Nessuno si senta escluso

Dati e volti di povertà lavorativa dal Rapporto Cares di Caritas Europa


Walter Nanni | 24 Marzo 2022

Il 21 febbraio 2022 Caritas Europa ha presentato il rapporto “Mercati del lavoro inclusivi. Che nessuno rimanga indietro”. Il rapporto, che fa parte di una serie di pubblicazioni che Caritas Europa produce da diversi anni sui fenomeni di povertà ed esclusione sociale in Europa, ha come tema di quest’anno la capacità di inclusione sociale dei mercati del lavoro. Basandosi sui valori di riferimento dell’Europa sociale, rintracciabili all’interno di vari documenti, programmi e strumenti giuridici disponibili nel quadro dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa, lo scopo è quello di offrire una valutazione sulla capacità dei soggetti deboli che vivono nel continente di inserirsi adeguatamente nel mercato del lavoro. La convinzione di base della riflessione è che nel modello sociale europeo, il lavoro si presenta come la principale fonte di benessere, identità e inclusione sociale dell’individuo, e che tale funzione dovrebbe quindi poter contare su politiche mirate, non sostituibile da interventi riparativi o di taglio assistenziale. A tale riguardo sono quindi auspicabili azioni di vasta portata volte a rendere esigibili i diritti sanciti nelle carte nazionali e internazionali1.

 

Attraverso dati aggiornati e testimonianze provenienti dall’esperienza di lavoro della rete Caritas in Europa e dal lavoro di ricerca condotto da IRS, l’indagine dimostra come gli effetti della pandemia da Covid-19 siano andati oltre la dimensione strettamente sanitaria, giungendo ad esercitare un forte impatto socio-economico, soprattutto su coloro che già prima di tale emergenza vivevano in situazione di povertà o si trovavano ad affrontare sfide di accesso al mercato del lavoro. Dall’analisi condotta sul campo, emergono vari gruppi di persone che si rivolgono alla Caritas, e che si trovano spesso esclusi dal mercato del lavoro. Caritas Europa ne individua otto, di diverso tipo: coloro che lavorano in forme occupazionali non standard o irregolari, i giovani lavoratori, i lavoratori anziani, le donne, le persone con disabilità, i Rom, i migranti e le persone rifugiate o richiedenti asilo.

Nel Rapporto, oltre ai dati sui livelli di mancata inclusione nel mercato del lavoro, vengono presentate una serie di esperienze condotte dalle Caritas europee e si evidenziano anche le sfide che i responsabili politici dovrebbero affrontare con urgenza al fine di rendere più inclusivi i mercati del lavoro. Nel testo è presentata una panoramica delle diverse misure attualmente disponibili a livello dell’UE per affrontare queste sfide e per rispondere alle conseguenze del Covid-19 sotto il profilo socio-lavorativo. Nelle pagine conclusive del rapporto sono infine riportate alcune raccomandazioni politiche della Caritas rivolte alla Commissione europea e agli Stati membri che vengono descritte nell’articolo relativo allo studio europeo.

Il Rapporto Cares viene offerto in una versione complessiva, di sintesi europea, e in una serie di 18 rapporti nazionali che si soffermano sulla situazione di altrettanti Paesi, tra cui l’Italia. Il report italiano è scaricabile qui

 

La situazione italiana: volti diversi di manca inclusione lavorativa

Le situazioni evidenziate nel rapporto fanno inevitabilmente riferimento all’impatto che la pandemia da Covid-19 ha esercitato sul mercato del lavoro nazionale ed europeo. Va comunque sottolineato che nel nostro Paese la mancata inclusione lavorativa di determinate categorie di soggetti è riconducibile a carenze politiche e istituzionali di ben più antica origine, e di cui all’interno del Rapporto non è stato possibile ripercorrere in modo compiuto i tratti salienti.

 

