Cosa possiamo attenderci dal nuovo corso delle politiche contro la povertà?

Una riflessione a partire dall’esperienza del Reddito di Cittadinanza


Questo articolo è stato pubblicato anche su Lombardia Sociale

 

Lo scorso 1° maggio, con l’approvazione del cd. decreto “Lavoro”, il governo ha sancito l’ennesimo cambiamento delle politiche contro la povertà nel nostro paese. Il Reddito di Cittadinanza (RdC) sarà sostituito da due nuove misure: l’Assegno di inclusione (Adi) e il Supporto per la Formazione e il Lavoro (Sfl).

La prima rappresenterà la misura nazionale di riferimento nel contrasto alla povertà, garantendo un sostegno economico continuativo, sebbene limitato a categorie familiari specifiche non “occupabili” (famiglie con minori, disabili o over 60). La seconda riguarderà tutti i cd “occupabili” (ossia che non rientrano nelle categorie di meritevolezza tutelate dall’AdI) e il suo obiettivo principale sarà quello dell’inserimento nel mercato del lavoro, con un sostegno economico temporaneo (massimo di 12 mesi) e decisamente più basso rispetto l’Adi.

Diversi autori hanno già commentato questo cambiamento, sia sotto il profilo della nuova configurazione emergente delle politiche di contrasto alla povertà, sia in termini di potenziali effetti (si vedano, fra gli altri, Maitino et al. 2023 e Saraceno 2023, e i contributi su Welforum di De Capite 2023 e di Gori 2023). Nel quadro di questo dibattito, è utile riflettere sui possibili scenari a partire da quanto l’esperienza del RdC ha messo in evidenza, in termini di profili, aspettative e impatti sulle condizioni di vita.

In questo contributo avanziamo alcune considerazioni sulla base di informazioni qualitative raccolte con 30 interviste a beneficiari del RdC e con 15 con operatori dei sevizi sociali e del lavoro (inclusi i navigator), effettuate tra aprile 2021 e agosto 2022 in Lombardia e, più precisamente, in tre contesti territoriali di questa regione: città di Milano, Ambito Sociale di Vimercate in Provincia di Monza e Brianza e Ambito Sociale della Lomellina in Provincia di Pavia1.

Attraverso tali interviste si è inteso ricostruire i percorsi che hanno portato i nuclei famigliari a presentare la richiesta di RdC, nonché il rapporto con il sistema dei servizi e l’utilizzo del contributo economico. Ed è su questa base empirica che rifletteremo sul cambiamento in atto delle politiche nazionali di contrasto alla povertà considerando tre “snodi” specifici, riguardanti: i) i profili delle famiglie, ii) l’occupabilità e iii) la generosità del nuovo sistema di supporto.

I profili delle famiglie

Se consideriamo il profilo delle famiglie intervistate, dalla nostra ricerca è emerso come assieme alla “questione” lavoro (mancanza di occupazione, guadagni insufficienti), molto spesso si siano intrecciati ulteriori eventi che hanno impattato sulle traiettorie di vita e determinato l’ingresso nel RdC. Ad esempio, diversi nuclei famigliari hanno raccontato di aver avuto difficoltà a seguito di un cambiamento nella loro composizione, come nel caso di un divorzio/separazione, della nascita di un figlio, oppure a fronte dell’insorgere di problemi di salute di uno dei membri.

Con l’introduzione dell’Adi e del Sfl, questi elementi saranno centrali per identificare l’inserimento all’interno del sistema di protezione, a fronte del principio di “occupabilità”, definito non tanto sulla base di competenze spendibili sul mercato del lavoro, quanto in relazione alle caratteristiche del nucleo familiare. Se da una parte ciò potrebbe sostenere i profili di coloro che sono diventati beneficiari RdC proprio a seguito dei citati cambiamenti nella composizione del nucleo, dall’altra parte questa scelta può lasciare spazio a diverse controindicazioni.

Ad esempio, rispetto ai nuclei che saranno ritenuti “non occupabili” in base al nuovo quadro normativo, come ad esempio le madri sole, nella nostra ricerca diverse delle intervistate con questo profilo hanno manifestato la volontà di trovare un’occupazione ed essere quindi autonome economicamente, tanto da aver richiesto l’RdC nella convinzione che sarebbero state aiutate nel reinserimento nel mercato del lavoro. Tuttavia, questo obiettivo si è dimostrato difficile da raggiungere anche a causa delle difficoltà legate alla gestione dei figli, specialmente nei casi in cui mancava un supporto da parte di altri parenti. Questa problematica è stata ulteriormente aggravata durante la pandemia e dal protrarsi delle quarantene. Ne è conseguito che diverse madri sole non solo non sono riuscite a trovare un lavoro, ma non erano nemmeno nelle condizioni di cercarlo con continuità.

