Un messaggio di impegno per l’accoglienza dal Global Forum sui Rifugiati


Maurizio Ambrosini | 27 Febbraio 2024

È difficile trovare buone notizie nello scenario internazionale delle politiche dell’asilo. Il nuovo patto europeo presentato a dicembre ne è un chiaro esempio. Eppure sempre nello scorso dicembre qualche spiraglio si è aperto su un altro versante, quello del secondo Global Forum on Refugees, a cui hanno partecipato 4.200 iscritti in rappresentanza di 168 governi, oltre a folte delegazioni di ONG e rappresentanti del settore privato, 300 rifugiati e altre 12.000 persone collegate online.

Sappiamo anche che gli impegni assunti dai governi in questi grandi eventi stentano a tradursi in azioni concrete, che comportano costi economici e dissensi politici. Le solenni promesse di azione umanitaria sono tra quelle più smentite dai fatti: dal punto di vista dei governi, aggravano i conti e non producono consensi, anzi spesso ne fanno perdere. Ma sappiamo anche che il primo atto per produrre un cambiamento è decidere di volerlo. Con questo cauto ottimismo della volontà diamo quindi voce ai risultati del Forum. Cominciamo con un dato di sintesi: nell’insieme, i partecipanti hanno assunto 1.600 nuovi impegni (pledges), per un valore complessivo di 2,2 miliardi di dollari, che dovrebbero aggiungersi a quelli già stabiliti dagli accordi bilaterali e multilaterali.

Vediamo poi i quattro principali obiettivi su cui hanno convenuto i partecipanti al Forum.

Il primo riecheggia un punto su cui aveva già insistito il Global Compact on Refugees del 2018, quello che l’Italia del governo Conte 1 non aveva firmato a causa del veto di Salvini, ma che aveva messo d’accordo quasi tutti  gli Stati del mondo:  occorre alleggerire la pressione sui paesi che oggi accolgono la gran parte dei rifugiati globali. Come ricorda anche il documento finale del Forum, tre quarti dei profughi (giunti nel 2023 a un totale di 114 milioni, di cui 36,4 milioni sono rifugiati internazionali) sono accolti in paesi a basso e medio reddito, oltre un quinto nella fascia dei paesi più poveri. L’80% ha trovato asilo in paesi che nell’insieme formano soltanto il 19% del prodotto lordo mondiale. “Bisogna fare molto di più per proteggere e costruire un futuro per i rifugiati del mondo, per trovare soluzioni durature, per sostenere i paesi ospitanti mediante cooperazione internazionale, solidarietà, una più equa ripartizione del peso e della responsabilità da parte dell’intera comunità internazionale”. Il sostegno ai paesi di accoglienza dovrebbe prevedere accordi pluriennali, promuovendo un legame tra pace e sviluppo, e coinvolgere oltre agli Stati una pluralità di attori, compreso il settore privato e finanziario.

Il secondo obiettivo consiste nell’innalzare l’autonomia dei rifugiati: altro punto di viva attualità, se si pensa che le politiche attuali tendono di fatto a silenziare e passivizzare le persone in cerca di asilo, a partire dalla negazione della facoltà di scegliere il luogo in cui essere accolti. Autonomia significa dunque libertà di movimento, accesso al mercato del lavoro, fruizione di opportunità educative. Tutto questo comporta certamente dei costi, ma si tratta in ultima analisi di un investimento vantaggioso, capace di generare opportunità socio-economiche sia per i rifugiati, sia per le società ospitanti.  A questo proposito, un impegno multi-attore prevede di supportare 20 milioni di persone, tra rifugiati e residenti nelle comunità locali interessate, colpite da crisi nelle forniture alimentari.

Particolare attenzione è poi rivolta alla questione educativa, con l’impegno ad assicurare che tutti i minori rifugiati abbiano accesso ad opportunità educative di qualità, fissando l’impegno di promuovere l’accesso all’educazione terziaria (ossia all’università o a istituzioni analoghe) del 15% dei giovani rifugiati entro il 2030.

Il lavoro è essenziale come risorsa per il conseguimento dell’autonomia personale. Partendo dal dato stimato di un raddoppio in due anni della partecipazione dei rifugiati all’economia informale, il Global Forum  annuncia un impegno per la creazione di opportunità d’impiego e per l’accesso a prodotti e servizi finanziari a favore di un milione di rifugiati e delle comunità che li accolgono. Il Forum intende inoltre impegnarsi per la trasformazione dei campi profughi in insediamenti integrati nei contesti locali, innescando processi di sviluppo sia per i rifugiati sia per le  popolazioni residenti.