Nel corso del 2020, a causa della pandemia, la rete Caritas ha sostenuto 1,9 milioni di persone, attraverso 6.780 servizi di assistenza sociale promossi sia a livello diocesano che parrocchiale, grazie al lavoro di 93.000 volontari. La Caritas è una presenza importante nelle situazioni di disagio e sofferenza. Nei momenti più acuti della pandemia, ha osservato un’evoluzione dei gruppi target che accedono ai suoi servizi, con un numero crescente di famiglie con bambini piccoli, donne (spesso portavoce dei bisogni dell’intero nucleo familiare), giovani e persone in età lavorativa. Sono state realizzate 4.188 attività di ascolto a livello diocesano, zonale e parrocchiale, oltre a 115 progetti di servizio civile in Italia con 833 giovani in 70 diocesi. I servizi includono mense, dormitori, aiuti alimentari e centri di distribuzione degli aiuti di base, ma anche azioni innovative come assistenza domiciliare, orientamento normativo e dei servizi, sviluppo della comunità, coinvolgimento attivo, promozione del lavoro, azione di rete, scolarizzazione, progetti di formazione e istruzione, ecc. I dati evidenziano in tanti casi la centralità della dimensione lavorativa: accanto ad un calo dell’incidenza dei disoccupati (41% nel 2020), si registra nei centri Caritas un forte aumento del numero di occupati che hanno vissuto difficoltà impreviste nel primo anno di pandemia. I working poors di “nuova generazione” giungono a costituire un quarto dell’utenza complessiva della Caritas (25,3%). In effetti, tra le principali sfide che le persone a rischio povertà hanno dovuto affrontare, a seguito della pandemia, vi è l’improvvisa perdita di lavoro e la difficoltà a trovare in tempi brevi un nuovo lavoro.

 

Le misure di sostegno e di blocco dei licenziamenti introdotte dal governo nazionale hanno potuto oggettivamente salvare una forte quantità di posti di lavoro, riducendo il fenomeno della caduta di massa in stato di disoccupazione. Tuttavia, anche a tale riguardo, sono ravvisabili una serie di aspetti critici. In primo luogo, la complessità di alcuni provvedimenti è stata tale da dover richiedere in più occasioni la consulenza di operatori specializzati, non sempre disponibili nell’ambito dei servizi del volontariato. Allo stesso tempo, nonostante la presenza di tali misure, le statistiche Eurostat relative al terzo trimestre 2020, e che riflettono i primi effetti della pandemia di Covid-19, mostrano in Italia una sensibile diminuzione del tasso di occupazione (-1.4 punti percentuali rispetto allo stesso trimestre del 2019). Alcuni di tali effetti hanno amplificato disuguaglianze e divari preesistenti. Per le donne, ad esempio, il calo dell’occupazione è stato ancora più elevato: a dicembre 2020 sono stati persi circa 101.000 posti di lavoro, 99mila dei quali occupati da donne. Durante la pandemia, la sospensione dal lavoro e la riduzione del reddito sono state maggiori per le lavoratrici. Questo perché le donne hanno una presenza maggiore nei settori che sono stati fermati dal lockdown, come il turismo, la ristorazione, il lavoro domestico e i servizi in genere (dove l’84% della forza lavoro è femminile). Dato il crollo della domanda, molte aziende attive in quest’area hanno interrotto, spesso definitivamente, le attività.

 

L’impatto della pandemia sul mercato del lavoro è chiaramente confermato dai dati Caritas forniti dai “lavoratori poveri” che chiedono assistenza alla Caritas. Il numero degli occupati a vario titolo, sostenuti dalla rete Caritas, è decisamente aumentato durante la pandemia. Nel 2019, gli occupati erano appena il 14% del totale assistito dalla Caritas; nel 2020 questo numero è salito al 24,1% (quasi una persona su quattro). Tra gli occupati sostenuti nel corso del biennio 2020/21 vi sono varie situazioni: persone con lavoro informale interrotto a causa del Covid-19; dipendenti in attesa di esubero o di altra natura di benefici economici; dipendenti con un reddito basso preesistente o interessati da riduzioni salariali; lavoratori precari che non potevano contare sugli ammortizzatori sociali; lavoratori autonomi o piccoli commercianti fortemente penalizzati da chiusure nazionali o locali organizzate per contenere la diffusione del contagio, ecc.

In mancanza di un nuovo lavoro, alcune persone, per integrare il reddito familiare ormai inadeguato, sono state costrette a optare per un lavoro informale, anche in settori per loro completamente inediti. Impiegai e operatori del commercio si sono improvvisati manovali, muratori, facchini, idraulici, giardinieri o addetti alle pulizie, determinando in questo un aumento sommerso dell’incidentalità da lavoro, ben visibile agli occhi esperti degli operatori dei centri di ascolto.

Va da sé che le difficoltà domestiche legate al periodo di lockdown hanno reso difficile la ricerca attiva di lavoro, soprattutto per le persone con maggiori oneri familiari, e per le donne con figli piccoli in casa, a seguito della chiusura delle scuole. Oltre a ciò, le forti limitazioni agli spostamenti e la paura dei contagi hanno influito negativamente sulla disponibilità al lavoro delle persone prive di un mezzo di trasporto autonomo.

