MSNA: criticità normative e attuative

Intervista a Michela Semprebon


A cura di Alessandra PernettiStefania Sabatinelli | 27 Gennaio 2022

Pubblichiamo in due puntate una conversazione con Michela Semprebon sulla sua esperienza come tutrice legale volontaria di minori stranieri non accompagnati. Michela Semprebon è sociologa, attualmente docente e ricercatrice presso l’Università di Parma. Da circa vent’anni si occupa di migrazioni sia attraverso la sua attività di ricerca, sia come attivista. La prima parte dell’intervista è stata dedicata al ruolo del tutore, la relazione con il minore e con gli altri soggetti coinvolti.

 

Una criticità normativa è la definizione del prosieguo amministrativo

Il prosieguo amministrativo è uno degli aspetti importanti sottolineati dalla legge Zampa. Quando il minore compie diciott’anni, da un giorno all’altro perde il diritto alla tutela. Non c’è un periodo transitorio, un passaggio. Improvvisamente non sei più minore e quindi cambia radicalmente la tua situazione. Almeno dal punto di vista formale perché, in concreto, non è detto che il minore debba lasciare subito la comunità. Almeno dalla mia esperienza posso dire che vengono fatte delle valutazioni in merito all’opportunità di continuare il percorso di tutela.

Ma ci sono situazioni critiche, legate anche al fatto che l’accoglienza dei minori è costosa e non sempre i Comuni mettono a disposizione, o possono mettere a disposizione, delle risorse per continuare l’accoglienza. E anche laddove ci sia la volontà di continuare ad accogliere il neo-maggiorenne, non sempre la comunità è nella condizione di farlo senza una copertura economica. Detto questo, il prosieguo non è da intendere come un percorso obbligato, dipende dalle singole situazioni. Laddove il minore ha raggiunto un livello sufficiente di autonomia, può non essere necessario e nemmeno auspicabile.

È difficile, però, definire cosa voglia dire “sufficiente autonomia” e la valutazione viene fatta normalmente, in primis, dall’assistente sociale, non sempre con il pieno coinvolgimento del minore. Normalmente l’autonomia è associata all’autonomia abitativa e lavorativa, oltre che alla regolarità dello status giuridico, ma ci possono essere opinioni anche molto divergenti tra gli assistenti sociali. Certamente, in assenza di questi elementi, c’è il grosso rischio che il minore si ritrovi in una situazione di grande vulnerabilità e quindi il prosieguo diventa importante anche per evitare l’esposizione al rischio di sfruttamento. Il prosieguo può continuare fino a 21 anni; non è però detto che sia necessario fino al raggiungimento di questa età. Per uno dei minori che ho seguito, il prosieguo si presentava auspicabile per pochi mesi per permettergli di completare la scuola media, essendo cruciale per l’accesso a molte tipologie di lavoro e per l’ottenimento della patente di guida, requisito essenziale per alcune professioni. Il prosieguo, tuttavia, non viene sempre autorizzato dal Tribunale, né richiesto dagli assistenti sociali. E anche in questo il tutore ha un ruolo importante perché, come parte della sua funzione, lo può richiedere lui stesso. Non è nemmeno chiaro in base a cosa i tribunali autorizzano o meno il prosieguo, non c’è molta trasparenza da questo punto di vista. E ci possono essere situazioni variabili all’interno del territorio di una stessa regione, come per esempio ho potuto vedere in Veneto.

 

Un altro tema cruciale dal punto di vista normativo è l’accertamento dell’età

Anche questo tema è affrontato dalla legge Zampa con dei limiti, nel senso che ci sono ancora delle criticità in termini di implementazione. Sono uscite delle linee guida nell’estate del 2020 in cui sono state date indicazioni più operative rispetto a quello che viene definito l’approccio multidisciplinare, ma spesso non sono applicate. Si prevede, in primis, un approccio graduale. Si parte con un primo colloquio socio-psicologico, per poi procedere con un’eventuale visita pediatrica. In ultima battuta, e solo come estrema ratio, se permangono dei dubbi rispetto all’età, si dovrebbe procedere con la radiografia del polso.

Fermo restando che la normativa dice molto chiaramente che laddove il minore si dichiara minorenne va trattato come tale. Il dubbio sull’età andrebbe considerato laddove il potenziale minorenne si dichiara maggiorenne. La ratio normativa è infatti quella di garantire la sua tutela. È altrettanto chiaro che, laddove ci siano documenti attestanti la minore età (certificazioni anagrafiche, ecc.), la persona va sempre considerata come minorenne. Si apre la parentesi di “come faccio a sapere se questa dichiarazione anagrafica è vera o è falsa?”. Non è compito del tutore, è compito della questura che dovrà fare delle sue valutazioni e spiegare come ha fatto queste valutazioni. Quindi tendenzialmente non si dovrebbe mai arrivare all’esame del polso e va anche sottolineato che a questo si dovrebbe arrivare come estrema ratio o comunque solo nell’interesse dei minori.