Chi è davvero “occupabile”?

Per la maggior parte dei beneficiari RdC intervistati, la presa in carico rappresentava un mezzo per trovare un’occupazione. In realtà, il loro percorso è stato spesso diverso dalle aspettative: per esempio, in alcuni casi sono stati assegnati ai servizi sociali e non ai centri per l’impiego (CPI), diversamente da quanto atteso. In questo gruppo sono rientrati non solo famiglie con minori, o soggetti fragili, ma anche nuclei monopersonali, che con la nuova riforma prevista dal Governo saranno ritenuti “occupabili”.

Fra i beneficiari intervistati, questo tipo di nucleo era costituito prevalentemente da over 40 o 50, ritenuti dagli operatori CPI e navigator come profili “difficili” da reinserire nel mercato del lavoro. In generale, non solo i nuclei monopersonali in età attiva, ma anche i beneficiari RdC nel loro insieme, si sono dimostrati difficilmente occupabili. Le caratteristiche dei beneficiari, con particolare riferimento alla presenza di bassi titoli di studio, o ad uno stato di disoccupazione che persiste nel tempo, hanno contribuito in molti casi a ridurre le possibilità di reinserimento lavorativo, o l’ottenimento di una occupazione stabile o formale.

Tuttavia, anche lo “stato” dei servizi sembra aver rappresentato una variabile cruciale. Sia i servizi sociali che i CPI hanno espresso, infatti, difficoltà nella gestione della platea di beneficiari, essendo questa aumentata considerevolmente con l’introduzione del RdC. Non a caso, dalle interviste, è emerso che diversi beneficiari erano stati da poco convocati per il primo appuntamento, nonostante avessero ricevuto il contributo economico per più di 18 mesi.

È importante ricordare che da quando l’RdC è stato introdotto, sono state assunte diverse figure nel sistema territoriale dei servizi sociali e del lavoro: i CPI sono stati potenziati e sono stati inseriti i navigator, mentre per i servizi sociali è stata prevista l’assunzione di nuovi operatori. Ciononostante, molto spesso l’integrazione di queste nuove risorse si è rivelata insufficiente. Secondo gli operatori dei CPI intervistati in futuro si intercetteranno difficoltà simili, presumibilmente aggravate dal venir meno dei navigator e dal fatto che non è stata prevista un’assunzione almeno in egual numero di operatori CPI.

Quindi, non solo i beneficiari RdC presentavano profili difficilmente occupabili, ma anche gli stessi servizi non sono stati dotati delle risorse necessarie per provvedere celermente ad eseguire le prese in carico. A questo proposito, sebbene l’Adi e il Sfl prevedano tempi più lunghi per la definizione del primo appuntamento (120 giorni dalla sottoscrizione del patto elettronico, rispetto ai 30 giorni dalla ricezione del contributo RdC), sorge spontaneo chiedersi se i servizi saranno in grado di rispettare le tempistiche previste dalla normativa. Allo stesso modo, appare improbabile che i CPI riescano effettivamente ad accompagnare tutti o gran parte dei beneficiari in un percorso di reinserimento lavorativo di successo entro 12 mesi, la durata massima prevista per il contributo economico connesso al Sfl.

L’esperienza del RdC ha dimostrato, inoltre, come le attivazioni, anche da parte dei servizi per il lavoro, spesso abbiano avuto un effetto rilevante per i beneficiari non tanto in termini di inserimento occupazionale in senso stretto, bensì più in termini di ripresa di una attività e, di conseguenza, di maggiore fiducia individuale. Sia i beneficiari che gli operatori hanno sottolineato questo aspetto. Il risultato principale di questi percorsi, infatti, ha riguardato nell’immediato il beneficio psicologico tratto dai beneficiari. Il loro coinvolgimento li ha portati ad assumere prospettive più ottimiste verso il futuro, dopo anni di disoccupazione e di mancanza di un contatto con i servizi: un aspetto che può favorire un processo virtuoso e, con tempistiche più lunghe, anche il reinserimento lavorativo. Con l’introduzione del Sfl, e delle sue tempistiche, questi processi rischiano di essere fortemente compromessi.