 

I giovani sono in ogni caso coloro che risentono maggiormente delle ripercussioni dell’attuale emergenza socio-economica sull’occupazione. Già negli anni precedenti la pandemia, il livello di deprivazione economica in Italia appariva inversamente proporzionale all’età: minori e giovani adulti erano tra i gruppi più colpiti dalla povertà assoluta. Come si evince dai dati ufficiali, dal 2019 al 2020 l’incidenza della povertà assoluta nella fascia di età 18-34 anni è aumentata di 2,3 punti percentuali, ed è più che quadruplicata dagli anni pre-crisi ad oggi. Secondo gli ultimi dati Eurostat disponibili al momento della scrittura del report (marzo 2021), nel nostro Paese, il tasso di disoccupazione giovanile in età 15-24 era pari al 33%. Ciò rappresenta un aumento di oltre cinque punti percentuali rispetto a marzo 2020 (27,6%) ed è uno degli incrementi più elevati in Europa. Da un punto di vista storico, il problema riguarda principalmente il sud della Penisola, ma anche le aree interne e le periferie delle grandi città. Anche la diminuzione del tasso di occupazione è stato maggiore tra i giovani rispetto a quanto accaduto in altre fasce d’età, unitamente a un aumento maggiore dell’inattività (+5,6 punti percentuali nell’ultimo decennio). Il motivo delle difficoltà occupazionali è dovuto al fatto che molti giovani sono spesso lavoratori autonomi, categoria che ha subito nel corso dell’ultimo anno enormi battute d’arresto: secondo gli approfondimenti Istat, il calo occupazionale di dicembre 2020 ha coinvolto soprattutto lavoratori autonomi (-79mila nel solo mese di dicembre 2020), e -209.000 per l’intero anno 2020. Inoltre, nel primo semestre 2020 si è registrato un calo anche dei tirocini extracurriculari, scesi del 70%.

 

Tutta la dimensione della formazione professionale ha subito un forte rallentamento, se non uno stop prolungato. Secondo i dati Istat, i tirocini extracurriculari, nel primo semestre 2020, sono calati del 70%. In ambito scolastico, l’alternanza scuola lavoro, gli stage e tirocini formativi sono stati spesso interdetti, a causa della normativa che impediva il ricorso a studenti tirocinanti in presenza di manodopera in cassa integrazione. Nelle scuole e negli istituti di formazione tecnico-professionale, i laboratori e le esercitazioni pratiche sono state sospese per lungo tempo e stanno riprendendo solamente in tempi recenti i ritmi consueti. Siamo di fronte ad una generazione di giovani in uscita dal sistema scolastico professionale che non appare dotata del minimo di competenze necessarie per ambire ad un adeguato inserimento lavorativo.

 

Un’altra categoria colpita con severità dalla pandemia è quella dei lavoratori stranieri. Uno studio sul lavoro domestico prodotto da Assindatcolf (Associazione nazionale assistenti al lavoro domestico)2, evidenzia che tra marzo e dicembre 2020 in questo settore sono stati persi 13.000 posti di lavoro, su un totale di 850.000 lavoratori, per lo più immigrati. Alcune delle misure introdotte sono apparse comunque efficaci: il Bonus Babysitter (1.303.309 richieste), l’Indennizzo Covid per i Lavoratori Domestici (219.396 domande accolte), e per il periodo aprile/ottobre 2020 219 MLN di interventi privati ​​sono stati erogati dal regime assicurativo CAS.SA.COLF (Associazione dei lavoratori e dei datori di lavoro in ambito domestico). Il Decreto Rilancio ha introdotto anche un’indennità di 500 euro al mese di sostegno al reddito per i lavoratori domestici, con oltre 10 ore di lavoro settimanali, purché regolarizzati. Queste misure aggiuntive hanno contribuito all’assunzione di nuovo personale e anche alla regolarizzazione di quello già esistente.

Nel primo periodo di lockdown (marzo-maggio 2020), tra i lavoratori domestici stranieri che hanno perso il lavoro, molti si sono trovati nella difficile situazione di non avere più un lavoro e contemporaneamente di non poter tornare a casa, vista la chiusura delle frontiere. I loro problemi erano aggravati dal fatto che il lavoro domestico non era menzionato nei primi decreti governativi, generando così incertezza e confusione nelle famiglie, in quanto i lavoratori non potevano recarsi sul posto di lavoro. In altri casi, i lavoratori stranieri originari di Paesi confinanti con l’Italia, si sono rifugiati nei luoghi di origine, determinando una migrazione al contrario che non si è ancora risanata: è infatti accaduto che giunti nelle città di origine della famiglia, per diverse ragioni, tra cui il miglioramento delle condizioni socio-economiche di tali paesi rispetto al passato, alcuni lavoratori stranieri hanno trovato un lavoro, decidendo quindi di non fare più ritorno in Italia (tale fenomeno ha determinato in alcune aree ad alto tasso di manodopera straniera, tra cui quelle a forte vocazione turistica, una crisi di domanda e offerta di lavoro).

