Budget di cura e di progetto: come e per farne che cosa?


Maurizio Motta | 13 Febbraio 2024

Budget di cura e di progetto sono concetti ormai presenti anche nella normativa, in particolare nel Piano Nazionale Non Autosufficienza 2021/241, nelle leggi delega di riforma per la disabilità (22/12/2021, n.227) e per gli anziani (23/3/2023, n. 33). Mentre continuano ad operare esperienze locali di uso di questi strumenti2, c’è da aspettarsi che i decreti delegati di attuazione delle leggi delega citate chiariscano il meccanismo dei budget, anche considerando che:

  • nella legge per la disabilità il tema è sfiorato in modo molto generale, senza usare il termine “budget”3. Invece nel decreto delegato attuativo che (insieme alle modifiche alla valutazione della disabilità) descrive il “progetto di vita” da definire, si usa il concetto di “budget di progetto”, come insieme delle risorse nello stesso significato che usa la legge delega4.
  • nella legge per gli anziani i decreti delegati dovranno esplicitare “la previsione del «Budget di cura e assistenza» quale strumento per la ricognizione, in sede di definizione del PAI, delle prestazioni e dei servizi sanitari e sociali e delle risorse complessivamente attivabili ai fini dell’attuazione del medesimo progetto5. E il decreto legislativo attuativo6 utilizza lo stesso concetto.

È dunque utile riflettere su snodi da non eludere nel normare il dispositivo del budget di cura e/o progetto con riferimento alle persone non autosufficienti e con disabilità.

Il budget di cura o progetto non può essere una semplice “ricognizione delle risorse esistenti”

Mentre purtroppo questo è proprio ciò che letteralmente prevede il citato articolo della legge delega per gli anziani e il conseguente decreto delegato. Né deve essere una generica “confluenza di risorse” (come esposto nel Piano Non Autosufficienza), o solo “l’indicazione delle risorse attivabili” (come recita l’articolo citato della legge sulla disabilità, e l’art. 28 del relativo decreto delegato citato). Se accadesse solo questo si avrebbero diversi effetti negativi.

  • Limitarsi a descrivere le risorse esistenti è tutto meno che una riforma; implica chiudersi a constatare solo ciò che già esiste, invece di introdurre un nuovo dispositivo che non solo definisca con precisione, ma anche generi risorse mirate da usare nei piani di assistenza, e che dunque serva per cambiare le prassi precedenti e la mera “constatazione dell’esistente”.
  • Una semplice ricognizione delle risorse già esistenti produce grandi differenze nei progetti per i cittadini, perché per alcuni possono esistere risorse e per altri no. Dunque la sola “ricognizione” elenca risorse casualmente presenti. Invece il dispositivo del budget deve essere un solido strumento per garantire a tutti un set minimo di risorse, meglio se incastonato entro i livelli essenziali di assistenza.
  • La semplice descrizione ed uso delle risorse che esistono non serve a nulla nel riordinare con precisione le funzioni (e le conseguenti responsabilità di spesa) che devono essere incardinate in diverse amministrazioni del welfare. Con il  risultato (di nuovo) di non usare la messa in opera delle leggi delega come un momento di riforma e sistematizzazione dei ruoli che devono spettare ai diversi attori, passaggio che invece è davvero ineludibile.

Una prima conclusione è dunque che il budget di cura/progetto:

A) Deve certamente essere una strategia per costruire il progetto per il cittadino col fine di usare con sinergia l’insieme delle risorse possibili, anche di diversi soggetti (pubblici e privati). Ma il concetto (esposto nelle norme citate) di budget come “‘insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private, attivabili anche in seno alla comunità territoriale e al sistema dei supporti informali, volte a dare attuazione al progetto” è troppo generico e deve essere “spacchettato” con cura:

