I percorsi di inclusione


Nunzia De Capite | 16 Maggio 2023

Premessa

Il dibattito sul Reddito di cittadinanza e sul suo futuro non conosce tregua. Con l’approvazione del decreto lavoro, il 1º maggio, di fatto si sancisce la fine di questa misura, che verrà sostituita nei prossimi mesi da due programmi distinti.1

Le previsioni governative saranno sottoposte a dibattito parlamentare nelle prossime settimane e ci sembra utile soffermarsi su alcuni aspetti relativi ai percorsi di inclusione che costituiscono “l’altra faccia della medaglia” delle misure contro la povertà, spesso tuttavia non adeguatamente considerati nella fase di ripensamento delle misure, mentre invece impattano moltissimo sulla vita delle persone, sulla organizzazione dei servizi territoriali nonché sulla percezione complessiva dell’utilità ed efficacia della misura stessa.

Caritas Italiana ha condotto negli scorsi mesi una riflessione in particolare su questo aspetto,2 con l’intento di fare tesoro dell’esperienza accumulata con il Rei e con il Rd, e dando voce ai protagonisti della attuazione sui territori dei percorsi di inclusione, ovvero assistenti sociali e responsabili di uffici di piano che quotidianamente e a diverso titolo sono impegnati in questa non sempre agile impresa. Ci si è concentrati sull’inclusione sociale, tralasciando i processi di inserimento lavorativo in quanto sui percorsi di inclusione sociale in questi anni si è avuto modo di raccogliere una mole più consistente di informazioni e si era dunque in grado di offrire un quadro più approfondito basato sulle testimonianze dirette recenti di operatori ed esperti del settore.

Inclusione: alcune dimensioni fondamentali per comprenderla

In primo luogo quando si parla di inclusione sociale spesso si ha in mente uno stato, una condizione, una caratteristica definita che c’è o manca del tutto. E invece un primo aspetto fondamentale da considerare è proprio il tratto processuale dell’inclusione. Essa è una meta che si può raggiungere al termine di un percorso, lungo, tortuoso, con strozzature e ingorghi, dall’esito non scontato e dai tempi incerti.

L’indefinitezza dell’approdo è spiegato anche al fatto che, trattandosi di un processo, l’inclusione sociale chiama in causa una considerevole quantità di soggetti e si articola in numerose fasi fra loro spesso concatenate: l’offerta dei servizi e le collaborazioni locali per offrire alle persone una gamma variegata e qualificata di opportunità di integrazione sociale, il rapporto degli operatori con gli strumenti informatici (piattaforme), utili ma a volte molto onerosi, i Progetti utili alla collettività (PUC).

Inoltre, un aspetto cruciale per capire le logiche di funzionamento dell’inclusione sociale è costituito dalla compresenza di due livelli: un livello nazionale e uno locale. La dimensione nazionale riguarda le prescrizioni di legge; quella locale è il terreno in cui si realizzano concretamente le azioni che permettono alle persone di migliorare la propria situazione sociale, psicologica, relazionale e lavorativa. I percorsi di inclusione dipendono, quindi, sia da ciò che è stabilito per legge sia dal modo in cui la previsione viene attuata sui territori.

Ragionare di inclusione, allora, vuol dire tenere insieme la scala nazionale e quella locale. L’esperienza di questi anni indica che è importante che a livello nazionale si individuino strumenti per l’attuazione locale e che questi siano resi vincolanti per i territori coinvolti nel funzionamento della misura. Lasciare alla discrezionalità dei singoli Comuni il ricorso a certe modalità di lavoro pure auspicate (come il fare rete) significa non puntare su cambiamenti strutturali e di sistema, ma affidarsi alla volontà dei singoli responsabili degli uffici di piano e degli operatori. E questo non basta a garantire miglioramenti duraturi e condivisi.

L’avvio dei percorsi di inclusione sociale e lavorativa deve passare per un primo contatto diretto con gli operatori dei servizi sociali

Questo perché:

  • la misura di contrasto alla povertà è composta da due elementi, un contributo economico e i servizi alla persona, che sono inscindibili sin da subito
  • la relazione e la mediazione sono ingredienti fondamentali per l’empowerment delle persone.

