Dare forma e contenuto ai governi locali dei servizi di welfare è da sempre un importante ingrediente per le politiche locali, ed è un tema sul quale quasi tutte le Regioni hanno messo in opera riordini successivi e revisioni periodiche. Non mancano peraltro eventi recenti che possono suggerire nuove riflessioni, come la tendenza ad introdurre Aziende Sanitarie Locali di più ampie dimensioni, oppure ipotizzare (in occasione della messa in opera della governance locale per il Reddito di Inclusione) organi di governo territoriali che puntino a unificare la gestione contestuale di più politiche e servizi, ad esempio socioassistenziali e del lavoro. Su questi temi abbiamo proposto una serie di domande a dirigenti/funzionari di 3 delle Regioni che aderiscono a Welforum: Toscana, Lazio e Puglia. In questo terzo articolo verrà presentata l’esperienza della Regione Lazio1.
Un’avvertenza per il lettore: sarebbe affrettato utilizzare questo materiale per dedurne una comparazione approfondita tra le diverse Regioni; un confronto adeguato richiederebbe infatti materiali più sistematici e una più ampia analisi, anche dei diversi contesti territoriali. Le risposte dunque informano su scelte e strumenti assunti dalle Regioni, e su snodi percepiti come rilevanti; certo (speriamo) anche suggerendo a chi legge spunti sulle diversità.
Potreste in sintesi ricordare quali sono gli atti recenti che hanno riordinato la governance locale del welfare della vostra Regione, ed esporre i principali obiettivi perseguiti?
In Lazio il sistema integrato di interventi e servizi sociali è disciplinato dalla L.R. 11/2016. Tenendo conto di quanto previsto da tale norma, la successiva D.G.R. 660/2017, individuando gli Ambiti territoriali responsabili della gestione di tale sistema, prevede esplicitamente che la gestione associata dei servizi sociali possa avvenire attraverso l’utilizzo di uno degli strumenti associativi previsti dal D.Lgs. 267/2000 (convenzione, consorzio di funzioni o Unione di Comuni), individuabili secondo autonome scelte da parte dei Comuni. Tuttavia, ancor prima della L.R. 11/2016, era stato predisposto dalla Regione uno schema di convenzione tipo che i distretti sociosanitari hanno seguito nell’adozione dei loro atti. Tale schema resta valido dal punto di vista sostanziale anche dopo l’entrata in vigore nella nuova legge, alla quale sarà comunque presto adattato.
Le Linee guida per l’integrazione sociosanitaria della Regione Lazio (D.G.R. 149/2018), che danno attuazione alla L.R. 11/2016, contengono poi le indicazioni necessarie per completare il processo di cambiamento in atto nella Regione circa il rafforzamento dell’integrazione tra politiche della salute e politiche sociali, in modo da rendere omogeneo il livello delle prestazioni su tutto il territorio regionale.
Inoltre, nell’ottica del potenziamento della governance a livello distrettuale, sono state di recente adottate apposite Linee guida (D.G.R. 751/2017) in ordine all’organizzazione, alla dotazione organica e al funzionamento dell’Ufficio di Piano. Queste disposizioni hanno per la prima volta disciplinato in maniera organica natura e funzioni di tali uffici, prevedendo inoltre uno specifico regolamento, da adottarsi da parte dei distretti sociosanitari, sulla base di un modello approvato dalla Regione e in sostituzione di quanto previsto dalla precedente normativa.
Prima il SIA e poi il ReI hanno previsto la costituzione di “Ambiti territoriali”. Si tratta di organismi diversi da quelli che gestiscono le altre funzioni socio assistenziali dei Comuni? È previsto che tali Ambiti ne divengano l’unico organismo di gestione?
Gli Ambiti territoriali sono coincidenti con i Distretti sociosanitari (attualmente 36 oltre i 15 municipi di Roma capitale) individuati dalla normativa regionale vigente. È già previsto l’obiettivo di rendere gli Ambiti territoriali l’unico organismo di gestione associata per conto dei Comuni delle loro funzioni socio assistenziali, anche se per il momento si tratta di un percorso ancora in divenire, non perfezionato in maniera uniforme su tutto il territorio regionale.