Il contributo economico permette una vita dignitosa?

La parte economica del RdC è stata valutata, in larga parte, dai beneficiari intervistati come appena sufficiente alla copertura delle spese di base. Tanto che spesso il contributo monetario si accompagnava alla ricezione di ulteriori aiuti, pubblici o provenienti dalle reti familiari. Ciononostante, ed eccetto i casi in cui l’importo era decisamente contenuto, i beneficiari hanno espresso generalmente una valutazione positiva: la garanzia di un’entrata stabile, su base mensile, in grado di far “quadrare i conti” ha auto un impatto positivo, dal punto di vista della condizione di benessere psicologico, garantendo una condizione di maggiore stabilità e sicurezza.

In quest’ottica, se già l’RdC rappresentava molto spesso un contributo appena sufficiente alla copertura delle spese di base, un ammontare addirittura inferiore, come quello che dovrebbe riguardare il Sfl (pari a 350 euro), sarà molto probabilmente inadeguato a risollevare da condizioni di insicurezza e malessere, derivanti dalla preoccupazione relativa a come pagare l’affitto, le utenze, la spesa. La mancanza di risorse ad integrazione del marginale contributo economico del Sfl potrebbe spingere verso l’adesione ad attività in nero, in modo da raggiungere una soglia sufficiente di risorse per poter vivere. Tali problematicità potrebbero presentarsi non solo per il periodo di percezione del Sfl, ma soprattutto al suo scadere dopo 12 mesi, dato che non è prevista la possibilità di chiedere un rinnovo. D’altra parte, l’Adi potrebbe costituire un supporto più adeguato per i nuclei che lo riceveranno, non solo per gli importi (più alti rispetto il Sfl, sebbene meno generosi rispetto al RdC), ma anche per la possibilità di rinnovare la misura dopo circa 18 mesi dall’inizio della percezione.

Nel passaggio alle nuove misure nazionali viene riproposta, inoltre, la mancata calibrazione dei benefici rispetto al costo della vita nel luogo di residenza. Si tratta di un tema complesso, che dovrebbe considerare, oltre al costo della vita, anche la disponibilità di beni pubblici (Saraceno 2021), spesso più ampia al Nord che al Sud e nelle grandi città che nelle aree più remote. In ogni caso, dalle interviste con i beneficiari RdC è emerso chiaramente come il “caro-vita” sia una questione rilevante (in particolare nel contesto milanese), che mina la possibilità di garantire, attraverso le sole misure nazionali, una soglia di adeguatezza minima di risorse ai nuclei familiari.

Conclusioni

Alla luce di questi risultati, appare doveroso chiedersi quanto le nuove misure che sostituiranno il RdC saranno in grado di garantire un livello di vita dignitoso, accompagnando i beneficiari in un percorso efficace di uscita dalla condizione di povertà.

La preoccupazione è specialmente rivolta ai soggetti “occupabili”, che saranno presi in carico dalla misura di inserimento lavorativo, il SfL. Essa, infatti, non solo prevede un importo nettamente inferiore, ma la sua erogazione si esaurirà in 12 mesi. Dall’altra parte, l’Adi considererà esclusivamente le difficoltà derivanti da cambiamenti nella composizione familiare o da carichi di cura, che non solo comportano costi dedicati aggiuntivi, ma anche influiscono sulla possibilità di trovare un lavoro o di lavorare a tempo pieno.

Non solo. Con l’attuale disegno del Sfl rischia di venir meno l’elemento di maggiore sicurezza individuale che l’RdC forniva ai beneficiari attraverso il contributo economico e un’attivazione non necessariamente finalizzata ad un’assunzione diretta, nel breve termine, ma ad una graduale risocializzazione e ripresa di consapevolezza delle proprie potenzialità, elementi fondamentali nel medio-lungo termine.

  1. Le interviste sono state condotte nel quadro della ricerca Prin 2017 CoPInG – Contrasting Poverty through Inclusive Governance. A study on the local implementation of the national minimum income scheme in Northern Italy, finanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca (protocollo: 2017KFNH4L_002). Questa nota rientra fra le attività di ricerca e disseminazione promosse da tale ricerca.

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