L’esperienza del RdC offre molti spunti di riflessione: per i beneficiari la cosiddetta fase di “presa in carico” da parte dei servizi sociali o dei Centri per l’impiego è stata successiva, spesso anche di alcuni mesi, alla ricezione del contributo. Questo disallineamento tra erogazione del contributo economico e contatto con i servizi ha prodotto conseguenze non trascurabili sui percettori (le persone non erano a conoscenza del fatto che la misura non si esauriva nel solo contributo economico, ma prevedeva alcuni impegni vincolanti a cui bisognava attenersi, pena la perdita del beneficio economico; molti nuclei in condizioni di grave bisogno sotto il profilo sociale, psicologico, relazionale, lavorativo e per essi, hanno ricevuto con ritardo il sostegno psico-sociale di cui avrebbero avuto necessità). Per ovviare a ciò non basta tuttavia rendere obbligatorio per i richiedenti la misura la firma di un patto digitale su una piattaforma (come previsto dal decreto lavoro).

Sarebbe invece opportuno procedere nel seguente modo: dopo che le persone abbiano fatto domanda per la misura e l’Inps abbia verificato la presenza dei requisiti per ricevere il contributo, chi non è noto ai servizi sociali verrà da questi convocato (anche con incontri di gruppo, come si fa già in alcuni contesti territoriali) per ricevere alcune prime informazioni sulla misura e sui vincoli che essa prevede, accettati i quali, viene stipulato il patto di inclusione che in una prima fase prevederà un set di “condizionalità universali di base” (conseguimento del titolo dell’obbligo, colloqui con i servizi, contatto con Asl o Serd o centri per l’impiego, ecc.) individuate in base alle caratteristiche di bisogno del nucleo e che verranno approfondite nei successivi incontri con gli operatori dei servizi per mettere a punto il progetto personalizzato di dettaglio. In questo modo la persona, firmato il patto di inclusione con gli operatori, potrà ricevere il contributo economico. Per i richiedenti già in carico o noti ai servizi sociali si potrà verificare più velocemente e agevolmente, con le informazioni di cui già i servizi sono in possesso, lo stato del progetto personalizzato siglato, aggiornarlo, se necessario o riconfermarlo, il che darà diritto a ricevere il contributo economico.

Rete locale e ingaggio istituzionale. Perché non si può prescindere dal farla in un certo modo

Perché un intervento sociale possa dispiegare i suoi effetti benefici sulle vite delle persone, all’analisi multidimensionale della situazione condotta dagli assistenti sociali occorre che faccia seguito l’attivazione di una articolata e variegata gamma di servizi sul territorio in grado di rispondere alla multifattorialità del disagio di nuclei e persone (istruzione, salute, componente psicologica e relazionale, esigenze abitative, ecc.).

Il vero nodo sui territori resta quello della esistenza di una offerta locale di servizi adeguata ai bisogni, soddisfacente sotto il profilo qualitativo e quantitativo, il più possibile completa e soprattutto integrata.

L’assenza di un vincolo normativo rispetto alla creazione di una rete locale (come invece era stato fatto per il Rei, che prevedeva per decreto la costituzione di una cabina di regia locale per la presa in carico e la gestione delle situazioni), così come la mancanza di un soggetto garante del suo funzionamento (con il Rei erano i Comuni) ha fatto sì che questo aspetto sia stato trascurato in questi ultimi anni, disperdendo anche quanto su questo era stato fatto nel 2017-2018. la rete potrebbe tradursi in due dispositivi: le equipe multidimensionali o cabine di regia locali o tavoli di inclusione per il contrasto alla povertà, che dovrebbero appunto riunire tutti gli incaricati dei diversi servizi territoriali e prevedere anche la partecipazione degli enti di terzo settore che si occupano di questo tema; l’istituzione di una figura ad hoc, come ad esempio un “manager di rete”, che sia preposto e abbia come mandato professionale principale quello di creare e manutenere la rete.

Il sistema informativo e le scambio di informazioni tramite piattaforma

Una delle difficoltà incontrate con il Rdc a livello locale è consistito nella mancata comunicazione (interoperabilità) tra le diverse piattaforme informatiche che gestiscono i tre sistemi di banche dati del RdC: quella dell’Inps, quella che fa capo al Ministero del Lavoro (GEPI) per i progetti di inclusione sociale e quella che fa capo all’Anpal per i percorsi di inserimento lavorativo (MyAnpal).

