Welfare fiscale-aziendale: diffusione e criticità


Giulia MalloneMarco Arlotti | 31 Maggio 2022

Introduzione

Nel corso dell’ultimo decennio il “welfare aziendale”, inteso come l’insieme degli interventi di protezione sociale messi in campo dalle imprese, ha acquisito – in un contesto di incremento dei bisogni e ridimensionamento del welfare pubblico – nuova centralità per i lavoratori e risonanza mediatica all’interno del dibattito pubblico. Anche l’aggiornamento della normativa che disciplina le agevolazioni fiscali a favore delle imprese, culminato con l’approvazione delle disposizioni contenute nelle leggi di stabilità per gli anni 2016 e 2017, ha rappresentato un importante momento di rafforzamento del welfare in azienda sostenuto da incentivi fiscali.

A questo proposito, uno «snodo» cruciale ha riguardato l’introduzione della possibilità per le imprese di convertire in beni e servizi di welfare – attraverso il riconoscimento di un notevole vantaggio fiscale e contributivo – il premio di produttività definito nell’ambito della contrattazione di secondo livello.

In questo contesto, l’articolo ricostruisce gli “intrecci” fra welfare fiscale e welfare aziendale, considerando l’impatto delle agevolazioni fiscali sull’introduzione di misure di welfare da parte delle aziende, anche attraverso l’erogazione del premio di produttività in welfare1.

Qual è, dunque, il grado di diffusione fra le aziende dell’utilizzo degli incentivi fiscali di sostegno al welfare aziendale? Quali sono le caratteristiche del fenomeno? In che modo il welfare aziendale, fiscalmente incentivato, si colloca nel quadro delle relazioni industriali a livello aziendale?

 

La cornice normativa

La disciplina fiscale dei beni e servizi di welfare erogati dal datore di lavoro è contenuta in due articoli del Testo unico delle imposte sui redditi, gli articoli 51 e 100. L’art. 51 annovera un’ampia varietà di servizi – tra cui i contributi previdenziali e di assistenza sanitaria, mensa e pasti, trasporto e servizi per l’infanzia – mentre l’articolo 100 elenca le finalità di utilità sociale – educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto – che consentono al datore di lavoro di erogare beni servizi ai propri lavoratori, deducendone il costo nel limite del 5 per mille dell’ammontare delle spese sostenute per prestazioni di lavoro dipendente.

Le leggi di stabilità per gli anni 2016 e 2017 hanno ulteriormente incentivato il ricorso alle agevolazioni fiscali per l’offerta di welfare ai lavoratori, estendendo il “paniere” di beni e servizi erogabili – inserendo, ad esempio, il supporto ai familiari non autosufficienti – e introducendo un nuovo meccanismo di conversione del salario accessorio in beni e servizi di welfare.

È stata inoltre agevolata la contrattazione con i rappresentanti sindacali attraverso la possibilità, per il datore di lavoro, di dedurre il costo dei beni e servizi erogati ai sensi dell’art. 100 senza alcun limite di importo qualora l’offerta sia definita tramite accordo con i rappresentanti sindacali.

Quanto al meccanismo di salary sacrifice che consente la conversione di tutto o parte del premio di produttività in welfare, la nuova opportunità è resa vantaggiosa da un intervento sulla leva fiscale e contributiva: se il lavoratore percepisce il premio di risultato in denaro beneficia di una riduzione della relativa tassazione (un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali pari al 10%) ma non dei contributi previdenziali, mentre il datore di lavoro è comunque tenuto a versare le tasse e i contributi dovuti sulla somma; se invece il medesimo importo è corrisposto in beni e servizi di welfare, il lavoratore e il datore di lavoro non versano né tasse né contributi. Il lavoratore, che “risparmia” in tassazione ma “perde” i contributi previdenziali sull’intera somma, ha la facoltà di scegliere in quale forma ricevere l’importo del premio.

 

La ricerca empirica

La possibilità di fruire dell’agevolazione fiscale per i premi di produttività è stata vincolata al deposito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del contratto collettivo aziendale e territoriale da parte del datore di lavoro, nonché alla compilazione di un’apposita dichiarazione di conformità.

Fra il 2016 e il primo trimestre del 2020 sono stati presentati 54.677 contratti aziendali e territoriali, di cui 11.142 (rispettivamente 8.436 contratti aziendali e 2.706 contratti territoriali) risultavano ancora attivi all’aprile 20202. Analizzando i dati del Ministero, le imprese interessate dalle agevolazioni fiscali sui premi di produttività sono quelle di maggiori dimensioni e concentrate soprattutto nel Nord Italia. Inoltre, rispetto ai settori produttivi, il 58% e il 41% di tali contratti riguarda imprese collocate rispettivamente nel settore terziario e nell’industria.

L’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche ha inoltre compiuto un’analisi più dettagliata di questi dati, considerando il periodo maggio 2016-giugno 20183: in termini settoriali, si conferma la rilevanza del settore manifatturiero, in particolare del settore della fabbricazione di mezzi di trasporto e dei comparti chimico-farmaceutico e petrolifero. Nel settore terziario, il commercio presenta l’incidenza maggiore in termini di contratti stipulati, mentre nell’istruzione e nelle attività turistiche e di ristorazione si registrano i valori più bassi. Infine, solo lo 0,3% delle imprese con meno di 15 dipendenti ha presentato istanza, in contrasto con l’oltre 50% delle imprese attive con più di 250 dipendenti.