Le pratiche dicono che c’è ancora molto spazio per il miglioramento. Dalla mia esperienza specifica, parlando dei due minori bengalesi che ho avuto in tutela questa primavera: del primo ero tutrice, del secondo sapevo che stava arrivando la nomina, ma non ero ancora tutrice quindi non ho potuto intervenire se non facendo una segnalazione a posteriori. Le violazioni sono state numerose, nel senso che io non sono stata avvisata dell’accertamento. L’ho saputo casualmente dalla comunità che era stata preallertata di quello che poteva succedere; mi conoscevano e mi hanno avvertita. Mi sono presentata in ospedale la mattina dell’accertamento. Non era presente un mediatore linguistico culturale che era necessario per far capire al minore, che non parlava italiano o inglese, che cosa stava succedendo. Sono partiti con la radiografia del polso e solo in un secondo momento è stato fatto un esame medico e diciamo un colloquio, anche se il colloquio è difficile farlo nel momento in cui la lingua non la parli. L’educatrice si è offerta di “fare un po’ con l’inglese”, io mi sono rifiutata perché ho spiegato che non c’erano le condizioni per spiegare al minore. E tutto questo solo dopo che è arrivata la lettera della procura che io ho chiesto esplicitamente per poter autorizzare a procedere, non avendo ricevuto la convocazione, non avendo ricevuto la richiesta della procura che è l’ente che deve richiedere questo tipo di esame. Ho voluto vederla perché per me la questura non è l’autorità che può decidere rispetto all’accertamento dell’età. Quindi nel momento in cui la questura mi chiede di autorizzare, io non solo non sono tenuta a farlo, non lo devo fare!

In altri casi, invece, non ci siamo opposti valutando che questo avrebbe potuto influire negativamente sul percorso del minore, perché avrebbe ulteriormente rallentato la procedura di regolarizzazione, che era stata sospesa. La questura aveva messo in stand-by il permesso di soggiorno per minore età – in violazione della normativa – in attesa dell’esito dell’accertamento e dato che il minore era prossimo al raggiungimento della maggiore età, avrebbe potuto avere difficoltà, che poi ha comunque avuto nella richiesta di conversione del permesso in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Occorre sempre chiedersi qual è il superiore interesse del minore. Non è sempre ovvio, le valutazioni da fare sono varie e vanno sempre fatte insieme al minore, cercando il più possibile di fornire tutte le informazioni necessarie nel modo più semplice e chiaro possibile.

Sottolineo in ogni caso che restano varie criticità rispetto all’accertamento dell’età, legate anche al fatto che non sempre il mediatore linguistico-culturale è presente e qualora il minore non abbia un livello sufficiente di italiano diventa impossibile spiegargli cos’è una radiografia e che rischi possa comportare.

Sull’attendibilità, ci sono diverse scuole di pensiero e diverse metodologie rispetto all’accertamento medico. Tuttavia, come chiarito dal Consiglio Superiore della Sanità nei primi anni 2000, non esiste ad oggi un metodo scientifico che consenta una determinazione certa dell’età. Il metodo attualmente più utilizzato oggi in Italia si basa, appunto, sulla radiografia del polso. Comporta un margine di errore di circa due anni. Per esempio, se l’età stimata in base alla radiografia è di 16 anni, con un margine di errore di più o meno due anni, il soggetto esaminato può avere un’età compresa tra i 14 anni e i 18 anni. Anche per questo è previsto che negli esiti della radiografia sia sempre indicato il metodo che è stato utilizzato e il margine di errore. Questo significa che per MSNA di età media 16-17 anni il metodo è sostanzialmente inadatto per determinare se si tratta di minorenni o maggiorenni. Che senso ha quindi far fare un esame inaffidabile, considerando che è anche un esame molto invasivo? Ci sono casi di medici che hanno preso posizione e si sono rifiutati di procedere, proprio per l’aspetto invasivo. È successo a Verona, per esempio.

 

Come avviene il giuramento presso il tribunale?

Il giuramento è il momento in cui il tutore assume formalmente il suo incarico, alla presenza del minore, di un giudice e, dove necessario, di un mediatore linguistico-culturale, in tribunale. Secondo la procedura formale, il giuramento dovrebbe seguire, a breve giro, la nomina del tutore. Non sempre, però, il tutore è convocato per il giuramento, spesso per ritardi burocratici. Per questo si è creata una prassi, almeno in Veneto, per cui il tutore viene autorizzato ad operare subito dopo la sua nomina. In un caso il giuramento l’ho fatto dopo un anno, a metà del percorso di tutela, in altri due casi non l’ho proprio fatto.

