Terzo settore tra Anac e Consiglio di Stato. Ma ora è il momento della politica


Gianfranco Marocchi | 30 Dicembre 2019

Il 27 dicembre 2019 è stato diffuso il parere del Consiglio di Stato indirizzato all’ANAC e riguardante le “Linee guida in materia di affidamenti di servizi sociali”, oggetto di consultazione nell’estate scorsa e di cui era attesa la pubblicazione definitiva. Che forse, a questo punto, non ci sarà mai.

Ma andiamo con ordine.

Anac aveva approvato con deliberazione 32/2016 le “Linee guida per l’affidamento di servizi a Enti del Terzo settore e alle cooperative sociali” (si noti per inciso: l’oggetto così definito presenta certo talune sovrapposizioni con gli “affidamenti di servizi sociali” della recente consultazione, ma sicuramente ancor più rilevanti e non casuali difformità). Già in quella sede Anac aveva rilevato come tale deliberazione, intervenuta quando Codice dei contratti pubblici e Riforma del terzo settore erano in fase di avanzata discussione (come è noto vedranno entrambi la luce nei mesi immediatamente successivi), avrebbe con ogni probabilità necessitato di un successivo aggiornamento quando tali atti fossero stati approvati. Dunque, nulla di strano che Anac abbia deciso di mettere mano a quanto deliberato tre anni prima.

Nel frattempo però erano avvenute alcune cose rilevanti. Il Consiglio di Stato (sì, lo stesso organo che aveva vistato il Codice del Terzo settore approvato nel luglio 2017 senza eccepire) aveva pubblicato, su interpello dell’Anac, un parere fortemente restrittivo rispetto agli istituti più avanzati del Codice stesso, in particolare l’art. 55 relativo a coprogrammazione, coprogettazione e accreditamento, nonché ai seguenti articoli 56 (convenzioni con organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale) e 57 (Servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza): parere arroccato su ideologie mercatiste fortemente conservative, ampiamente criticato da insigni giuristi, penalizzante rispetto alle esperienze più avanzate di collaborazione tra Enti pubblici e Terzo settore che si stavano in quei mesi diffondendo (ne abbiamo parlato in questi articoli: Marocchi – 31.08.18; De Ambrogio – 06.09.18; Marocchi – 10.09.18; Borzaga – 23-09-19).

 

E questa, appunto, è la seconda e più rilevante cosa avvenuta, non tra i giuristi ma nel mondo reale. Una semplice ricerca internet con le parole “bando coprogettazione” evidenzia la quantità di esperienze di collaborazione tra enti pubblici e terzo settore siano partite in questi mesi (prima e anche dopo il parere del Consiglio di Stato).

Di fronte a questo Anac, che pure aveva stimolato il parere in questione, aveva proposto alla consultazione linee guida sicuramente ancora timide, ma non prive di alcune aperture, almeno sulla questione della coprogettazione; mentre rimanevano fortemente problematiche le interpretazioni di alcune delle criticità del Codice dei contratti pubblici, una su tutte l’applicazione al welfare del “principio di rotazione” che, come si è argomentato qui, porta a situazioni dannose per i cittadini, degradanti per il Terzo settore e frequentemente anche illegali dal punto di vista della normativa in tema di intermediazione di manodopera.

 

A seguito della consultazione Anac aveva raccolto numerosi pareri e si apprestava a emanare le proprie “linee guida non vincolanti”, previa sottoposizione di tale testo al Consiglio di Stato.

E qui la doccia fredda. Il Consiglio di Stato in sostanza argomenta che, a seguito di quanto previsto nello “sblocca cantieri”, Anac non ha più la competenza per emanare linee guida se ciò non è esplicitamente previsto dal Codice dei contratti pubblici e anche la facoltà di approvare linee guida non vincolanti è limitata agli aspetti strettamente connessi con il Codice dei contratti pubblici, essendo invece fuori luogo l’ambizione di Anac a regolare i rapporti tra questo e il Codice del Terzo settore. In sostanza, il Consiglio di Stato, non entra nel merito delle Linee guida proposte da Anac, ma afferma che per una parte significativa dei contenuti proposti non hanno ragion d’essere (vedi il commento di Elvis Cavalleri su giurisprudenzappalti.it). Anzi, sarebbe scorretto che venissero emanate.

 

Di qui, alcune brevi riflessioni. Si potrebbe parlare della caducità delle fortune umane: da un’epoca non lontana in cui ogni cenno dell’Anac sembrava imprescindibile, ad una scena imbarazzante come quella odierna, in cui la stessa Istituzione pare messa sbrigativamente alla porta come un venditore abusivo. Da un’epoca in cui un soggetto nato per uno scopo specifico come contrastare la corruzione (una delle molte potenziali patologie nelle gestione della cosa pubblica) vedeva esteso in ogni momento il proprio ruolo a nuove competenze, ad un ridimensionamento repentino e deciso, che preclude anche la possibilità di emettere un parere non vincolante.

E, al tempo stesso, un’altra tecnocrazia come il Consiglio di Stato che sgomita per appropriarsi di spazi,  sino, lo si ricorderà nel parere dell’agosto 2018, a richiedere la disapplicazione di parti del Codice del Terzo settore, insomma a intestarsi (motu proprio, andando ben oltre quanto dovuto in risposta ad Anac) un’azione frontale di censura rispetto a norme dello Stato definite da alcuni giuristi di “rilevanza costituzionale”.

 

In questo quadro vi è un assente, che è bene ritorni prepotentemente in scena: la politica. La politica intesa in senso alto, come luogo chiamato a indirizzare e sostenere attivamente esperienze e innovazioni che meglio interpretano l’interesse generale, dando ad esse una cornice regolativa adeguata.

E su questi temi in questi mesi si sono lasciate istituzioni e società civile, la parte migliore delle istituzioni e della società civile, troppo sole. Le migliori esperienze di questo Paese sono quelle di istituzioni, generalmente enti locali, aperte al cambiamento che collaborano e condividono poteri e responsabilità con soggetti di terzo settore, alleati per costruire il bene comune. Sono queste le esperienze che hanno prodotto i maggiori benefici per i cittadini, come documentato da innumerevoli esperienze.

È corretto che chi agisce per il bene dei cittadini sia lasciato solo, a confrontarsi con tecnocrazie immensamente più potenti che hanno come compito la verifica di aspetti tecnico giuridici, ma che in assenza della politica tendono irrimediabilmente a supplire ad essa introducendo autonomamente orientamenti ispirati a visioni discutibili e parziali?

 

La politica riconosca le esperienze di operatori sociali, amministratori locali, volontari, cooperatori sociali che stanno costruendo le frontiere più innovative del bene comune e intervenga in modo chiaro e decisivo per legittimarle e sostenerle, rafforzando oltre ogni dubbio interpretativo la possibilità di agire con strumenti trasparenti e collaborativi come la coprogrammazione e la coprogettazione e riconoscendo la specificità delle relazioni in ambiti di interesse generale così da rimuovere meccanismi, come, fra gli altri, il principio di rotazione, del tutto incomprensibili e contrari al buon senso.