  • una cosa è l’uso delle risorse umane, professionali, strumentali, della comunità. Ossia l’insieme di azioni e opportunità che chiunque sia coinvolgibile (servizi o terzo settore) deve mettere in atto. Però questa previsione non introduce molte novità perché rimanda agli interventi integrati dei diversi servizi (e professioni) che sono da coinvolgere, strategia da sempre presente nella mission professionale degli assistenti sociali e dei servizi che si occupano di situazioni multiproblematiche; ossia è in sostanza lo stesso concetto di “costruire progetti personalizzati usando e attivando tutta le reti delle opportunità possibili”, da molti anni pratica quotidiana di quasi tutti i servizi;
  • altra cosa, diversa ma da prevedere contestualmente, è un budget costituito da risorse economiche. Perché qui si apre l’esigenza di definire quali, con quali obblighi, e per quali utilizzi. E questa componente del budget non dev’essere un generico “portafoglio” che ammucchia qualunque risorsa da usare per qualunque esigenza. Deve invece diventare un dispositivo istituzionale che produca almeno il concorso certo di risorse pubbliche mirate a garantire specifici interventi di tutela.

B) È naturalmente positivo che nel piano per la persona si attivino anche risorse degli organismi di terzo settore. Ma questa dev’essere una opportunità che si aggiunge ad un budget di cura/progetto strutturato e garantito per tutti dal welfare pubblico, altrimenti si cade nel rischio di progetti di cura e assistenza che dipendono dalla totalmente casuale presenza in quel territorio di organismi del terzo settore che siano interessati ed ingaggiabili.

Budget di cura per potenziare l’assistenza domiciliare a non autosufficienti

Per tornare alle parole usate nelle norme ricordate all’inizio sarebbe utile assumere questa distinzione: il “budget di progetto” è l’insieme di tutte le risorse attivabili (anche non di tipo finanziario e di molti soggetti), e al suo interno è presente il “budget di cura sociosanitario” che è il mix di risorse economiche da utilizzare per garantire la tutela sociosanitaria, ossia i supporti necessari negli atti della vita quotidiana.

Su questo secondo budget non si può solo invocare una generica e retorica “integrazione sociosanitaria” (come purtroppo fanno i vigenti LEA), ma occorre prevedere questo più preciso percorso, che si adatta sia agli anziani non autosufficienti sia alle persone con gravi disabilità.

  1. Una unità valutativa multidimensionale individua un grado di non autosufficienza (come incapacità di svolgere da soli gli atti della vita quotidiana) sintetizzato in un punteggio. La valutazione della condizione economica dei richiedenti non deve avere tuttavia alcun rilievo per essere ammessi alle prestazioni, o per definire il loro volume, perché gli interventi sono connessi a una condizione sanitaria della persona. La condizione economica deve perciò rilevare solo per definire la contribuzione del cittadino, così come avviene nel campo sanitario.
  2. Ad ogni grado di non autosufficienza è abbinato a un “massimale di spesa”, ossia appunto un budget di cura sociosanitario, crescente al crescere della non autosufficienza.
  3. Questo budget è composto per il 50% da risorse del SSN (indipendentemente dalla condizione economica del cittadino), e per il 50% da risorse del cittadino; oppure se egli non dispone di risorse sufficienti, da risorse (in tutto o in parte) dei servizi sociali dei Comuni.
  4. Si trasforma il budget di cura nell’intervento domiciliare che è più appropriato in quel momento entro un piano di assistenza (PAI) firmato da un operatore del SSN, uno dei servizi sociali ed un familiare (o l’utente se ne è in grado). Un punto cruciale: il budget di cura deve poter essere trasformato in assistenza tutelare scegliendo tra molte diverse modalità, da concordare con la famiglia per adattarle alla specifica situazione ed al momento di intervento:
  • assegni di cura alla famiglia perché assuma con contratto regolare lavoratori di sua fiducia, anche assistenti familiari; ma con il possibile utilizzo di parte dell’assegno (se desiderato dai fruitori) in supporti offerti per reperire i lavoratori e/o per gestire le incombenze del rapporto di lavoro;
  • contributi per assistenza svolta da un familiare, se questa è la scelta preferita;
  • affidamento a volontari e rimborso di loro spese;
  • buoni servizio per ricevere da fornitori appositamente accreditati sia operatori domiciliari (inclusi assistenti familiari) sia pacchetti di molte prestazioni (pasti a domicilio, telesoccorso, ricoveri di sollievo temporanei, piccole manutenzioni nell’abitazione).