La prassi, dal mio punto di vista, è sensata a livello pratico. Tuttavia questo può costituire un problema laddove un’istituzione può non riconoscere il ruolo del tutore in assenza del decreto di giuramento. Dal mio punto di vista il giuramento è anche un momento con una forte valenza simbolica, vista l’importanza dell’incarico del tutore. Credo quindi che abbia senso che ci sia questo passaggio, per assumere formalmente l’impegno della tutela, davanti al minore. Dovrebbe essere, però, in prossimità della nomina, altrimenti vengono a cadere il senso e l’efficacia. Nel caso in cui ho fatto il giuramento a un anno dalla nomina, il rapporto si stava già consolidando e la percezione da parte della ragazza è stata di un passaggio burocratico inutile. Invece che stabilire una prassi per superare una procedura che avrebbe un suo senso, dovremmo risolvere il problema della lentezza dei tempi!

In Veneto ci sono stati dei miglioramenti nelle tempistiche. Fino a qualche anno fa, ci sono stati casi di nomine arrivate dopo 6-7 mesi. Ora i tempi sono più rapidi, ma permangono delle criticità, e credo sia responsabilità del tutore segnalarle. Così come dovremmo risolvere il problema del rapporto con alcune istituzioni che ancora non conoscono la funzione del tutore. Mi sono trovata in difficoltà in questo senso con le questure, ma anche con operatori sanitari e medici. Eppure la figura del tutore esiste ormai da parecchi anni, ben prima della legge Zampa del 2017! Ho avuto un’esperienza negativa, per esempio, in ospedale: ho accompagnato una minorenne in ospedale per un intervento e ho dovuto insistere per avere la lettera di dimissione e il referto. Ho dovuto insistere per restare in stanza con lei. Ho dovuto continuare a mostrare il decreto di nomina (sperando che nessuno chiedesse l’atto di giuramento) e sottolineare il mio ruolo e la mia responsabilità rispetto alla minorenne.

 

Secondo te in che cosa consiste la cassetta degli attrezzi di un tutore?

In primis, è importante impegnarsi nel rapporto con il minore1.

È importante poi aggiornarsi sulle norme relative alla tutela e ai diritti dei minori e assicurarsi, per questo, il supporto di un avvocato competente e aggiornato. Quando si diventa tutore non viene assegnato nessun avvocato, né operatore socio-legale di default per il sostegno del tutore durante la tutela.

Per quanto riguarda il sostegno legale del minore, generalmente nei progetti SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) è presente un operatore legale, al di fuori di questi progetti non sempre, per quanto tutti i minorenni dovrebbero vedere garantiti gli stessi diritti. Fin dall’inizio del percorso di formazione ci è stata spiegata l’importanza di trovare un avvocato di riferimento e di assicurarsi che sia un avvocato che garantisce il gratuito patrocinio perché non sono previsti rimborsi per i tutori.

Più di una volta, parlando anche con altri tutori e tutrici, mi sono chiesta se non sarebbe importante chiedere, tra i requisiti dei tutori, di avere una specifica formazione legale. In seguito ai primi anni di esperienza come tutrice penso che avere una formazione come avvocato non sia strettamente necessario, ma sia necessario però avere una competenza piuttosto solida sulla normativa – parlo di nuovo nello specifico dei MSNA – e di continuare ad aggiornarsi, oltre che cercare il supporto di un avvocato competente. La normativa sulle migrazioni è in continuo cambiamento e richiede quindi un’attenzione particolare ed è anche difficile aggiornarsi sempre.

È importante anche essere flessibili con gli orari. Se chiama la questura, per esempio per un appuntamento per la domanda di asilo o per il permesso di soggiorno, bisogna essere pronti. Difficilmente si possono spostare gli appuntamenti, se non rischiando notevoli ritardi, a discapito del minore. Bisogna essere disponibili, insomma. Questo significa che se hai un lavoro che richiede di “timbrare il cartellino”, può essere molto difficile portare avanti il ruolo di tutore.

