Tra le riforme che il PNRR impone di approvare c’è una legge delega che riformi il sistema di tutele per la non autosufficienza degli anziani. Da pochi giorni il Governo ha trasmesso al Senato una sua proposta di disegno di legge denominata “Deleghe al Governo in materia di politica in favore delle persone anziane” (il cui testo è scaricabile qui). I contenuti sono sostanzialmente gli stessi del disegno di legge delega presentato il 10 ottobre 2022 dal Governo Draghi, perché le differenze tra i due testi sono pochissime1.
Questa riforma interessa diversi milioni di famiglie e dunque è di enorme importanza per gli effetti che potrà produrre; e molte questioni ed interventi devono essere affrontati. In questo articolo tuttavia ci si concentra solo sull’assistenza domiciliare per non autosufficienti, perché è cruciale potenziarla decisamente per ridurre i ricoveri in RSA che sono indesiderati o non appropriati. Il PNRR dichiara tra i suoi obiettivi “….la casa come primo luogo di cura”, ma “curare a casa” un non autosufficiente non significa garantire interventi solo sanitari, bensì una tutela più completa. È quindi opportuno approfondire, rispetto all’assistenza domiciliare ai non autosufficienti, che cosa manca nel disegno di legge delega di riforma su questo tema, e quali sono le sue criticità. Ecco in sintesi 5 questioni ed anche alcune conseguenti proposte di emendamenti letterali al testo del ddl che è in esame:
1. Potenziare l’assistenza domiciliare
È obiettivo che richiede:
- Di aumentare le capacità degli interventi sanitari a domicilio: infermieristici, diagnostici (come la radiologia domiciliare e i prelievi per esami), riabilitativi, e il superamento dell’intervento del medico di medicina generale come operatore che lavora da solo.
- Ma soprattutto richiede di fornire molti più sostegni per la tutela negli atti della vita quotidiana (andare a letto ed alzarsi, usare i servizi igienici, essere lavati, alimentarsi, vestirsi). E’ proprio la mancanza di questi sostegni che oggi costringe a ricoveri indesiderati in RSA, o ad opporsi alle dimissioni dall’ospedale, o a portare per disperazione i non autosufficienti al Pronto Soccorso, o al crollo od impoverimento delle famiglie.
E (purtroppo) il PNRR finanzia soprattutto il potenziamento dell’ADI come è ora (infermieri a domicilio, in alcune Regioni a volte con poche ore di OSS), e stanno per essere ripartiti alle Regioni circa 3 miliardi di Euro sino al 2025 per l’ADI.
Nel disegno di legge delega non c’è un adeguato impegno strategico per potenziare l’offerta di supporti domiciliari tutelari negli atti della vita quotidiana. C’è soltanto:
- l’art. 5, al comma 2, lettera a), punto 2), e l’art. 8, che si limitano a rimandare alle successive leggi di bilancio.
- l’art. 4, comma 2, lettera l), che si limita a prevedere “l’integrazione tra ADI e SAD”, formulazione troppo generica, che non fa comprendere cosa deve accadere, e che non implica alcun aumento degli interventi di tutela a domicilio
2. Come offrire assistenza domiciliare tutelare?
Non solo con poche ore di operatore sociosanitario (OSS) oppure con denaro alle famiglie (perché ci sono molti non autosufficienti che vivono con persone che da sole non riescono ad usarlo). Occorre invece un’assistenza domiciliare che si articoli in più modalità possibili, da concordare con la famiglia per adattarle alla specifica situazione: assegni di cura per assumere lavoratori di fiducia da parte della famiglia (ma anche con forti supporti per reperirli e per amministrare il rapporto di lavoro, ove la famiglia non sia in grado di farlo), contributi alla famiglia che assiste da sé, affidamento a volontari, buoni servizio per ricevere da fornitori accreditati assistenti familiari e pacchetti di altre prestazioni (pasti a domicilio, telesoccorso, ricoveri di sollievo, piccole manutenzioni, trasporti ed accompagnamenti), operatori pubblici (o di imprese affidatarie) al domicilio.