Al primo obiettivo, quello di alleggerire il carico sui paesi di prima accoglienza, si collega il terzo: espandere l’accesso a soluzioni da realizzare in paesi terzi, dunque essenzialmente paesi sviluppati. Questo risultato può essere ottenuto anzitutto mediante reinsediamenti operati dai governi: cresciuti di recente (114.000 nel 2022), rimangono però modesti in confronto alle esigenze (l’UNHCR ha raccolto e approvato, sempre nel 2022, 1,5 milioni di richieste). L’impegno in questo caso è quello di andare ben oltre i numeri attuali, reinsediando un milione di rifugiati entro il 2030, e prevedendo inoltre la salvaguardia dell’unità familiare mediante i ricongiungimenti. Entrano poi in gioco le sponsorizzazioni private e comunitarie, di cui si promette di aumentare il numero, la scala e la diversità. Rientrano qui i “corridoi umanitari” inventati in Italia dalle chiese cattolica e protestante, che hanno finora consentito l’arrivo in condizioni sicure e l’accoglienza diffusa di 5.600 profughi, una soluzione poi adottata in Francia, Belgio, Andorra, e per un piccolo numero in Germania.

Un altro canale di trasferimento dei rifugiati verso destinazioni più sicure e promettenti passa attraverso i “percorsi complementari”, come quelli destinati agli studenti (“Students at risk”), ai ricercatori (“scholars at risk”), agli sportivi, ai lavoratori in possesso di determinate competenze, come i professionisti della sanità. Dalla Dichiarazione di New York del 2016, 1,2 milioni di rifugiati hanno beneficiato di percorsi complementari. Ora l’impegno assunto dal Global Forum riguarda 200.000 rifugiati da accogliere mediante progetti relativi a lavoro ed educazione. Da rilevare anche l’impegno a dotare i rifugiati di un “passaporto Nansen del XXI secolo”, ossia di un accesso facile e rapido a documenti di viaggio rinnovabili riconosciuti a livello internazionale.

Il quarto obiettivo guarda invece ai paesi di origine e si traduce nel sostegno per assicurare il ritorno in condizioni di sicurezza e dignità. Il Forum ricorda che la maggior parte dei rifugiati vorrebbero tornare alle loro case per vivere in pace e tranquillità, ma occorre realizzare le condizioni per poterlo fare: negoziare accordi di pace, affrontare le radici dei conflitti, operare per consentire un ritorno sostenibile. Sostegno finanziario e tecnico ai paesi di origine deve essere fornito dagli stati interessati e da altri attori rilevanti, per risolvere le cause delle migrazioni forzate e per promuovere la capacità di accogliere e reintegrare i rifugiati. Gli impegni riguardano l’accesso all’abitazione, alla terra, alla proprietà. Richiedono inoltre azioni di peacebuilding e prevenzione dei conflitti, mediante attività di analisi, programmazione, tutela legale, affrontando i discorsi d’odio e la disinformazione.

Il Forum prevede poi impegni trasversali: a livello regionale, per rimediare a crisi come quella afghana o quella che coinvolge la popolazione roingya della Birmania, quella centrafricana, quella dell’America Centrale e del Messico; coinvolgendo le città e i governi locali; rafforzando l’inclusione dei rifugiati nei processi decisionali che li riguardano; accordando una protezione maggiore alle donne e prevenendo la violenza ai danni delle donne rifugiate.

Un aspetto inedito e non scontato si riferisce alle imprese e al settore privato. Tra impegni già assunti e preventivati, è formalizzata nel documento finale del Forum una cifra di 250 milioni di dollari, nonché interventi a favore di rifugiati imprenditori, attività formative finalizzate al lavoro, borse di studio. Il settore privato dovrebbe inoltre fornire nei prossimi quattro anni un milione di ore di servizi legali e di consulenza gratuiti, oltre a servizi finanziari e di connettività su richiesta dei rifugiati.

Concludendo, il documento ricorda che le attività umanitarie non possono sostituire l’impegno politico per la ricerca di soluzioni politiche ai conflitti. Tuttavia, accogliere i rifugiati significa rafforzare l’ordine internazionale. “Investire nei rifugiati significa investire nella nostra sicurezza collettiva, abbandonare i rifugiati al bisogno e alla disperazione potrebbe avere un impatto su ciascuno di noi”. Dai piani alti della politica internazionale è arrivato questa volta un messaggio di buona volontà. Vedremo se i governi e tutti gli altri attori coinvolti vorranno raccoglierlo e metterlo in pratica.