Dal mio punto di vista c’è un altro aspetto importante, ma questa è una mia personale lettura del ruolo di tutrice. Io considero sempre in primis l’interesse del minore che seguo, ma contemporaneamente cerco anche di ricordare che ci sono e ci saranno altri minori nella sua stessa situazione e che tutto quello che io agisco con lui e per lui andrà possibilmente ad incidere anche su altri. Quando sono stata testimone in prima persona di violazioni nell’ambito dell’accertamento dell’età, le ho, in prima battuta, evidenziate ai referenti dell’ospedale, chiedendo la sospensione della procedura nell’attesa di spiegazioni. Le ho successivamente segnalate alla Garante e al Tribunale, facendo anche presente che altri 5 ragazzi erano stati sottoposti alla stessa procedura, probabilmente con altrettante violazioni, e che per quanto non fossero sotto la mia tutela ritenevo doveroso farlo presente, anche a fronte di un possibile profilo discriminatorio, dal momento che tutti i ragazzi erano della stessa nazionalità. E ho segnalato le violazioni anche all’ASL locale e sto tuttora sollecitando affinché le criticità siano affrontate. Questa, ripeto, è una mia interpretazione del ruolo di tutrice, che parte dall’interesse del minore in tutela, ma va oltre a questo.

 

Consigli questa esperienza? A chi la consigli?

Sì, per me l’esperienza finora è stata assolutamente molto positiva e in generale la consiglio! Le valutazioni da fare sono, in primis, la piena disponibilità ad un continuo aggiornamento e la disponibilità a lavorare in equipe con tutta una serie di altri soggetti, con cui ci possono essere scambi piacevolissimi e costruttivi, ma talvolta anche difficili. Talvolta, bisogna anche saper prendere delle posizioni forti e non aver paura di farlo – questo sempre mettendosi prima di tutto in ascolto attivo rispetto al minore. Poi serve avere flessibilità temporale per poter partecipare ai vari appuntamenti istituzionali importanti per il minore, durante i quali è spesso richiesta la firma del tutore (richiesta del permesso di soggiorno, domanda di asilo, ecc.).

Consiglio di accettare l’incarico soltanto dopo aver costruito una rete di supporto, che comprende non solo un avvocato di fiducia in gratuito patrocinio, ma anche alcuni tutori e tutrici con cui confrontarsi e supportarsi. In questo senso per me è importante, in un’ottica più strategica – quindi non nel ruolo di tutori in senso stretto – contribuire alla costruzione di una rete locale di tutori, che può significare costruire un’associazione formale di tutori.

Come tutore hai un ruolo istituzionalmente riconosciuto, ma come associazione puoi avere un peso ulteriore per far conoscere la figura del tutore, appunto perché non è ancora conosciuta da tutti e da tutte le istituzioni, e anche per essere riconosciuti dagli interlocutori nel caso di eventuale prosieguo amministrativo e tutela dopo i 18 anni, quando il ruolo di tutore ufficialmente termina. In Toscana c’è una bellissima esperienza in questo senso: è stata creata un’associazione di tutori e tutrici, a partire da un progetto FAMI, che comincia ad essere conosciuta e può aspirare ad avere un ruolo di advocacy rispetto ai diritti dei minori in generale. C’è una bella esperienza anche in Piemonte, dove non è stata creata un’associazione di tutori, ma un forum virtuale di confronto. Chiaramente la creazione di un’associazione richiede un impegno aggiuntivo e il contributo di più persone e non sempre è facile trovare disponibilità in questo senso. Nella mia esperienza mi è capitato di incontrare tutori e tutrici molto impegnati, ma anche assenti.

Con la maggiore età del minore, come detto, decade il ruolo del tutore, ma se ci sono stato come tutore e ho creato una relazione col minore, non ha senso che sparisca, se non lo chiede il minore, naturalmente. Se il minore vuole – e tendenzialmente, se si è costruita una relazione, se lo aspetta – la relazione continua.

Al momento, per esempio, sto ancora seguendo due ragazzi di cui sono stata tutrice e che hanno compiuto 18 anni nel mese di aprile 2021. È chiaro che non posso più far valere il mio ruolo con la questura e le altre istituzioni, ma posso aiutarli a navigare tra la burocrazia e i servizi, soprattutto ora che hanno lasciato la comunità di accoglienza. Vedere a distanza di mesi che ancora mi contattano – uno di loro mi han mandato la foto del permesso di soggiorno appena è arrivato! – è una bella soddisfazione perché vuol dire che ho raggiunto il mio obiettivo principale come tutrice. Quello che di solito dico ai minori che seguo quando la tutela finisce è questo: “Se vuoi ci sono, chiamami se vuoi, anche solo per dirmi come stai”. Io cerco di allentare i contatti perché non voglio che lo percepiscano come un obbligo, ma dico anche: “Il mio ruolo finisce qua, però quando vuoi, se vuoi, soprattutto se ti metti in qualche guaio, io ci sono, e provo ad aiutarti”.

 

Alla fine per me questa è la sostanza di questo ruolo: essere un punto di riferimento che non è il riferimento dell’assistente sociale, che all’interno dell’istituzione deve rispondere al suo dirigente, né dell’educatore che deve rispondere alla comunità. Il tutore è una persona terza, che collabora con altre figure, ma comunque è una figura terza.

  1. Vedi la prima parte dell’intervista