare e salute che eviti i rischi di deriva del sistema in un momento di grande cambiamento.

Nel momento in cui i principi sottostanti a coprogrammazione e coprogettazione saranno applicati, ci troveremo in Lombardia, in un sistema di welfare sociale integrato al quale, i soggetti pubblici e quelli del terzo settore, concorrono con pari valore e dignità, moltiplicando punti di vista, competenze, forze ed energie. Terzo settore e pubblico, in questo scenario, contribuiscono insieme, in modo complementare e competente, a soddisfare i diritti di cittadinanza sanciti dalla costituzione, in particolare rivolgendosi ai soggetti più deboli e fragili e lo fanno applicando un ulteriore principio sancito dalla Costituzione, quello di sussidiarietà (Art. 118).

Il welfare collaborativo e sussidiario naturalmente non si dovrà esaurire nei rapporti fra pubblico e terzo settore, esso investirà altre componenti della società civile. Si auspica infatti che, partendo da coprogrammazone e coprogettazione, si sviluppi un rapporto virtuoso con tutti gli attori del sistema, dalle associazioni informali alle aziende for profit, attraverso l’ampliamento dei dispositivi di collaborazione già in parte sperimentati negli scorsi anni, andando anche oltre gli strumenti previsti dall’Art. 55.

L’idea è che si possano migliorare e innovare i sistemi di welfare attraverso un governo diffuso delle politiche, caratterizzato da un’ampia partecipazione e corresponsabilità dei soggetti che possono svolgere, insieme al pubblico, una funzione pubblica competente ed efficace, ma nella distinzione dei ruoli, competenze, funzioni, per evitare confusione, aspettative sbagliate e possibili sovrapposizioni.

La gravità dell’attuale crisi, ancora dentro la pandemia e con tutte le incertezze legate ad una guerra ai confini dell’Europa, richiede infatti di individuare e di attivare tutte le energie e tutte le risorse presenti nel contesto sociale ed economico, delle persone, delle famiglie e delle organizzazioni, di sostenerle nel porsi in relazione, per perseguire in modo più efficace e duraturo nel tempo finalità di benessere reale, equo, sostenibile. Il welfare territoriale efficace e sostenibile che si auspica è pertanto un obiettivo da progettare e da costruire nelle pratiche sociali, difficile e impegnativo, per il quale abbiamo a disposizione strumenti che possono favorire una governance allargata, che accolga il contributo di molti.

  1. Questo articolo presenta l’intervento dell’autore al convegno del CROAS Lombardia: “Il Welfare lombardo verso la sostenibilità sociale: quale benessere per il 2028” che si è tenuto a Milano al Cinema Ariosto il 24 gennaio 2023.
  2. Alcune delle osservazioni qui riportate si trovano anche in U. De Ambrogio, G. Marocchi, Coprogrammare e Coprogettare, amministrazione condivisa e buone prassi, Carocci, Roma, 2023 (di prossima uscita).
  3. Ringrazio A. De Donno che mi ha fornito questo spunto in un incontro della Comunità di pratiche sulla programmazione sociale di Regione Toscana e Anci Federsanità Toscana.
  4. Ringrazio i colleghi delle redazioni di Welforum.it e di LombardiaSociale.it per i preziosi suggerimenti.