Questo meccanismo, dove attivato, ha già dimostrato molti vantaggi:

  • consente di personalizzare l’intervento scegliendo la modalità che è più adatta sia al momento sia al nucleo;
  • crea un “mercato amministrato” dei fornitori dei buoni servizio, la cui remunerazione deriva dall’essere scelti dalle famiglie, scenario che li incentiva a fornire un’ampia gamma di prestazioni;
  • consente di inserire nel sistema il lavoro privato delle assistenti familiari, perché la famiglia può utilizzare l’assegno di cura per assumere un lavoratore solo se l’assunzione avviene in modo regolare e in base al contratto nazionale.

Un punto cruciale consiste nel prevedere che il SSN immetta nel budget di cura sociosanitario il 50% della spesa, indipendentemente dalle condizioni economiche dell’utente; e non per pagare operatori sanitari, ma per tutti i supporti negli atti della vita quotidiana. Da più parti vi sono dissensi su questa scelta, che giudicano non appropriato l’uso di risorse del FSN, o non valutano realistico questo loro uso. Ma vi sono molte ragioni perché debba prevedersi questo impegno del SSN e qui se ne richiamano solo tre.

  • Perché già succede: i LEA già prevedono che il costo della retta in RSA sia metà a carico del SSN, e non per coprire le spese sanitarie ma tutte le prestazioni di tutela della vita quotidiana in RSA (inclusi pasti, pulizie, costo di tutto il personale). Dunque perché non deve accadere lo stesso nell’assistenza domiciliare prevedendo allo stesso modo che la tutela sia in parte a carico del SSN? Non prevederlo, come accade oggi, implica che per la stessa persona non autosufficiente il SSN incentiva solo il ricovero, in grave contraddizione con l’obiettivo di potenziare l’assistenza al domicilio. Invece questo budget sociale e sanitario opera da molti anni nel sistema di assistenza domiciliare attivato in Torino, tramite accordi tra Comune e ASL, senza che questa prassi abbia generato obiezioni giuridiche o di competenza delle due amministrazioni.
  • Perché definire le risorse per l’intervento e la contribuzione dell’utente deve avvenire in modo identico per l’assistenza domiciliare e l’inserimento in RSA: la scelta tra i due setting di cura deve derivare solo da ragioni di appropriatezza e dai desideri della persona, e non essere influenzata da convenienze economiche, né per la famiglia né per le Amministrazioni. La stessa condizione di cronicità deve cioè ricevere dal SSN le stesse garanzie di prestazione, che sia gestita in struttura residenziale od a casa.
  • Perché il SSN oggi spende circa 150 euro al giorno per un posto in case di cura post ospedaliere (per degenze spesso inappropriate perché sono “posteggi” in attesa di un posto in RSA o in assistenza domiciliare).  E spende intorno ai 40 euro al giorno per la parte sanitaria della retta in RSA (il 50% del costo totale). Con spesa minore potrebbe coprire il 50% del costo di una robusta assistenza domiciliare tutelare. Non sarebbe un significativo risparmio interno allo stesso SSN?

Va notato che questa costruzione del budget di cura sociosanitario non lo connota per nulla come un sussidio/contributo/indennità che si aggiunge a tutto ciò che esiste perché il suo utilizzo (da progettare e monitorare) non è “dare solo denaro” alle famiglie, bensì fornire un progetto di aiuto che si adatti alla persona e al momento. E se uno dei diversi modi per realizzarlo è “dare denaro” lo si fa in modo vincolato, come assegno di cura per assumere un lavoratore in modo rendicontato.

Rischi di un budget di cura troppo generale e confuso

È vero che il budget di progetto serve per essere flessibile e adattabile alle diverse esigenze di sostegno, e un orizzonte analogo è opportuno (in parte) anche per il budget di cura sociosanitario. Ma questo non deve condurre a deformazioni per eccesso di genericità. Se ad esempio un budget di cura per il sostegno domiciliare di un non autosufficiente è formato (come dovrebbe essere) da risorse del SSN e socioassistenziali, è problematico assumere che quel budget si possa spendere “per qualunque bisogno”, almeno per due ragioni.