Quale forma di gestione associata delle funzioni socio assistenziali comunali ritenete migliore e da incentivare? Attraverso quali meccanismi?
Ancorché non sia stata operata un’esplicita opzione normativa in tal senso, vi è una precisa impostazione che mira a privilegiare l’instaurazione di forme associative dotate di personalità giuridica, in particolare i Consorzi. A tal fine, la D.G.R. 934/2017 prevede lo stanziamento di incentivi di natura economica (utilizzabili in termini di ampliamento dei servizi territoriali) per quegli Ambiti territoriali che adottino la forma consortile.
Tra gli obiettivi del riordino, vi è anche quello di attivare un governo locale che miri a ricomporre i diversi segmenti delle politiche di welfare? E se questa prospettiva di “governo unico” non è realistica:
- Quali politiche ritenete sia prioritario possano essere gestite localmente da un governo unitario?
- Quali meccanismi locali, diversi dalla gestione entro un unico governo, sono possibili per garantire l’integrazione di più politiche?
La prospettiva di un governo unico al momento non è realistica, tuttavia rientra negli obiettivi di implementazione della governance regionale. In tal senso, oltre ai percorsi già attivati nell’integrazione sociosanitaria, il REI costituisce il primo passo verso la progressiva acquisizione di consapevolezza da parte del territorio che il benessere complessivo della persona può essere conseguito soltanto superando i “compartimenti stagni” delle singole politiche pubbliche. Oltre a quelle socio assistenziali, abitative, del lavoro, dell’istruzione e dei trasporti, ulteriori reti da integrare in un governo locale unitario sono senz’altro quelle che attengono al rapporto con i distretti giudiziari, tanto dal punto di vista dell’amministrazione di sostegno quanto da quello tutelare.
Pensate che sia opportuno individuare un unico tipo di organismo locale che gestisca tutte le funzioni socioassistenziali e sociosanitarie, oppure uno diversificato? Perché? Nel caso della seconda scelta, non esiste il rischio di reticoli di governo locale frantumati per funzioni?
Attraverso atti già adottati, sono stati individuati diversi livelli territoriali in grado di rispondere in maniera più adeguata al fabbisogno di servizi e all’integrazione sociosanitaria. In particolare, mentre si è inteso mantenere i servizi di base al livello distrettuale, per alcuni servizi gli Ambiti sono stati aggregati in territori più ampi (c.d. “sovrambiti”), in modo da assicurare economie di scala più coerenti con la dimensione economica di servizi quali, ad esempio, il “Dopo di Noi” e la programmazione di strutture residenziali (DGR 660/2017). Laddove invece sia necessaria una ancor maggiore dimensione territoriale di programmazione, la governance è stata ricondotta ad un livello territoriale coincidente con quello delle ASL (es. interventi in favore di persone affette da Alzheimer).
Tra gli obiettivi del riordino, vi è anche la valorizzazione del ruolo dei Comuni? Come viene perseguita?
Il ruolo dei Comuni non è vanificato dai modelli di governance adottati, anche se l’obiettivo principale è l’ottimizzazione del sistema, che passa necessariamente dall’adozione di strumenti di gestione associata su scala più vasta. Ciò non vuol dire che i bisogni e le attività dei Comuni passino in secondo piano, bensì che debbano essere perseguiti in maniera più efficace attraverso strumenti integrati.
In particolare, restano intatti i punti di riferimento base di livello comunale, soprattutto per quanto riguarda la presenza del segretariato sociale e del servizio sociale professionale, che riveste sempre maggiore importanza in connessione sia all’integrazione sociosanitaria (attraverso i PUA) sia al REI (attraverso l’attivazione di specifici punti REI).
La rappresentanza dei Comuni viene soprattutto valorizzata all’interno dei meccanismi partecipativi e deliberativi degli organi istituzionali, attraverso specifici dispositivi di ponderazione delle votazioni previste nelle convenzioni.
Se da un lato può essere rilevante l’esigenza di compattare organi di governo su aree territoriali più ampie, non esiste il rischio di forme di “gigantismo” dei governi locali dei servizi di welfare, e di conseguenti loro allontanamenti dai Comuni?
