L’inclusione sociale delle persone con disabilità: un processo ancora lungo


Un quadro basato sui dati

L’Istat da anni produce numerosi dati sulle persone con disabilità, documentando le loro condizioni di vita e le differenze che rispetto ad esse si riscontrano con il resto della popolazione. I dati prodotti correntemente descrivono gli ambiti di vita e gli aspetti attinenti alle principali dimensioni dell’inclusione sociale di queste persone. L’individuazione della condizione di disabilità di un individuo nelle indagini statistiche non è un esercizio semplice, in quanto tale condizione discende dall’interazione negativa tra deficit di salute e ambiente in cui la persona vive, ma l’esplicitazione di tale interazione attraverso un insieme di condizioni operative e rilevabili statisticamente è tutt’altro che banale e non esiste ancora un consenso sufficiente per procedere in questa direzione. Le difficoltà sono principalmente legate all’individuazione delle limitazioni nei functionings e l’interazione di esse con l’ambiente di vita. L’Istat, uniformandosi alle direttive impartite dal sistema delle statistiche europee, utilizza nelle indagini di popolazione un unico quesito che rileva le persone che riferiscono di avere limitazioni, a causa di problemi di salute, nello svolgimento di attività abituali e ordinarie. Lo strumento utilizzato è sicuramente imperfetto, ma se si lega alla valutazione degli svantaggi nei diversi ambiti di vita, può approssimare sufficientemente il concetto.

 

La mancanza di autonomia individuale e l’incapacità di compiere le proprie scelte sono sicuramente tra gli aspetti più gravi che le persone con disabilità possono sperimentare nel corso della loro vita, una condizione che è la risultante di numerose situazioni di svantaggio che interagiscono tra loro in maniera negativa. La condizione di salute è uno dei fattori di rischio principali, ma altrettanto importanti sono i deficit nella disponibilità di beni e opportunità che caratterizzano la vita delle persone, tra i quali il livello di istruzione, l’occupazione, la disponibilità di reddito, la partecipazione alla vita sociale, culturale e sportiva.

Nel nostro Paese le persone con disabilità sono circa 3 milioni e 100 mila, il 5,2% della popolazione1, in maggioranza anziani, quasi 1 milione e mezzo di ultra settantacinquenni, più del 20% della popolazione in quella fascia di età, e 990.000 di essi sono donne. La “geografia della disabilità” vede al primo posto le Isole, con un’incidenza del 6,3%, contro il 4,8% (il valore più basso) del Nord. Le Regioni nelle quali il fenomeno è più diffuso sono l’Umbria e la Sardegna (rispettivamente, l’8,7% e il 7,3% della popolazione). Veneto, Lombardia e Valle d’Aosta sono, invece, le Regioni con la prevalenza più bassa: il 4,4%.

Data la struttura particolarmente anziana della popolazione con disabilità, un punto critico è rappresentato dal fatto che oltre un quarto delle persone vive solo, così come la quota di persone che vive con uno o entrambi i genitori (circa il 10%). Infatti, questi ultimi, sono particolarmente vulnerabili, poiché rischiano di vivere molti anni da soli, senza supporto familiare; questo rischio è piuttosto diffuso, perché un numero elevato di persone con disabilità sopravvive a tutti i componenti della famiglia (genitori e fratelli), anche prima di raggiungere i 65 anni2.

             

Ripartire dai diritti

L’articolo 25 della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità stabilisce il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità. L’importanza della salute va al di là dell’aspetto materiale, poiché l’OMS la definisce come uno “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”. In altre parole, per utilizzare una terminologia mutuata dall’Icf, la salute viene considerata un mezzo e una risorsa che abilita le persone a condurre una vita soddisfacente sotto tutti i profili, compreso quello della propria realizzazione sociale. Lo stato di salute delle persone con limitazioni gravi è sensibilmente peggiore di quello del resto della popolazione; in particolare, esse soffrono più frequentemente di una o più patologie croniche. La quota di persone che riferisce di essere in cattive condizioni di salute è pari al 61% (62,8% tra le donne); contro lo 0,6%, nel resto della popolazione. Considerando la sola popolazione anziana, le differenze sono anche più marcate: 68,7% contro l’1,6%. Le donne con limitazioni gravi palesano condizioni di salute peggiori, sono infatti il 56,4% quelle di età inferiore ai 64 anni che soffrono di almeno tre patologie croniche gravi, contro il 47,4% dei coetanei maschi. Tra i più anziani le differenze di genere si attenuano: 83,4% tra le donne e 80,4% tra gli uomini.