Il meccanismo migliore da prevedere è in questi tre passaggi: 1) la valutazione multidimensionale individua un grado di non autosufficienza abbinato a un budget di cura da usare, crescente al crescere della non autosufficienza, 2) si compone il budget di cura con 50% di risorse del SSN, e 50% dell’utente e/o dei servizi sociali dei Comuni (se l’utente non è in grado di pagare la sua quota), 3) si trasforma il budget nell’intervento che è più utile in quel momento, potendo modificarlo nel tempo. E questo peraltro è proprio il percorso che già opera per l’inserimento in RSA, dove il “budget di cura” è la retta che viene pagata.
Il disegno di legge delega non prevede nessun vincolo ad offrire questa gamma di possibilità. C’è solo:
- All’art. 3, c. 2, lettera c) punto 2) un generico obiettivo di “accesso al continuum di servizi” previsti nella programmazione statale e regionale
- All’art. 4, c. 2, lettera h), punto 2) un generico “Budget di cura e assistenza” che non descrive alcun meccanismo di costruzione e funzionamento di questo budget
Ecco due conseguenti proposte di emendamento al testo del ddl in esame:
All’articolo 4, comma 2, lettera l) dopo il punto 3) è aggiunto il seguente punto 4):
“4) l’offerta di un piano di assistenza domiciliare tutelare che obbligatoriamente contenga più modalità possibili, da concordare con la famiglia per adattarle alla specifica situazione: assegni di cura per assumere lavoratori di fiducia da parte della famiglia (ma anche con supporti per reperirli e amministrare il rapporto di lavoro, ove la famiglia non sia in grado), contributi alla famiglia che assiste da sé, affidamento a volontari, buoni servizio per ricevere da fornitori accreditati assistenti familiari e pacchetti di altre prestazioni (pasti a domicilio, telesoccorso, ricoveri di sollievo, piccole manutenzioni, trasporti ed accompagnamenti), operatori pubblici (o di imprese affidatarie) al domicilio.”.
All’articolo 4, comma 2, lettera h) punto 3) , dopo il termine della frase esistente è aggiunto il seguente testo:
“Il budget di cura e assistenza è graduato per crescere all’aumentare del grado di non autosufficienza, ed è composto per il 50% da risorse del Servizio Sanitario Nazionale, indipendentemente dalla condizione economica del non autosufficiente, e per il 50% da risorse dell’utente o degli enti gestori dei servizi sociali quando egli non ha capacità economiche sufficienti. Tale budget viene trasformato nella retta per l’inserimento in strutture residenziali, oppure nella gamma di interventi di assistenza tutelare al domicilio per supportare il non autosufficiente negli atti della vita quotidiana”
3. L’assistenza domiciliare ai non autosufficienti deve includere ruoli e spesa del Servizio Sanitario Nazionale
Qualunque famiglia (od operatore sanitario che interviene a casa) sa molto bene che è inutile una buona assistenza sanitaria al domicilio senza sostegni del non autosufficiente nelle funzioni della vita quotidiana. Ma questi sostegni non possono essere a carico solo delle famiglie o dei servizi sociali dei Comuni; devono invece essere sotto la titolarietà primaria del SSN e con una sua compartecipazione finanziaria, e per più ragioni2:
- Perché già succede: i LEA vigenti già prevedono che il costo in RSA sia metà a carico del SSN; costo che copre non solo le spese sanitarie o di professioni sanitarie, ma tutte le prestazioni di tutela della vita in RSA (costo di tutti i dipendenti, dei pasti, delle pulizie, etc). Dunque perché non deve accadere lo stesso nell’assistenza domiciliare prevedendo che se la stessa persona è assistita a casa la tutela sia in parte a carico del SSN? Non prevederlo implica che per le stesse tipologie di non autosufficienti il SSN di fatto incentiva solo il ricovero, come accade oggi. Ma superare questa assurda contraddizione, per far sì che il non autosufficiente riceva analoghe risorse del SSN per la sua tutela quando è in RSA o quando è a casa, deve avvenire prevedendolo entro i LEA sociosanitari, ossia modificando l’attuale Dpcm 12/1/2017 n° 15. Altrimenti (come accaduto in alcune Regioni) le risorse per l’assistenza domiciliare tutelare si cercano inventando precari e incerti fondi “extra LEA”.
