Meno badanti e il tramonto del welfare low cost


Sergio Pasquinelli | 9 Luglio 2025

Il lavoro domestico tocca, per il terzo anno consecutivo, il minimo. A fine 2024 Inps certifica 817.403 contratti, mai così pochi da vent’anni a questa parte, con il sorpasso, per la prima volta, delle badanti sulle colf: 51 contro 49 per cento. La curva del numero dei lavoratori domestici continua a flettersi, regredendo in un mercato sempre più sommerso, con una irregolarità che assorbe – secondo nostre stime – almeno il 60% del totale.

Mentre la diminuzione delle colf viene da lontano, quella delle badanti è più recente, dopo il Covid e l’ultima regolarizzazione, nel 2020. Temuto da tempo, il rischio che le badanti possano lasciarci inizia a prendere corpo. In un Paese in cui gli ultra 65enni aumentano al ritmo di circa 150.000 l’anno, perché le assistenti familiari (regolari) diminuiscono? Si riducono in valori assoluti, ma soprattutto in rapporto al numero degli anziani: si veda la figura 2 riportata alla fine.

Diminuiscono in primo luogo perché il mercato irregolare risulta ancora ampiamente conveniente e la distanza di costo con quello regolare si mantiene netta. Quello delle badanti è stato a lungo considerato un welfare low cost ma i suoi oneri, in un contesto di anziani sempre più soli e di pensioni sempre più magre, sono sempre meno sostenibili. Il costo mensile di un’assistente familiare a 40 ore settimanali corrisponde a 1.780 euro,1 mentre nel mercato non dichiarato si aggira intorno ai 1.000 – 1.200 euro. Il differenziale è consistente e sempre più dirimente sulle scelte compiute, che vanno verso il sommerso.

Un secondo motivo per cui il numero di assistenti familiari non cresce è legato a flussi migratori ancora troppo ridotti: per quest’anno è previsto l’ingresso di soli 9.500 lavoratori non comunitari nel settore dell’assistenza familiare e sociosanitaria. Dimensione totalmente inadeguata, per un mercato che conta complessivamente, tra regolari e non, un milione di lavoratori, per tre quarti stranieri. È possibile stimare un fabbisogno annuo, solo per coprire il turn over delle assistenti familiari straniere non comunitarie, di almeno 30.000 unità. A cui bisogna aggiungere una domanda di lavoro in crescita, per cui si stima un fabbisogno di oltre 14mila unità all’anno (si veda il 3º paper di Family Net-work).

Il basso turn over produce una manodopera a invecchiamento spinto: oggi il 66% delle badanti ha più di 50 anni, dieci anni fa erano solo il 47%. Nello stesso arco di tempo le ultra 60enni sono più che raddoppiate. Lavoratrici che invecchiano sono anche lavoratrici sempre meno disposte a un carico assistenziale oneroso, inclini a ridurre e semplificare le proprie mansioni. Anche per questo il lavoro in modalità di coresidenza è in calo, ricorre in un caso tre, quando vent’anni fa risultava essere – soprattutto nel sommerso – largamente maggioritario.

Emerge inoltre un tema nuovo: la crescita delle italiane e la diminuzione delle straniere. Le badanti italiane sono aumentate nel mercato dichiarato dal 20% di dieci anni fa al 28% di oggi, in valori assoluti sono aumentate di 37.000 unità, mentre le straniere segnano un meno 11mila. I motivi di questa dinamica sono diversi, tra cui i benefici che le italiane possono trarre, previdenziali soprattutto, da un regolare contratto di lavoro, preclusi a molte straniere. Ma le variabili in gioco sono anche altre, legate al costo della vita e alla qualità del lavoro. Il lavoro di assistente familiare sta diventando meno attrattivo per la popolazione migrante? Probabile, i segnali in questo senso crescono e se confermati su ampia scala configurano una tendenza decisamente preoccupante.

Come si stanno muovendo le politiche nazionali sul lavoro privato di cura? Mai nominate nel Piano sociale nazionale 2024-2026, le assistenti familiari sono interessate dalla sperimentazione della cosiddetta prestazione universale (d.lgs. 29/2024), in vigore da gennaio. Questa prestazione è infatti vincolata all’impiego di un’assistenza domiciliare a pagamento. In attesa di dati ufficiali, a sentire i patronati, che hanno un ruolo chiave nell’accesso a questa misura, essa viaggia verso il flop. Le risorse stanziate aprono infatti a una capienza di 24mila anziani, ma dagli elementi che emergono sembra molto difficile arrivare a solo metà di questa cifra. Una bassa adesione dovuta a criteri di accesso iper-selettivi. Si poteva evitare questo esito? Sì, se non si fosse sottovalutato l’effetto disincentivante delle restrizioni introdotte.

Il tutto dentro lo stallo della riforma dei servizi per la non autosufficienza, avviata con la legge 33/2023. Riforma oggi a un bivio, tra una deriva segnata da non scelte e rinvii, e un auspicabile rilancio, che va promosso, sollecitato, provocato, verso le direzioni principali del rinnovamento: i servizi domiciliari, quelli residenziali e le erogazioni monetarie, ovvero l’indennità di accompagnamento (si veda l’intervento di Cristiano Gori qui).

Nel frattempo è solo grazie alle diverse politiche e iniziative di Regioni e Comuni che si creano dei ponti con la rete pubblica dei servizi, superando la logica dei binari paralleli. Una realtà, quella di Regioni e Comuni, costantemente monitorata all’interno dell’Atlante Fidaldo, una mappa interattiva delle misure territoriali consultabile qui. Si tratta di interventi che hanno nel complesso un impatto moderato nel sostenere il ricorso al lavoro di cura. Ma quando superano l’aiuto meramente monetario e si traducono in qualcosa di tangibile – informazione, orientamento, formazione, sostegni variamente declinati – possono fare la differenza.

Fonte: Osservatorio Inps sul lavoro domestico

Fonte: Osservatorio Inps sul lavoro domestico

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