La rilevanza che il contesto ambientale ha nel trasformare un deficit di salute in disabilità è evidente nel caso della riduzione o perdita di autonomia, che costringe a dipendere da altri anche per svolgere attività elementari, ma essenziali, con profonda lesione del senso di dignità individuale.  L’assenza di autonomia interessa 1 milione e 400mila persone anziane, in gran parte ultrasettantacinquenni (1 milione e 200mila). Si tratta di persone incapaci di prendersi cura della propria persona, cioè di compiere attività come fare il bagno o la doccia da soli, sdraiarsi e alzarsi dal letto o sedersi e alzarsi da una sedia, vestirsi e spogliarsi, usare i servizi igienici e mangiare. Quasi il 7% degli over 65-enni presenta gravi difficoltà in tre o più delle attività citate; tale quota sale al 12% tra gli ultrasettantacinquenni. Circa 4 milioni di anziani (e quasi la metà degli ultrasettantacinquenni) sono incapaci di svolgere in autonomia altre attività strumentali alla vita quotidiana. Inoltre, poco meno di un terzo degli ultrasessantacinquenni non è in grado di svolgere in autonomia le attività domestiche più pesanti, il 17% non è in grado di fare la spesa da solo, circa il 12% di prepararsi i pasti. Le donne anziane riportano più difficoltà degli uomini sia nelle attività di cura della persona (14,1% donne contro 7,3% uomini) sia nelle attività domestiche (37,9% donne contro 20,4% uomini). La maggiore difficoltà delle donne si conferma anche al netto dell’età (12,2% donne contro 7,6% uomini per le attività di cura e 34,8% donne contro 21,4% uomini per le attività domestiche).

L’articolo 24 della Convenzione riconosce il diritto all’istruzione delle persone con disabilità come strumento per lo sviluppo delle loro potenzialità, come garanzia della loro dignità umana nonché mezzo indispensabile per la loro autonomia individuale e la capacità di compiere scelte in condizioni di libertà e di pari opportunità. I dati testimoniano che l’obiettivo di assicurare condizioni di pari opportunità alle persone con disabilità nell’istruzione è lungi dall’essere raggiunto, malgrado qualche significativo miglioramento. Infatti, considerando la classe di età 35-54 anni nella quale si può ritenere conclusa la formazione scolastica e universitaria, tra le persone con disabilità solo il 44,5% degli uomini e il 46,3% delle donne ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore. Nel resto della popolazione le corrispondenti percentuali sono: 59,0 e 64,8%.

Uno dei diritti richiamato dalla Convenzione Onu è quello legato all’eguaglianza nel grado di libertà nelle scelte e nello spazio d’azione, da questo punto di vista le differenze nel tipo di scuola superiore frequentato può segnalare diseguali opportunità di scelta. I dati mettono in luce significative differenze tra le persone con disabilità e il resto della popolazione, infatti, nel 2017, il 49,8% degli alunni con disabilità si è iscritto ad una scuola con indirizzo professionale, contro il 20,1% del totale degli alunni. Ciò vuol dire che circa la metà degli alunni con disabilità privilegia indirizzi formativi orientati al lavoro immediato e rinuncia di fatto a prolungare la propria formazione fino all’università.

