Se la spesa per la badante diventa insostenibile

Otto su dieci famiglie chiedono assegno universale maggiorato


Andrea Zini | 5 Aprile 2023

A seguito dello scoppio del conflitto russo-ucraino e del conse­guente incremento dei prezzi delle materie prime, il tasso di infla­zione in Italia, già in aumento agli inizi del 2022, ha accelerato la sua ‘corsa’, raggiungendo alla fine dell’anno livelli che non si regi­stravano dalla metà del 1980. Questa situazione ha generato un forte impatto sulle famiglie che, in generale, hanno dovuto affrontare negli ultimi mesi del 2022 un riadattamento del proprio stile di vita. La ‘galoppante’ inflazione ha, infatti, prodotto una diminuzione del potere d’acquisto, acuendo le diseguaglianze sociali fra le diverse compo­nenti della popolazione. In questo contesto, anche le spese per il settore domestico hanno subito un considerevole incremento a partire 2023.

Dal 1° gennaio, con l’aggiornamento delle retribuzioni minime in base alla variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo, si è determinato un incremento del 9,2% rispetto alle tariffe dell’anno precedente e dell’11,5% dell’in­dennità di vitto e alloggio (dovuta ai domestici assunti in regime di convivenza). Tale aumento ha generato un impatto sui costi a carico delle famiglie, soprattutto su quelle datrici di personale assunto per lunghi orari di lavoro o a tempo pieno in convivenza, con particolare riferimento alle assistenti familiari comunemente denominate ‘badanti’. Di norma, infatti, in questi casi la retribuzione effettiva concordata con il lavoratore si avvicina molto ai minimi sindacali e da qui l’incremento effettivo in busta paga. Per quanto ‘sacrosanto’, tale aumento ha generato pesanti ricadute sui budget familiari, già gravati dagli aumenti dei prezzi dei beni e da quelli delle bollette. Per meglio far comprendere l’impatto sui costi, come Assindatcolf abbiamo elaborato alcuni esempi. Nel caso di un’assistente a persona non autosufficiente (badante) assunta per svolgere attività per 30 ore settimanali (non in regime di convivenza) si è passati da un costo totale mensile di 1.155,74 euro nel 2022 a 1.262,72 euro nel 2023, facendo registrare un incremento di 106,90 euro mensili. Maggiore quello previsto per una badante convivente a tempo pieno: qui il costo mensile è passato da 1.322,79 euro nel 2022 a 1.445,38 nel 2023, ovvero un incremento di 122,59 euro al mese. Ancora superiore quello previsto per una baby sitter non convivente assunta per assistere bambini al di sotto dei 6 anni di età per 40 ore settimanali: +142,65 euro al mese, si è infatti passati da un costo totale mensile di 1.538,82 nel 2022 a 1.681,47 nel 2023. A queste cifre va aggiunto, inoltre, l’incremento del fondo TFR, con un +9,2%, e l’aumento dei contributi obbli­gatori previdenziali dell’8,1% da versare all’Inps per tutti i lavoratori domestici. Nel caso dei rapporti di lavoro della durata superiore a 24 ore settimanali passano da 1,06 euro l’ora a 1,15 euro. Come si evince dagli esempi sopracitati, non stiamo parlando di ruoli sostituibili o rinunciabili, ma di figure essenziali – come la badante o la baby sitter – a garantire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

In questo contesto si è inserita la rilevazione fatta dal Censis tra il mese di dicembre 2022 e quello di gennaio 2023, contenuta nel 1° capitolo del Rapporto 2023 Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico, il nuovo progetto editoriale promosso da Assindatcolf con la partnership di Censis, Effe (European Federation for Family Employment & Home Care), Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e Centro Studi e Ricerche Idos. Un’indagine statistica nata con l’obiettivo di approfondire l’impatto dell’economia nazionale sulle famiglie associate ad Assindatcolf e, quindi, in regola sotto il profilo lavorativo del domestico. Alla rilevazione hanno partecipato 1.122 famiglie, caratterizzate soprattutto da coppie con figli (il 51,5%) e dalla presenza di familiari con più di 65 anni d’età (62,9%). Tra i principali risultati emersi, oltre alla preoccupazione verso l’andamento generale dell’economia nazionale (aumentato negli ultimi sei mesi per un intervistato su otto), quasi 6 famiglie datrici di lavoro domestico su 10 (il 59% delle famiglie associate ad Assindatcolf) hanno espresso allarme relativamente al costo di gestione degli anziani e dei non autosufficienti. A motivare l’insostenibilità della spesa per le prestazioni di una badante vi sono ragioni che rimandano soprattutto al crescente bisogno di assistenza, da una parte, e all’indisponibilità futura di risorse avendo già usufruito dei propri risparmi per mantenere il livello di assistenza attuale e necessario, dall’altra.

