Come cambiano le relazioni fra le persone


Remo Siza | 16 Ottobre 2023

Le professioni sociali si trovano ad operare in un contesto sociale che è cambiato profondamente. In poco più di un decennio, la società italiana è cambiata in tutti i suoi ambiti di vita, sono cambiate le condizioni economiche delle famiglie italiane, le relazioni fra le persone e con le istituzioni, con la politica, le relazioni di cura, i valori che abbiamo condiviso per decenni e che abbiamo percepito come naturali e ormai acquisiti.

Ciò che sembra delinearsi è una lunga transizione tra la società industriale del secolo scorso, sostanzialmente stabile, prevedibile e lineare nel suo sviluppo e nelle sue frequenti conflittualità collettive e una modernità molto avanzata di cui ancora non riusciamo a cogliere il punto di arrivo, le istituzioni che possono rappresentarlo, i suoi riferimenti culturali, le forme di convivenza civile che possiamo condividere, i comportamenti che possiamo tollerare.

Negli anni Trenta del secolo scorso, Freud (1930), pensava che il disagio della civiltà fosse determinato da un eccesso di ordine. Secondo Freud, in quegli anni la libertà individuale era del tutto screditata e condannata come autodistruttiva. La civiltà era costituita principalmente dall’ordine imposto sul disordine naturale della umanità. Con lo sviluppo della civiltà la libertà subiva delle limitazioni. L’eccesso di ordine creava il disagio della civiltà in quell’epoca, sopprimendo le pulsioni si sacrificava la vita (p. 101).

In un saggio degli anni Novanta, Bauman sosteneva che il disagio delle società contemporanee nasca, invece, da un genere di libertà che assegna uno spazio troppo limitato alla sicurezza individuale. Attraverso una maggiore libertà di scelta e meno regole, meno legami e valori stabili, si ritiene che possiamo risolvere dinamicamente ogni problema umano e ridurre il disagio che stiamo vivendo. La libertà individuale da problema per le società tradizionali è diventata la principale risorsa per lo sviluppo delle società attuali, per liberare nuove attitudini, per migliorare i rapporti umani senza i vincoli delle consuetudini e i valori tradizionali. In questo contesto ogni limite della tradizione e ogni regola sono vissuti come ingiusti e come vincolo alla realizzazione dei propri desideri e dei propri progetti di vita.

In realtà, negli ultimi due decenni e in una larga parte delle società occidentali contemporanee, non sappiamo più come governare l’autonomia e l’attivismo delle persone nella vita reale e virtuale (Siza, 2022). In società globalizzate, caratterizzate da rapide innovazioni tecnologiche, l’attivismo radicale delle persone crea molto frequentemente instabilità nella vita quotidiana e nella vita di ogni istituzione (la famiglia, la scuola, il sistema politico).

Ciò che noi osserviamo nella nostra vita sociale è la crescita di moltitudini di individui con deboli legami collettivi, attivi nel senso che con loro impegno radicale intendono cambiare e semplificare le regole della democrazia e della convivenza civile, riflessivi nel senso che valutano individualmente ogni sollecitazione, ogni richiesta delle istituzioni anche in ambiti che richiedono specifiche competenze (dal vaccino alle reazioni al riscaldamento globale).

Le vite umane sono state sottratte ai legami della famiglia, della tradizione e dei collettivi sociali, che un tempo prescrivevano in dettaglio come le persone dovevano comportarsi. Liberati da queste prescrizioni, gli esseri umani cercano di assumere individualmente un maggiore controllo e responsabilità per la propria vita (Howard, 2008: 3). La normalità è sempre più estesa, comprende scelte e stili di vita che pochi anni la maggioranza delle persone marginalizzava; in fondo siamo disponibili a ritenere normale qualsiasi comportamento.

Il problema diventa come orientare l’autonomia degli individui senza co-stringerli con regole di vita che incombono in ogni sfera di attività, senza disperdere la capacità di innovazione di individui attivi.