Per gli operatori è una lacuna che ha prodotto ricadute molto consistenti sulla operatività e sulla gestione delle situazioni: non si era a conoscenza in tempo reale di blocchi o sospensioni della misura o di variazioni intercorse dalla presentazione della domanda al momento in cui si consulta la piattaforma, rischiando di non realizzare percorsi di inclusione sintonici rispetto allo stato della erogazione prettamente economica del beneficio. A questo si potrebbe ovviare ripristinando il sistema in vigore con il Rei che prevedeva la possibilità per gli operatori dei servizi sociali di lavorare su un applicativo creato appositamente dall’Inps e aggiornato in tempo reale sullo stato della domanda, sui controlli, sulle verifiche e sulle variazioni in itinere.

I PUC.  A quali condizioni renderli uno strumento di inclusione, evitando di disperdere quanto ha funzionato finora

I progetti utili alla collettività (PUC) rientrano nella gamma di proposte di attività che i servizi sociali e i Centri per l’impiego potevano fare ai beneficiari del RdC e che costoro sono tenuti a svolgere. L’esperienza finora dice che, dal punto di vista dei beneficiari coinvolti, questa proposta è stata valutata molto positivamente: al di là di alcune resistenze iniziali e anche se non sono mancati casi di adempimento formale senza particolare entusiasmo o motivazione, chi ha svolto i PUC ha manifestato in molti casi apprezzamento per questa forma di impegno, arrivando anche a chiedere di poter prolungare l’attività oltre il termine del periodo previsto; inoltre spesso i PUC hanno consentito alle persone di percepirsi “in regola”, in grado cioè di risarcire la comunità per l’aiuto economico ricevuto dallo Stato: un altro modo di vivere la condizionalità.

Dal punto di vista dei Comuni, che ne sono i titolari, sono state messe in evidenza una serie di complessità organizzative e amministrative (capacità progettuale dei Comuni, personale dedicato agli adempimenti previsti, collegamento con CPI e servizi sociali, ecc.) che si sono scaricate sul personale dei Comuni trasformando una interessante opportunità in una incombenza gravosa. I PUC finora hanno infatti funzionato meglio dove si è realizzato un intenso lavoro in team tra referenti amministrativi del Comune, assistenti sociali, eventuali referenti di organizzazioni terze affidatarie del servizio e dove c’è personale dedicato per gestire gli aspetti amministrativi.

Per sviluppare le potenzialità di inclusione dei PUC sarebbe auspicabile un coinvolgimento ampio del bacino locale di associazioni, enti e realtà di terzo settore che potrebbero fornire un apporto in termini di proposte di empowerment, collegamento tra le attività di stampo sociale a cui sono tenuti i beneficiati di RdC e un rapporto positivo con il territorio e il resto della popolazione. In questo modo i Comuni potrebbero occuparsi interamente ed esclusivamente degli oneri amministrativi, individuando a monte delle linee di attenzione progettuale da promuovere a livello locale e su cui attivare bandi di idee per sollecitare la creatività del mondo del terzo settore e offrire così alle persone percorsi di qualità in grado di generare benefici all’intera comunità.

Una ipotesi di questo tipo richiede, come intuibile, corposi stanziamenti di risorse. Non si deve però escludere la possibilità di prevedere la creazione di partnership con sponsor esterni a cui i Comuni potrebbero chiedere una compartecipazione. Non mancano esempi in questa direzione che si potrebbe analizzare per studiare i vantaggi e i limiti di soluzioni di questo tipo e implementare questa proposta evitando di liquidarla frettolosamente.