La disoccupazione, come hanno sottolineato vari studiosi tra cui in particolare Amartya Sen, comporta una significativa perdita di libertà ed è una delle cause principali di esclusione sociale. Ciò avviene non soltanto perché dal reddito dipende la possibilità di condurre una vita indipendente e dignitosa, realizzando le proprie aspirazioni, ma anche perché l’assenza di lavoro può impoverire le relazioni umane e compromettere lo sviluppo e il mantenimento delle relazioni sociali3. Anche in questo ambito di vita, si riscontrano degli evidenti svantaggi, come testimonia il fatto che, nella popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 31,3% delle persone con disabilità (26,7% tra le donne, 36,3% tra gli uomini) contro il 57,8% registrato nel resto delle persone.

 

Il ruolo delle famiglie

La famiglia è, nel nostro Paese in modo particolare, un’istituzione fondamentale per la vita delle persone con disabilità, poiché spesso svolge un ruolo importante nel contrastare il rischio di esclusione sociale. In Italia sono circa 2 milioni e 300mila le famiglie nelle quali vive almeno una persona con disabilità, il 32,4% di esse ricevono sostegno da reti informali per assistere queste persone; si tratta di una percentuale quasi doppia rispetto al totale delle famiglie (16,8%). In generale, quasi la metà di queste famiglie ricevono tre o più tipi di aiuti al mese, mentre la metà di tutte le famiglie riceve aiuti di una sola tipologia.

Spesso la rete di aiuti informali non è sufficiente per le famiglie, le quali sono costrette a richiedere dei servizi a pagamento, come testimonia il fatto che quasi un quarto delle famiglie con disabili li acquista sul mercato. Inoltre, le famiglie con disabili sostengono costi per l’acquisto di medicinali (è quanto dichiara il 91% di esse) e per le cure mediche (il 79,2%). L’incidenza di queste spese sui bilanci familiari è considerata molto pesante da circa la metà delle famiglie e l’aggravio cresce considerevolmente se si considerano anche le spese per l’assistenza domiciliare con personale specializzato. A questo carico economico si aggiunge la ridotta disponibilità di reddito che si riscontra in queste famiglie: il loro reddito annuo equivalente medio è di 17.476 euro inferiore del 7,8% a quello nazionale. Il livello di reddito mediamente più basso e il carico delle spese incomprimibili determina un elevato rischio di deprivazione materiale delle famiglie con disabili. Gli indicatori prodotti dall’Istat segnalano che il 28,7% delle famiglie è in condizioni di deprivazione materiale (il dato medio nazionale si attesta al 18%). I segnali di deprivazione più rilevanti sono questi: il 67% delle famiglie nelle quali vive almeno una persona con disabilità non può permettersi una settimana di vacanza all’anno lontano da casa, il 53,7% non è in grado di affrontare una spesa imprevista di 800 euro, più di un quinto non può riscaldare sufficientemente l’abitazione o consumare un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni.

 

Partecipare alla vita sociale

L’inclusione sociale si esprime anche attraverso la partecipazione a numerose attività, in particolare quelle culturali e sportive. Gli indicatori elaborati su questi aspetti evidenziano che solo il 9,3% delle persone con disabilità va frequentemente al cinema, al teatro, a un concerto o visita un museo durante l’anno. Nel resto della popolazione il dato è il 30,8%. L’influenza negativa dell’ambiente sulla fruizione culturale è evidente, visto che solo il 37,5% dei musei italiani, pubblici e privati, è attrezzato per ricevere le persone con limitazioni gravi; appena il 20,4% di essi offre materiale e supporti informativi (percorsi tattili, cataloghi e pannelli esplicativi in braille, ecc.) che possono essere indispensabili per rendere la visita un’esperienza utile e di qualità. Anche la pratica sportiva è più bassa di quella osservata nel resto della popolazione, infatti fa sport regolarmente solo il 9,1% delle persone con disabilità, contro il 36,6% del resto della popolazione. In generale, quasi l’80% delle persone con disabilità è completamente inattivo e un milione di essi attribuisce questa scelta a un problema di salute.