Nell’attuale dibattito pubblico emergono posizioni molto semplificate. In molti casi emerge l’illusione di riuscire ad individuare pochi atti risolutivi (per esempio, punizioni esemplari, norme severe) che in una comunità degradata avviino un processo virtuoso. In questo modo non consideriamo che interazioni e atti successivi che non progettiamo di governare possono invertire anche rapidamente gli esiti di ogni azione esemplare.

In altri casi emerge il richiamo alle comunità tradizionali del passato, a relazioni tradizionali nella scuola, in famiglia, alle gerarchie e alle distinzioni di una volta. Il problema è che per realizzare questo progetto non dovremmo soltanto cercare di sollecitare relazioni tradizionali di fiducia e rispetto, ma dovremmo ricostruire anche le istituzioni (il lavoro di una volta, la famiglia tradizionale, la comunità come ambito di relazioni territoriali, l’assenza di tecnologie, le concezioni tradizionali del tempo e dello spazio) che rendevano possibile e funzionali queste relazioni umane.

Nella vita economica leggi e sanzioni (amministrative, penali) limitano la capacità d’iniziativa degli individui e l’orientano verso alcuni obiettivi condivisi. Nelle relazioni intersoggettive contano soprattutto i processi di socializzazione (nella famiglia, nella scuola, nelle relazioni di amicizia, nell’ambiente di lavoro) per costruire individualità collaborative.

In molti contesti, i processi di socializzazione sono diventati disfunzionali, creano molto frequentemente instabilità nella nostra vita quotidiana, tendono a produrre conflitti sociali, nuove divisioni sociali nuove, chiare e distinte, nuove e competitive identità sociali in termini di valori e modelli comportamentali, nella vita pubblica e privata.

In altri contesti i processi di socializzazione contribuiscono alla creazione di individualità molto differenti, creano individui che riconoscono il valore e l’autonomia degli altri; costruiscono nuovi rapporti di collaborazione e di innovazione; iniziative collettive attraverso l’impegno individuale; valorizzano la comunità in cui operano non come fonte di norme e controllo stabilizzati, ma come contesto relazionale in cui creare risposte collettive ai bisogni delle persone.

L’impegno delle professioni sociali può essere indirizzato ad individuare i contesti, le condizioni, i sistemi di valore che favoriscono questi processi di crescita delle persone; le disponibilità umane e gli atti concreti che creano individualità attive capaci non soltanto di inserirsi attivamente nel mercato del lavoro ma anche di creare relazioni collaborative, iniziative collettive, curare le relazioni con le persone, costruire attivamente una convivenza civile più soddisfacente, legami collettivi meno costrittivi con la propria comunità.

Fukuyama nel suo più recente saggio (2022) sintetizza gli sviluppi del liberalismo classico. L’idea centrale del liberalismo è la valorizzazione e la protezione della autonomia individuale, come libertà di parola, di associazione, di fede e di vita politica. In questi ultimi due decenni il liberalismo ha avuto due sviluppi radicali: il neoliberismo nell’economia come libertà del mercato senza interferenze dello stato, e un secondo sviluppo che valorizza l’autonomia delle persone relativamente alla scelta dello stile di vita e dei valori, come costante rivendicazione dell’autonomia individuale nella vita quotidiana (p. 17).

Queste due versioni del liberalismo hanno sostituito, solo parzialmente, e in parte marginalizzato, il conservatorismo dei movimenti tradizionali di destra, legato ai valori e ai principi morali del passato, alla continuità e il compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro che per circa tre decenni ha assicurato ad una parte considerevole della popolazione estesi sistemi di welfare e alti salari, stabilità e crescita alle società europee. I tentativi di ricomporre queste grandi tradizioni (per esempio, la terza via, il comunitarimo) non sono riusciti a trovare un equilibrio soddisfacente e stabile tra le esigenze e le logiche di ogni sfera di vita (mercato, stato, società civile, famiglia).

Per queste ragioni può essere utile riprendere una riflessione pubblica sulla nostra convivenza civile, sui nostri sistemi di valori, sulle istituzioni, sulle relazioni tra città e piccoli centri urbani, per quali motivi il tessuto di relazioni che sta emergendo crea in molti contesti insicurezza e inquietudine