Dall’Europa: lotta alla povertà e strategia sulla disabilità


Chiara Crepaldi | 1 Marzo 2017

Il mese di febbraio è stato caratterizzato da un forte attenzione al tema della lotta alla povertà e alle modalità di fronteggiarla. Il policymaking e il dibattito europeo si sono concentrati sulle politiche di contrasto alla povertà. Il Presidente UE Juncker innanzitutto ha dichiarato nell’ambito di una conferenza sui diritti sociali a Bruxelles che tutti i paesi Europei dovrebbero garantire a tutti i cittadini un reddito minimo per chi è senza lavoro e un salario minimo per chi lavora. Negli ultimi mesi molti paesi hanno riformato le proprie misure di lotta alla povertà introducendo correttivi di vario tipo ai propri redditi minimi. Di particolare rilievo è la nuova misura introdotta in Grecia, che, come l’Italia, ha finalmente dato avvio ad un reddito di ultima istanza omogeneo sul territorio nazionale volto al contrasto alla povertà estrema. Si tratta di una misura lanciata in forma sperimentale lo scorso anno dal Ministero del Welfare e Solidarietà Sociale volta a fornire una safety net alle famiglie con un reddito annuo inferiore ai 2.400 euro nel caso di una persona o di 4.800 euro per nuclei di 4 persone e con un patrimonio al di sotto di una data soglia. Il programma è basato su tre pilastri: a) sostegno economico, b) connessione con I servizi di integrazione sociale e c) connessione con servizi di attivazione volti all’inserimento dei beneficiari nel mercato del lavoro.  La prima fase sperimentale è partita a Luglio ed è terminata in Dicembre 2016 e ha visto il coinvolgimento di 30 Comuni con 48.000 beneficiari, il 50% dei quali a reddito zero. La seconda fase ha preso avvio a gennaio 2017 e include 325 comuni su un totale di 1.034 con un budget analogo a quello stanziato per il SIA italiano, ovvero 760 milioni di euro. Un tema al centro del dibattito europeo per tutto il mese è stato quello legato alla proposta di istituire un reddito di base universale, indipendente dal reddito e da qualsivoglia condizionalità. Le ragioni per un accresciuto interesse verso questo tipo di misura derivano dalla consapevolezza che le nuove tecnologie e i robot stanno portando e porteranno sempre più ad una riduzione di posti di lavoro e che, dunque, anche una accelarata della crescita del PIL, magari sostenuta da manovre economiche in tale direzione, non ci si aspetta possa portare una crescita dell’occupazione. Il 16 febbraio il Parlamento Europeo ha rigettato, con 328 voti contrari e 286 a favore, una proposta di risoluzione avanzata dalla Commissione giuridica di istituire un reddito di base (o di cittadinanza) come ammortizzatore sociale per la perdita di milioni di posti di lavoro dovuti all’automazione su larga scala. E’ stata bocciata anche l’idea di tassare la produzione di robot per avere i fondi necessari per il sussidio. Alcuni paesi, quali l’Olanda e la Finlandia, stanno già testando misure di questo tipo per valutarne l’impatto sociale ed economico oltre che sulla possibile passivizzazione che può generare sui beneficiari. Molti articoli e position papers sono stati pubblicati da esperti sul tema nei giorni successivi sulla stampa internazionale e sui siti delle maggiori ONG europee, tra i quali di particolare interesse quello di Anke Hassel sul sito di  Social Europe. Un tema nuovo è anche quello della proposta di una misura europea di lotta alla povertà, avanzata dall’EAPN – European Antipoverty Network, per i lavoratori che lavorano in paesi europei diversi da quelli di cui hanno la nazionalità, in considerazione del fatto che il sistema attuale di coordinamento delle misure di protezione sociale in caso di disoccupazione funziona ancora in modo molto parziale. L’attenzione dei media e degli esperti si è infine concentrata anche sui temi della povertà minorile e dei senza dimora in conseguenza dell’uscita di due pubblicazioni la prima a cura di Save the Children e la seconda dell’OCSE. Il 3 febbraio 2017 la Commissione europea ha presentato la relazione sullo stato di avanzamento dell’attuazione della strategia europea sulla disabilità 2010-2020. Secondo i risultati riportati dalla relazione grazie all’azione dell’UE in Europa si è progredito in tutti e otto gli ambiti della strategia: accessibilità, partecipazione, uguaglianza, occupazione, istruzione e formazione, protezione sociale, salute e azione esterna. Tuttavia l’azione dell’UE ha avuto un impatto rilevante negli ultimi anni, ma non può avere successo senza l’aiuto degli Stati membri. La strategia europea sulla disabilità è il principale strumento per sostenere l’attuazione da parte dell’UE della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD), che ha compiuto 10 anni a dicembre 2016. Tra i successi richiamati vi è il progetto di tessera europea d’invalidità è stato sperimentato in 8 Stati membri, compresa l’Italia, che agevolerà i viaggi delle persone con disabilità tra i paesi partecipanti. La tessera garantirà pari accesso a vantaggi specifici, soprattutto nel campo della cultura, del tempo libero, dello sport e dei trasporti, e sarà riconosciuta reciprocamente dai paesi dell’UE che partecipano al sistema, su base volontaria. Il rapporto evidenzia tuttavia che i problemi affrontare restano ancora molti: con l’invecchiamento della popolazione dell’UE infatti il numero di Europei con disabilità sta aumentando notevolmente e il loro tasso di occupazione resta molto più basso di quello delle persone non disabili (48,7% rispetto a 72,5%). Inoltre, nell’UE il 30% delle persone con disabilità è a rischio di povertà o esclusione sociale, rispetto al 21,5% delle persone senza disabilità. Entro il 2020 circa 120 milioni di Europei avranno una disabilità.