 

In conclusione, l’analisi svolta sul totale dei contratti depositati mostra che la previsione di misure di welfare ha riguardato il 18% delle imprese. Come previsto, la classe dimensionale delle aziende ha giocato un ruolo decisivo nella scelta di introdurre la possibilità di convertire il premio di risultato in welfare: le imprese con meno di 50 addetti raramente hanno previsto misure di welfare (11,7%) mentre nelle aziende con almeno 250 dipendenti l’incidenza è stata decisamente superiore (26,5%).

 

Per indagare più a fondo le caratteristiche e gli assetti del welfare fiscale-aziendale è stata condotta nel 2018 una survey nazionale su un campione rappresentativo di 2.314 medie e grandi imprese, nonché un’analisi qualitativa di contenuto relativa a 64 contratti di secondo livello, esaminando quanto previsto rispetto alla modalità di conversione dei premi di produttività in welfare4.

La conversione in misure di welfare ha riguardato circa il 30% delle aziende intervistate. L’indagine qualitativa ha inoltre messo in evidenza come, fra le imprese che hanno previsto la conversione del premio in welfare, emergano alcune differenze rispetto alle finalità dell’introduzione di misure di welfare aziendale.

Si delineano, in particolare, due approcci «strategici» da parte delle aziende. Da un lato, un approccio più «organizzativo», che mira a utilizzare la leva del welfare in un’ottica di aumento della produttività attraverso l’incremento del benessere aziendale e dei lavoratori. Dall’altro, un approccio più «opportunistico», volto alla cattura dell’incentivo fiscale al fine di abbattere il costo del lavoro, come risulta comprensibile alla luce delle agevolazioni descritte nel paragrafo 2.

 

È utile però ricordare anche le ragioni alla base della scelta delle aziende che non hanno previsto la possibilità di conversione del premio di risultato in welfare. Dalla survey emerge fra le motivazioni principali, oltre alle complessità di introduzione e gestione dei piani di welfare, un certo “disinteresse” da parte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali nei confronti della conversione del premio in welfare, a testimonianza del disallineamento di interessi fra lavoratori e imprese, specie considerando che solo circa un terzo delle aziende intervistate seleziona le prestazioni di welfare offerte attraverso una consultazione diretta con i lavoratori o il confronto con il sindacato. Inoltre, in linea con i risultati di altre rilevazioni5, i dati della survey indicano, fra i motivi che spiegano il mancato utilizzo dei servizi di welfare da parte dei lavoratori, la preferenza dei lavoratori per le somme di denaro, forse derivante dall’incapacità di intercettare gli attuali bisogni della popolazione aziendale di riferimento.

 

Conclusioni

L’analisi svolta in relazione all’introduzione di strumenti di welfare fiscale-aziendale, particolarmente attraverso la conversione in welfare dei premi di produttività, restituisce l’immagine di un fenomeno che, sebbene in crescita negli ultimi anni, si caratterizza non solo per una diffusione ancora limitata, ma anche per profonde differenziazioni territoriali, dimensionali e settoriali. «Faglie» che ricalcano la struttura socioeconomica del nostro Paese, con una diffusione del welfare aziendale preminente nelle regioni del Nord rispetto al Mezzogiorno, quasi esclusivamente nelle grandi imprese e raccogliendo maggiore successo in settori a elevata produttività rispetto a quelli più maturi e labour intensive.

Inoltre, se da un lato si conferma l’esistenza di approcci strategici delle aziende che puntano all’utilizzo degli incentivi fiscali connessi al welfare in un’ottica di aumento del benessere organizzativo e come incentivo al miglioramento della performance, dall’altro lato emergono approcci «opportunistici», finalizzati all’utilizzo degli incentivi fiscali in termini di abbassamento del costo del lavoro, con evidenti ricadute anche sul sistema delle relazioni sindacali e sul “consenso” che si può creare intorno all’introduzione di strumenti di welfare aziendale.

  1. L’articolo riprende gli esiti principali di un lavoro di ricerca pubblicato in Arlotti M. e Mallone G. [2022], “Un intreccio complesso: come il welfare fiscale sostiene il welfare occupazionale”, in Jessoula, M., Pavolini, E. (a cura di), La mano invisibile dello stato sociale. Il welfare fiscale in Italia, Bologna, Il Mulino, pp. 121-150, a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti.
  2. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 2020
  3. Centra 2018, La detassazione del salario di risultato: le evidenze ricavate dal Repository centrale del Ministero del lavoro nel XX rapporto mercato del lavoro e contrattazione collettiva 2017-2018
  4. La ricerca è stata commissionata dallo Spi-Cgil. Le considerazioni svolte in questa nota, tuttavia, sono attribuibili unicamente agli autori poiché non rispecchiano, necessariamente, il punto di vista dell’organizzazione committente.
  5. Nomisma 2020