 

Sui sostegni disponibili

Il sistema di protezione sociale nel nostro Paese interviene con trasferimenti economici, servizi e strutture per assistere le persone con disabilità e ridurre il rischio di emarginazione. Le Regioni, attraverso i loro Servizi sanitari regionali, offrono assistenza socio-sanitaria alle persone con disabilità, erogando servizi ambulatoriali e domiciliari o ricoveri in strutture residenziali e semiresidenziali. La spesa sostenuta complessivamente per questa tipologia di assistenza per le persone con disabilità è pari a circa 987 euro pro-capite; all’assistenza ambulatoriale e domiciliare è destinata circa il 78% della spesa, la quota restante è impegnata per le strutture residenziali e semiresidenziale. Un’altra componente di assistenza è quelle di pertinenza dei Comuni, i quali erogano interventi e servizi finalizzati a garantire l’attività di cura e supporto per l’integrazione sociale. La spesa per questa tipologia di assistenza in favore delle persone con disabilità si attesta a circa un miliardo e 797 milioni di euro, pari a 2.852 annui pro-capite.

La quota più rilevante della spesa per la protezione sociale impegnata per le persone con disabilità è rappresentata dai trasferimenti monetari di natura assistenziale e previdenziale. Nel 2017 i trasferimenti monetari complessivi a favore delle persone con disabilità sono stati di circa 37 miliardi di euro, dei quali 23 miliardi sono di natura assistenziale e 14 miliardi di natura previdenziale.

 

In conclusione, il nostro Paese ha dimostrato una particolare sensibilità nel disegnare processi e percorsi diretti a favorire la piena inclusione sociale delle persone con disabilità. Tale lungimiranza è testimoniata dalla produzione normativa degli ultimi 30 anni che ci pone all’avanguardia anche nei confronti di altri Paesi. Nonostante questo, negli ambiti di vita brevemente analizzati emergono ancora significativi svantaggi delle persone con disabilità rispetto al resto della popolazione. Ciò consente di ritenere che gli strumenti messi in campo non hanno ottenuto i risultati attesi, ma hanno solo attenuato le differenze o impedito che queste si amplificassero. Anche le famiglie di queste persone si trovano in forte difficoltà, poiché esse sperimentano situazioni che incidono fortemente sulle capacità di produrre reddito e sugli stili di vita. Nonostante questo, la famiglia ha sempre giocato un ruolo fondamentale, ma in prospettiva, la rarefazione delle reti familiari e il progressivo invecchiamento della popolazione rischiano di mettere in crisi la sostenibilità del modello di welfare del nostro Paese basato sul loro significativo apporto.

  1. La stima è stata effettuata sulla base dei dati dell’indagine Istat “Aspetti della vita quotidiana”, calcolato sulle risposte al seguente quesito: “A causa di problemi di salute, in che misura Lei ha delle limitazioni, che durano da almeno sei mesi, nelle attività che le persone abitualmente svolgono? (Limitazioni gravi, Limitazioni non gravi, Nessuna limitazione)”. La stima della prevalenza è nota come Global Activities Limitations Indicator ed è effettuata sulle persone che vivono in famiglia, sono escluse quelle che vivono in strutture residenziali.
  2. Istat – Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone affette da disabilità grave prive del sostegno familiare. Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica presso 11a Commissione “Lavoro, previdenza sociale” del Senato della Repubblica Roma, 5 aprile 2016.
  3. Neil Crowther (2009), “Dalla compensazione alla capacità: persone con disabilità, lavoro e benessere”, in Giulio Borgnolo et al. (a cura di), Icf e Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, Erickson ed., ISBN9788861374997.

Commenti

I trasferimenti economici sono fondamentali per garantire assistenza ai disabili. Non va trascurato che questi, visti solo come soggetti con patologia, non possono fare a meno dell’inclusione sociale per sentirsi parte attiva di ciò che vivono e sperimentano nella loro vita. Va cambiato l’approccio dei cosiddetti “abili” per realizzare una condizione che veda in loro una risorsa. Una risorsa che deve adeguatamente essere utilizzata dal mercato del lavoro per migliorare la qualità della vita che rimane un diritto di tutti.