  1. È necessario per prima cosa garantire i livelli di tutela ai quali quel budget è finalizzato. Per tornare al modello prima descritto: se una valutazione multidimensionale ha identificato un volume di supporti da garantire al domicilio (anche come numero di ore di assistenza), e quindi gli ha abbinato un budget di cura (del SSN, dei Comuni e/o del cittadino), quel budget deve garantire quel volume di assistenza domiciliare al non autosufficiente, e non un volume inferiore soltanto perché lo si utilizza in parte per altri scopi, ad esempio per pagare le spese di abitazione o altre. Altrimenti la eccessiva flessibilità produce di fatto una grave erosione delle prestazioni primarie che vanno garantite per lo scopo primario che fatto dimensionare il budget di cura.
  2. Se si assume che qualunque sia la composizione del budget di cura lo si può usare per qualunque spesa, si rischia di innescare distorsioni e paradossi nelle risorse del welfare. Nell’esempio citato prima: se un budget per la tutela sociosanitaria domiciliare composto da fondo sanitario e fondo socioassistenziale si usa per le spese per l’abitazione, si sta di fatto assumendo che per le spese per l’abitazione non si usano le risorse che nel welfare già esistono allo scopo (come i fondi nazionali e regionali dedicati al tema). Ma se si opera così allora bisogna per lo meno chiedersi:
  • il fondo sanitario nazionale (FSN) deve dunque essere dimensionato anche per includere spese per l’abitazione?
  • oppure il FSN può spendere per l’abitazione solo per alcuni tipi di pazienti (ad esempio con problemi psichiatrici, visto che questo uso del budget di cura è talvolta presente nei servizi psichiatrici)? E dunque non può farlo per altri non autosufficienti (con demenze o Parkinson severi)?
  • oppure i fondi pubblici del welfare per l’abitazione devono servire solo per persone che non sono in carico al SSN, perché per le altre invece si usa il FSN?

Per evitare questi paradossi sarebbe meglio un budget di cura che invece di poter essere speso in modo confusivo consista nel coordinare spese che vanno però attribuite a fondi diversi; ad esempio affiancando al budget che è specificamente mirato alla tutela sociosanitaria domiciliare anche risorse di altra fonte dedicate ai problemi dell’abitazione.

Il budget di cura deve dunque fondarsi su preciso meccanismo operativo che ha come fondamento l’obbligo ad impegnare risorse di diversi soggetti istituzionali ben identificati, e la garanzia di un uso verso gli obiettivi primari per i quali è costruito; pur mantenendo la strategia di ampliare le risorse tramite l’uso di altre fonti nel welfare pubblico e anche l’azione di altri soggetti, come il terzo settore. Rischi analoghi vanno evitati nella costruzione e uso del “budget di progetto” perché la flessibilità di uso delle risorse non deve diventare una deresponsabilizzazione di attori del welfare che hanno specifiche funzioni di tutela (ad esempio per le spese per l’abitazione o contro la povertà) solo perché risorse di altri (del SSN o dei servizi sociali) le sostituiscono in modo invisibile.

Una proposta conseguente

Che potrebbe anche essere un testo da immettere nei decreti delegati o in successive disposizioni attuative:

Il piano di assistenza tutelare deriva dal budget di cura sociosanitario, il quale è graduato per crescere all’aumentare del grado di non autosufficienza, ed è composto per il 50% da risorse del Servizio Sanitario Nazionale, indipendentemente dalla condizione economica del non autosufficiente, e per il 50% da risorse dell’utente o degli enti gestori dei servizi sociali quando egli non ha capacità economiche sufficienti. Tale budget viene trasformato nella retta per l’inserimento in strutture residenziali, oppure nella gamma di interventi di assistenza tutelare al domicilio per supportare il non autosufficiente negli atti della vita quotidiana. Il  piano per l’ assistenza domiciliare tutelare deve obbligatoriamente potersi articolare in più modalità possibili, da concordare con la famiglia per adattarle alla specifica situazione: assegni di cura per assumere lavoratori di fiducia da parte della famiglia (ma anche con supporti per reperirli e per gestire il rapporto di lavoro, ove la famiglia non sia in grado), contributi alla famiglia che assiste da sé, affidamento a volontari, buoni servizio per ricevere da fornitori accreditati assistenti familiari e pacchetti di altre prestazioni (pasti a domicilio, telesoccorso, ricoveri di sollievo, piccole manutenzioni, trasporti ed accompagnamenti), operatori pubblici (o di imprese affidatarie)”.