 

Una delle categorie che in Italia, ancor prima del Covid, soffriva di una evidente esclusione lavorativa è quella delle persone con disabilità. I dati disponibili dimostrano infatti che i canali preferenziali per l’inclusione lavorativa dei soggetti disabili sono di fatto inefficaci: le liste di collocamento speciale previste dalla legge 68/99 riescono a collocare (non in modo definitivo), solamente 20-30mila persone all’anno, a fronte di circa un milione di persone disabili disoccupate o in cerca del primo impiego. Nel nostro Paese, il tasso di occupazione delle persone con disabilità è ancora più basso della media europea: su 100 persone di 15-64 anni che, pur avendo limitazioni nelle funzioni motorie e/o sensoriali essenziali nella vita quotidiana oppure disturbi intellettivi o del comportamento, sono comunque abili al lavoro, solo 35,8 risultano occupati.

 

Raccomandazioni a livello nazionale

In conclusione di ciascun Country Report, vengono riportate delle raccomandazioni rivolte alle autorità pubbliche nazionali, sempre finalizzate a migliorare il livello di inserimento dei soggetti deboli all’interno del mercato del lavoro.

 

Raccomandazione 1: Indennità di disoccupazione per i lavoratori autonomi

Fino al momento della scrittura del report, per quanto riguarda le misure legate alla pandemia, i lavoratori autonomi hanno beneficiato solo di benefici straordinari. Non c’è un piano di ampio respiro per definire un sistema specifico di tutela per questi lavoratori atipici, anche se tale esigenza diventerà urgente nel prossimo futuro. Le autorità nazionali dovrebbero estendere il sistema delle indennità di disoccupazione a tutti i lavoratori autonomi, qualunque sia la tipologia di contratto o il loro luogo di nascita, e questo per essere in grado di tutelare efficacemente la dignità del lavoro, in termini retributivi, di orario, di ruolo e contenuti professionali.

 

Raccomandazione 2: Salario minimo nazionale

È necessario al più presto rimediare alla diffusione incontrollata di bassi salari e sfruttamento. È importante assumere una posizione che tuteli contrattualmente quei gruppi di lavoratori che lavorano in condizioni economiche degradanti e che non sono protetti. Sono allo stesso tempo necessarie misure per garantire che i livelli salariali minimi non scoraggino la regolarizzazione dei contratti di lavoro attualmente in essere.

 

Raccomandazione 3: Riformare l’assistenza alle persone non autosufficienti in Italia

Caritas Italiana raccomanda di sfruttare l’opportunità offerta dal PNRR per avviare il processo di riforma nazionale del sistema di welfare a favore delle persone, soprattutto anziani, non autosufficienti, partendo dall’analisi delle debolezze esistenti nelle politiche pubbliche. Tra i vari tipi di difficoltà, è necessario segnalare la frammentazione degli interventi pubblici, che sono forniti da diverse organizzazioni, spesso non ben coordinate tra loro. L’obiettivo della riforma dovrebbe essere, quindi, quello di coordinare meglio i diversi attori e iniziative, favorendo misure adeguate alle esigenze specifiche degli utenti.

 

Raccomandazione 4: Imprese e lavoro da un punto di vista green

Favorire gli investimenti di posti di lavoro green che consentano di ridurre i consumi energetici, anche coinvolgendo nei prossimi anni le grandi aziende a controllo pubblico nei processi di innovazione strategica e ricerca. Le risorse europee possono consentire di affrontare in modo nuovo le situazioni di crisi industriale, favorendo la ricerca, l’innovazione e la formazione dei lavoratori; accompagnare la nascita di nuove attività o la riconversione “verde” di aziende esistenti; promuovere progetti a favore di persone svantaggiate promuovendo approcci di “inclusione sociale circolare”, attenti alla dimensione ecologica, al riciclo e al riutilizzo, al benessere dell’ambiente.

  1. Questo articolo presenta una sintesi dell’approfondimento sull’Italia realizzato col supporto di Caritas Italiana, a cui farà seguito un prossimo articolo sul più ampio contesto europeo.
  2. Cfr. La pandemia vissuta  dai migranti, in: www.epicentro.iss.it/migranti/dossier-statistico-immigrazione-2020-pandemia