- Perché il SSN oggi spende circa 150 euro al giorno per un posto in case di cura post ospedaliere, e per degenze spesso inappropriate perché molte volte sono “posteggi” in attesa che diventi disponibile un posto in RSA o in assistenza domiciliare. E il SSN spende intorno ai 40 euro al giorno per la parte sanitaria della retta in RSA (il 50% del costo totale). Con spesa minore potrebbe coprire il 50% del costo di una robusta assistenza domiciliare tutelare. Non sarebbe un significativo risparmio interno allo stesso SSN?
- Perché dove questo è accaduto (ad esempio in Torino e in un’altra ASL piemontese, col concorso finanziario ASL negli interventi domiciliari) l’offerta ai non autosufficienti diventa più consistente. Garantire a un non autosufficiente poche ore settimanali di OSS al domicilio serve ad evitare il ricovero in RSA solo per le famiglie che possono aumentare queste ore con proprie risorse, ed è inutile per le famiglie che hanno meno risorse proprie.
- Perché i non autosufficienti sono tali in quanto malati o con esiti di patologie. Dunque è un’area di problemi sulla quale dovrebbe essere chiara la titolarità primaria del SSN, anche nella spesa e nel governare il sistema delle offerte. E non basta invocare una generica “integrazione sociosanitaria” (come purtroppo fanno anche i vigenti LEA).
Il disegno di legge delega non prevede questo ruolo del SSN, né una integrazione dei LEA, ma soltanto impegni sui LEPS. C’è solo:
- All’art. 2), c. 3, lettera b) è prevista una assai generica “armonizzazione” dei LEPS con i LEA.
- All’art. 4), c.1 l’impegno a “… coordinare e rendere più efficaci le attività di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti, anche attraverso il coordinamento e il riordino delle risorse disponibili”.
- All’art. 4), c. 2, lettere c), d), f), l): la previsione di un monitoraggio dei LEPS, il coordinamento tra interventi sociali, sociosanitari e sanitari, la promozione di integrazioni funzionali tra distretti sanitari e enti gestori dei servizi sociali.
4. Più diritti esigibili per i non autosufficienti
Oggi molte Regioni e ASL utilizzano (specialmente per gli interventi per i non autosufficienti) il criterio di intervenire “solo se e quando ci sono risorse finanziarie”, il che trasforma quelli che dovrebbero essere diritti esigibili (pure previsti nei livelli essenziali delle prestazioni) in precari diritti “finanziariamente condizionati”. Perciò occorre che si arricchiscano i contenuti dei LEA sociosanitari:
- Per dare agli interventi natura di diritti davvero esigibili dai cittadini, ossia per far ricevere gli interventi essenziali e non solo “un posto in lista d’attesa”.
- Ed è bene che ciò avvenga entro i LEA sociosanitari perché:
- Sono la normativa più consistente prevista a questo scopo, per il profilo giuridico che hanno i diritti entro i LEA;
- Perché è bene che i LEA restino il principale contenitore che regola il SSN, senza frantumare la normativa e per non depotenziare il loro ruolo;
- Perché i LEA sono le uniche prestazioni soggette a verifiche annuali del loro adempimento, dalle quali derivano anche risorse per le Regioni. E gli attuali indicatori di adempimento vanno arricchiti proprio per la non autosufficienza
- Perché i LEA vigenti sono troppo deboli proprio nel definire sia l’assistenza domiciliare per non autosufficienti, sia l’integrazione sociosanitaria: nel Capo IV del loro Dpcm (Assistenza sociosanitaria) ci si limita a prevedere che gli interventi del SSN ”…sono integrati da interventi sociali”, il che non spiega nulla.