E ancora, nella scala delle priorità rispetto agli strumenti più urgenti da adottare nell’ambito della tutela della non autosufficienza le famiglie posizionano al primo posto la previsione di incentivi all’assunzione per ridurre il costo che si deve sostenere per la badante. Segue, al secondo posto, la promozione di interventi di sanità preventiva presso il domicilio delle persone anziane e, al terzo, il miglioramento dell’invecchiamento attivo, con la predisposizione di accessi facilitati ai servizi sanitari e sociali. Interpellate rispetto ai nuovi strumenti di tutela previsti dall’allora Disegno di Legge Delega, di recente convertito in Legge, in favore delle persone anziane, oltre 8 famiglie su 10 (l’82,9%) ha poi dichiarato di preferire una prestazione universale in denaro commisurata all’effettivo fabbisogno assistenziale, con la previsione di una maggiorazione in presenza di personale domestico regolarmente assunto, rispetto all’importo dell’attuale indennità di accompagnamento senza vincoli di utilizzo, scelto solo dal 17,1% degli intervistati.

Oltre allo stato d’animo delle famiglie nell’attuale congiuntura, lo studio affronta anche questioni di portata più generale come l’invecchiamento della popolazione e le prestazioni irregolari nel lavoro domestico. In Italia l’età media passerà dagli attuali 45,9 anni a 49,6 anni nel 2040, fino a superare i 50 anni dopo il 2050. Sono poco più di 14 milioni le persone con almeno 65 anni, circa 3 milioni le persone con gravi limitazioni nelle attività svolte abitualmente. Nella logica di un generale riassetto del welfare rispetto ai cambiamenti demografici non può rimanere escluso l’annoso problema del lavoro domestico irregolare che, secondo lo studio, nell’anno 2020 ha registrato un tasso di irregolarità pari al 52,3% per gli occupati e del 54% se si prendono in considerazione le posizioni lavorative.

Alla soluzione di queste criticità si confida possano, almeno in parte, rispondere alcuni recenti provvedimenti come il Family Act1, il Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso2, soprattutto, la Legge Delega in materia di politiche in favore delle persone anziane3. Il nostro auspicio è che possano essere recepite le indicazioni che arrivano direttamente dalle famiglie, oramai consapevoli di come la gestione della non autosufficienza non possa più essere affidata a soluzioni precarie, provvisorie o fai da te. Al contrario servono aiuti concreti che rendano sostenibile la spesa e, allo stesso tempo, facciano emergere il lavoro irregolare.

In questo contesto complessivamente (pur se teoricamente) positivo, ribadiamo un concetto di base: non si può e non si deve fare di “tutta l’erba un fascio”. Il tema dell’aiuto alle famiglie è diverso rispetto a quello del lavoro regolare (emersione del lavoro nero). Per soddisfare il secondo – che riteniamo sia trasversale e basilare – occorre intervenire sulla leva della deducibilità fiscale. Quanto agli aiuti che necessitano le famiglie, gli interventi dovrebbero, invece, essere immediati (erogazioni materiali e mensili). Inoltre, considerando che gli interventi relativi a natalità (Assegno Unico e Universale), alla non autosufficienza (Prestazione universale – Indennità di accompagnamento) ed un domani anche eventuali assegni per l’empowerment femminile dovranno servire per questo scopo, riteniamo che non debbano in alcun modo mescolarsi con altre misure dedicate al sostegno puramente economico alle famiglie. Occorre interrompere quel circolo vizioso che alimenta il lavoro irregolare: da una parte il lavoratore percepisce sussidi statali destinati alla povertà, dall’altra la famiglia che non adempie alle obbligazioni contributive ed ad alcune contrattuali (non sempre e non totalmente). Peraltro gli interventi che auspichiamo prevederanno sia i decreti delegati del Family Act, sia le azioni del Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso, avranno necessariamente una funzione di diminuzione del costo del lavoro che permetterà il tanto auspicato minor costo del lavoro regolare rispetto al lavoro irregolare.

In conclusione: tutte le norme che abbiamo citato potrebbero generare un’offerta di lavoro con parametri economici in aumento, tendenza che si sommerebbe alla minore disponibilità di lavoratrici a fronte di un aumento della domanda delle famiglie. Ne siamo consapevoli, ma è oggettivamente la logica di ogni sistema di domanda/offerta. Vi sarà un nuovo equilibrio e tutte le forze in campo, compreso lo Stato, dovranno reagire. Non a caso ci siamo preoccupati della normativa sul salario minimo. La normazione statale può e deve regolare l’incontro domanda/offerta di lavoro, nonché le regole minime dei diritti sociali, prevedendo anche i livelli minimi di assistenza, ma deve necessariamente fare i conti con le famiglie, che non sono imprese e non si possono ‘chiudere’ perché in un regime concorrenziale sopravvivono solo quelle sane. Al contrario, saranno purtroppo proprio le famiglie meno sane (e non solo in senso economico) a dover fare i conti con normative insostenibili.

  1. Legge 7 aprile 2022, n. 32 “Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia”, c.d. Family Act.
  2. Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, 19 dicembre 2022 “Piano nazionale per  la lotta al lavoro sommerso per il  triennio  2023-2025”, pubblicato in G.U. Serie Generale n. 298 del 22 dicembre 2022.
  3. Legge 23 marzo 2023, n. 33 “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane”, c.d. Legge Delega Non Autosufficienza