Tabella – Riepilogo dei punti chiave sull’inclusione sociale
Questioni Criticità attuali Proposte per possibili miglioramenti/correttivi
Disallineamento tra erogazione del contributo economico e contatto con i servizi e primato della relazione con gli operatori
  • Due fasi separate (percezione di due aspetti scollegati)
  • Non ricevere istruzioni sulla misura
  • Non ricevere un tempestivo supporto sociale
  • Allineare erogazione del contributo economico e contatto con i servizi
  • Prevedere un primo contatto conoscitivo con i servizi per la stipula di un progetto personalizzato di base (da approfondire successivamente)
Rete locale
  • assenza o scarsità di servizi per l’inclusione disponibili sul territorio
  • ricorso all’acquisto di prestazioni da parte dei comuni
  • assenza di coordinamento stabile fra i vari servizi locali e da attivare a seconda dei casi
  • Vincolo normativo alla creazione di una rete locale attraverso equipe multidimensionali o cabine di regia locali o tavoli di inclusione per il contrasto alla povertà, che dovrebbero riunire tutti gli incaricati dei diversi servizi territoriali e prevedere anche la partecipazione degli enti di terzo settore che si occupano di questo tema
  • Manager di rete
Sistemi informativi onerosi
  • Non interoperabili fra loro
  • Funzionamento “one way” (input senza estrazione dati)
  • Lavoro ingessato e molto oneroso per gli operatori
  • Impossibilità di accedere a dati utili
  • Impossibilità di trarre dati per programmazione locale e accountability
  • Da mezzo a fine in sé stesso
  • Rendere gli strumenti operativi adeguati alle esigenze di chi le utilizza
PUC una risorsa da valorizzare
  • Procedure ammnistrative onerose per i comuni
  • Alleggerimento oneri burocratici
  • Figure dedicate
  • Lavoro in team (comuni, servizi sociali, terzo settore, imprese)
  • Stanziamenti ad hoc

 In dialogo con operatori, amministrativi e uffici di piano prima di prevedere modifiche e curare la transizione

Nel 2019, quando si passò al RdC, non solo mancò del tutto un confronto preliminare sul disegno della nuova misura con gli operatori e con i soggetti coinvolti nella attuazione sia a livello locale che nazionale, ma non ci si pose neanche il problema di accompagnare la transizione dalla vecchia alla nuova misura. Chi ha avuto modo di ascoltare le persone sui territori nei mesi immediatamente successivi ha potuto constatare che l’estromissione degli operatori in questa fase ha rappresentato un elemento di enorme e trascurata criticità nella fase attuativa del RdC: le persone che fino ad allora avevano lavorato con il REI e che nel giro di qualche mese si sono ritrovate a gestire una misura completamente diversa hanno lamentato di non essersi sentite motivate, di essere scoraggiate dai cambiamenti di cui non comprendevano la ratio e soprattutto di sentirsi confinate a meri esecutori, semplici comprimari e non più attori responsabili dell’attuazione di una misura così complessa.

Questo diaframma fra nazionale e locale non ha favorito il passaggio già non agevole dal REI al RdC. L’esperienza del 2019 ci dice quindi che è fondamentale coltivare il dialogo e confronto con gli operatori a tutti i livelli di attuazione (Ministeri, Regioni, ATS, CPI) per raccogliere opinioni, pareri, per comprendere risvolti poco noti del concreto funzionamento delle misure e, soprattutto, per rendere partecipi di questo processo le persone che quei cambiamenti saranno chiamate a metterli in partica nel loro lavoro quotidiano.

Sarebbe un segnale di grande discontinuità da parte del Governo attuale rispetto al passato riuscire a progettare e curare con attenzione il processo di transizione da una misura a una sua versione modificata: significherebbe mettere davvero al centro l’interesse per le persone in povertà che questa misura la ricevono e considerare con rispetto e riconoscenza il lavoro di coloro che con questa misura si confrontano ogni giorno. Un investimento che, pur richiedendo qualche sforzo in questo 2023, darebbe moltissimi frutti nel futuro, evitando strappi e garantendo scorrevolezza nella fase di attuazione. Vorrebbe dire aver imparato dall’esperienza, facendo tesoro degli errori compiuti in passato con la volontà e la determinazione di superarli a vantaggio di tutti i cittadini e le cittadine.

  1. Per un commento al decreto lavoro relativamente agli interventi per il contrasto alla povertà si veda Decreto lavoro: un primo sguardo alle misure contro la povertà – Caritas Italiana.
  2. cfr. Caritas Italiana, Adeguate ai tempi e ai bisogni. Rapporto sulle politiche di contrasto alla povertà in Italia, gennaio 2023, e Caritas Italiana, Proposta di riforma del Reddito di cittadinanza, 30 marzo 2023.