Il rischio esiste senz’altro, in quanto un elevato livello di collaborazione tra Enti territoriali si può raggiungere soltanto a valle di un percorso complesso, che nei vari distretti si presenta oggi assai disomogeneo. Tuttavia, si tratta di un rischio oggetto di costante monitoraggio da parte della Regione e che si ritiene opportuno correre come corrispettivo dei benefici che può arrecare.
Le nuove forme di governo locale implicano anche nuovi meccanismi per la programmazione regionale? Nello specifico:
- Un più stretto legame tra atti regionali, e quindi l’esigenza di “Piani regionali” che includano le diverse politiche di welfare?
- Una modifica delle procedure di coinvolgimento dei governi locali nella programmazione regionale?
Si tratta di un percorso da sviluppare in parallelo tra livello territoriale e regionale. Sicuramente sono auspicabili e necessari nuovi meccanismi di ulteriore integrazione; per quanto riguarda il coinvolgimento dei governi e degli attori sociali si è già cominciato a procedere nel settore dei servizi sociali, attraverso un percorso partecipativo che ha portato alla recente elaborazione di una proposta di nuovo Piano sociale regionale, pubblicato per gli anni 2017-2019. Si tratta del primo documento di programmazione organica delle politiche sociali di cui la Regione si dota dal 1999: il testo, frutto di un percorso di redazione partecipata, mette al centro la lotta alla povertà, l’integrazione sociosanitaria e il potenziamento dei servizi.
Tra gli obiettivi del riordino, vi è anche l’obiettivo di favorire la partecipazione alla governance locale dei soggetti sociali del territorio? In quale modo?
Esistono già meccanismi partecipativi di livello territoriale, che si concretano per esempio nella programmazione condivisa dei Piani Sociali di Zona, presentati alla cittadinanza dopo un percorso che coinvolge, tra gli altri, le organizzazioni sindacali e i soggetti del terzo settore. Sul tema, con l’obiettivo di dare avvio ad un nuovo welfare regionale in grado di dare risposte concrete ai bisogni, sono state di recente emanate le Linee di indirizzo in materia di partecipazione attiva nella programmazione territoriale delle politiche sociali (D.G.R. 688/2017).
Se avete già attivato riordini delle forme di governo locale, di quali meccanismi di valutazione degli effetti vi siete dotati? Che tipo di evidenze avete rilevato?
A partire dalla metà del 2018 sono in corso tre importanti processi inerenti al riordino dei territori: l’associazione delle funzioni sociali tra i Comuni dello stesso distretto; le Linee guida del marzo 2018 sull’integrazione sociosanitaria che impongono, tra l’altro, una convenzione tra distretti sociali e sanitari dello stesso territorio; e la nuova dimensione del “sovrambito”, ossia aggregazioni su specifici programmi sperimentali di più distretti.
Il monitoraggio di queste innovazioni sta partendo: attualmente stiamo individuando strumenti ed iniziative specifiche. Al momento però stiamo registrando soprattutto una serie di difficoltà dei territori ad aderire alle tante novità riguardanti la governance locale.
Potreste esporre i punti di forza e le criticità dell’attuale scenario dei governi locali del welfare nella vostra Regione?
Il punto di forza del welfare locale laziale consiste essenzialmente nel fatto che, laddove sono state associate in maniera più integrata le funzioni sociali comunali – anche attraverso la costituzione di appositi Consorzi – si è rilevata una maggiore efficienza ed omogeneità nella programmazione dei servizi, nonchè una più efficace utilizzazione delle risorse.
Tra i punti di debolezza si segnalano invece le perduranti resistenze politico-culturali nell’instaurazione di un’effettiva gestione associata dei servizi, con delega complessiva delle funzioni sociali comunali. Tali resistenze si traducono, ad esempio, nella misura ridotta dei cofinanziamenti ai servizi distrettuali da parte di Comuni che invece perseverano nella gestione singola delle proprie risorse. A tal proposito, sono in corso di realizzazione una serie di azioni, anche dal punto di vista degli strumenti normativi, volte a guidare il territorio proprio verso il superamento di tali criticità.