E così si estenderebbe all’assistenza domiciliare il dispositivo che da sempre è in opera nelle RSA, dove questo budget di cura già esiste ed è appunto la retta7.

Snodi da non eludere

Per far in modo che i budget di cura e progetto diventino non solo una pratica ovunque operante ma anche un meccanismo di garanzia di livelli essenziali delle prestazioni, è bene non eludere almeno alcune decisioni (anche nei decreti delegati e nei successivi provvedimenti attuativi):

  • Definire bene il perimetro di utilizzabilità dei budget, per evitare i rischi esposti nei paragrafi precedenti.

  • Definire come deve essere prevista la compartecipazione del cittadino ai costi del progetto di assistenza, nodo molto delicato e che le leggi delega (disabilità e anziani) nemmeno sfiorano. La contribuzione infatti non può essere solo volontaria, o casuale, o legata a scelte solo locali (come oggi accade). Deve invece essere ben definita normativamente, meglio se entro i livelli essenziali delle prestazioni. Solo per accennare ad un nodo complesso: se un non autosufficiente è ricoverato in RSA e percepisce l’indennità di accompagnamento, deve utilizzarla per pagare la retta oppure no (visto che l’indennità ha lo scopo di fornirgli supporto per la sua incapacità di svolgere gli atti della vita quotidiana, esattamente come fa l’ospitalità in RSA)? Il tema merita ovviamente molte riflessioni, ma una ipotesi potrebbe essere che il percettore di indennità di accompagnamento la debba usare come contribuzione alla retta in RSA, ed invece non come contribuzione al PAI di assistenza domiciliare.

  • Riformare a fondo l’ISEE come strumento di valutazione della condizione economica, usato anche per definire le contribuzioni degli utenti, poiché l’ISEE attuale misura molto male questa condizione, producendo danni sia per i cittadini sia per le Amministrazioni. Ma torneremo su questo tema in articoli successivi.
  1. Il capitolo 3.3) “Azioni di supporto” prevede la “Definizione delle azioni positive verso la progressiva costruzione dei Budget di cura intesi come confluenza delle risorse di natura aziendale, comunale, individuale, familiare, e comunitaria in riferimento al rapporto tra progetto di vita e piano assistenziale individuale”.
  2. Tra i materiali sul tema: L. Bianchi “Budget di progetto e qualità della vita. La sperimentazione nell’ambito di Rho”, in Prospettive Sociali e Sanitarie n° 4 del 2023; AA.VV., “Budget di salute: dalle promesse alla realtà”, inserto speciale di Prospettive Sociali e Sanitarie, n° 1, inverno 2021; con attenzione alle procedure a supporto di un uso del budget in relazione col terzo settore: A. Santuari, “Il Budget di salute e le procedure amministrative a supporto”, Società Italiana Epidemiologia Psichiatrica  6/11/2023, e in “Schema di decreto legislativo in materia di disabilità: una prima analisi degli strumenti giuridici previsti”, Welforum.it, 05/02/2024.
  3. Secondo la legge delega i decreti delegati dovranno attenersi al criterio di cui al punto 9) della lettera b) del c.2 dell’art. 2: “prevedere che nel progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato sia indicato l’insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private, attivabili anche in seno alla comunità territoriale e al sistema dei supporti informali, volte a dare attuazione al progetto medesimo”.
  4. Il decreto è già stato validato in Conferenza Stato Regioni ed è scaricabile qui. Il provvedimento è in attesa di pubblicazione quando sarà firmato dal Presidente della Repubblica.
  5. Come descritto dal punto 3 della lettera l) nel comma 2 dell’art. 4 della legge delega.
  6. Che è in attesa di pubblicazione dopo che il Governo lo avrà assunto eventualmente modificandolo con i pareri acquisiti dalle Commissioni parlamentari
  7. Una più ampia ed articolata proposta di riordino del welfare per la non autosufficienza (budget di cura incluso) è contenuta qui.