Il disegno di legge delega non prevede alcun rafforzamento dei LEA , né più diritti entro il SSN. Di fatto (nei suoi articoli che sono citati al punto 3 precedente) il disegno di legge poggia sull’idea che gli interventi domiciliari mirati alla tutela negli atti della vita quotidiana debbano essere compito dei soli servizi sociali, o delle famiglie; idea francamente inaccettabile per i motivi sopra esposti al punto 3). E peraltro nulla prevede per una definizione dei loro LEPS.
5. L’assistenza domiciliare ai malati non autosufficienti deve prevedere meccanismi di compartecipazione del cittadino analoghi alla residenzialità.
È un importantissimo tema che richiede almeno due attenzioni:
- Il budget di cura utilizzabile per l’assistenza domiciliare (ossia la spesa dalla quale ricavare il piano di assistenza) deve essere costruito con lo stesso meccanismo di quello per l’assistenza residenziale, perché non deve esistere alcuna forma di “convenienza economica”, né per le famiglie né le amministrazioni, che influenzi la scelta tra le due forme/setting di cura, scelta che deve invece derivare soltanto dall’appropriatezza clinica e dalla preferenza dei cittadini.
- Inoltre, al contrario di cosa accade ora in norme nazionali e regionali, la valutazione della condizione economica non deve essere usata per determinare l’accesso alle prestazioni (che va invece previsto soltanto in base alle condizioni di non autosufficienza) ma unicamente per identificare la successiva contribuzione al costo degli interventi che è a carico del cittadino. Altrimenti, come oggi, accade (con l’ISEE) che sia escluso anche solo dalla possibilità di accedere ad interventi un non autosufficiente perché due anni prima era comproprietario di un terreno invendibile, o perché aveva 12 mesi prima risparmi che quando chiede l’intervento ha già speso per la sua assistenza.
Il disegno di legge delega non prevede nulla su questi temi cruciali. Ecco una conseguente proposta di emendamento al testo del ddl in esame:
All’articolo 4, comma 2, dopo la lettera p) aggiunta la seguente lettera q):
“Previsione che la valutazione della condizione economica non debba essere usata per determinare l’accesso alle prestazioni e la loro fruibilità, ma unicamente per identificare la successiva contribuzione al costo degli interventi che è a carico del cittadino”
È molto diffuso in tutte le forze politiche il rischio di una grave disattenzione sul tema della non autosufficienza, ed anche quello di accontentarsi sul punto di “riforme” assai modeste. Dunque occorre sperare che invece l’esame del disegno di legge delega che inizierà avvenga per introdurre profondi miglioramenti che milioni di famiglie aspettano. E sarebbe utile che già la legge delega contenesse con grande chiarezza impegni e criteri, evitando che siano completamente rimessi ai soli decreti delegati che il Governo dovrà approvare dopo la legge delega3
- Ne ha dato conto la rivista on line Sossanità.
- Un’analisi più articolata su questo aspetto è a firma dell’autore è disponibile su welforum.it.
- Una possibile proposta organica di obiettivi di riforma e di dettaglio dei relativi criteri e meccanismi è stata esposta qui.
Il principio che tutti gli anziani fragili abbiano diritto all’ ADI è più che giusto.
Poi che gli anziani “ricchi” debbano intervenire nella fruizione dei servizi e’ plausibile.
Ciò che MANCA, secondo me è una POLITICA della CASA per gli Anziani. Mi spiego: ci sono anziani che possiedono una casa ma al 1°, 2°, 3° di stabili senza ascensore.
Non potrebbero i Comuni intervenire per fare da mediatori nello scambio di Appartamenti nel settore privato?
In che modo? Penso bloccando una % di appartamenti a piano terra, costruiti con dotazione DOMOTICA e impegnandosi nella compravendita dell’appartamento posseduto da una parte degli anziani.
A CHI non possiede una casa ma può pagare un affitto, il Comune deve intervenire nel facilitare il Contratto di Compravendita