Disabilità e sport, anche agonistico

Criticità normative e nuove prospettive


Carmen MusuracaErnesto Russo | 29 Aprile 2019

Il movimento e l’attività motoria generalmente intesa possono essere considerati anche uno strumento terapeutico e curativo per le persone con disabilità di ogni genere ma, unitamente ai benefici di carattere medico, la pratica dello sport a tutti i livelli costituisce un insostituibile volano per la formazione, la maturazione e l’effettiva inclusione sociale dei diversamente abili, capace di generare un benessere soggettivo e una fondamentale spinta motivazionale per il singolo.

 

Se oggi esiste una piena consapevolezza dell’ importantissimo ruolo che svolge la pratica sportiva per i disabili e anche a livello mediatico si è creata una consistente attenzione verso le competizioni e gli atleti paralimpici, tanto resta ancora da fare sul fronte normativo per una regolamentazione del settore che possa essere pienamente inclusiva attraverso la predisposizione di meccanismi capaci di valutare e consentire, anche grazie all’aiuto della tecnologia, la partecipazione congiunta alle competizioni agonistiche di atleti disabili e normodotati oltre al riconoscimento di piena dignità agonistica a livello ufficiale ai già significativi esempi esistenti di c.d. “sport integrato”, discipline che vanno oltre il mero sport per disabili.

 

Fino agli anni ’80, però, in Italia l’attività sportiva organizzata e consentita ai disabili era unicamente quella di tipo ludico motorio o comunque a carattere non agonistico e anche nel resto d’Europa solo nei primi del ‘900 si hanno notizie delle prime competizioni e manifestazioni per categorie di disabili1.

Da ciò è derivato un ovvio ritardo normativo e regolamentare soprattutto sul fronte della indispensabile adeguatezza delle disposizioni volte alla tutela della salute necessarie a consentire una effettiva partecipazione in sicurezza all’attività agonistica sportiva da parte dei soggetti portatori di handicap.

 

I riferimenti normativi che aprono nuove piste

Solo con la Circolare del Ministero della Sanità n. 34 del 20/10/1988, infatti, si fece per la prima volta riferimento espresso a livello interno agli atleti agonisti con disabilità sancendo la disciplina relativa alla concessione della specifica idoneità sportiva; e anche il formale riconoscimento dell’attività sportiva quale strumento fondamentale per l’integrazione sociale dei portatori di disabilità è avvenuto solo con l’enunciazione all’art. 23 della nota “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, L. 5 febbraio 1992, n. 104, del diritto alla pratica dell’attività sportiva da parte di tutte le persone con handicap senza limitazione alcuna, demandando al Ministro della Sanità la definizione di protocolli per la concessione dell’idoneità alla pratica sportiva agonistica alle persone disabili.

 

In attuazione al suddetto rinvio normativo, in analogia alle previsioni adottate per i normodotati nel D.M. 18 febbraio 1982, con il Decreto del Ministero della Sanità 4 marzo 1993, ancora pienamente in vigore, sono stati finalmente dettati i criteri operativi per il riconoscimento della idoneità specifica per la pratica dell’attività agonistica da parte di soggetti portatori di un handicap fisico e/o psichico e/o neurosensoriale, introducendo l’obbligo alla previa sottoposizione di specifico controllo in relazione alla particolarità della disciplina sportiva che si desidera svolgere e in relazione alle particolarità dell’handicap sussistente.

 

Nell’allegato al decreto 4 marzo 1993 viene operata una netta separazione tra sport ritenuti a impegno muscolare e cardio respiratorio “lieve-moderato” (tabella A – nella quale troviamo: automobilismo, karting; bocce, bowling; scherma; tennis tavolo; tiro a segno, tiro con l ’arco; vela), e sport ad impegno “elevato” (tabella B – ricomprende invece: atletica leggera; attività subacquee; basket in carrozzina; calcio, goalball, torball; canoa, canottaggio; ciclismo; equitazione; judo, lotta; nuoto, pallanuoto; pallamano, pallavolo; pentathlon moderno; sci alpino; sci di fondo; slittino; sollevamento pesi; tennis). Nel caso l’attività sportiva prescelta dall’interessato non sia stata espressamente contemplata, essa deve essere assimilata, ai fini degli accertamenti sanitari da compiersi, a quella che, tra le previste, presenti maggiore affinità.

 

La normativa specifica prevede, poi, così come avviene per i normodotati, una generale periodicità annuale dei controlli, salvo specifiche necessità, e una piena competenza per la Federazione Italiana Sport Disabili (dal 16 marzo 2005 Comitato Italiano Paralimpico – CIP) o per gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni ai fini della qualificazione come agonista per i portatori di handicap che praticano attività sportiva.

 

In particolari circostanze, però, la pur accertata presenza di disabilità può di fatto rivelarsi anche del tutto insignificante per la pratica di una specifica disciplina sportiva, e ciò a tal punto da non giustificare la legittima esclusione dalla categoria competitiva dei normodotati di determinati soggetti comunque in possesso di certificazione medica di idoneità alla pratica dell’attività agonistica per specifica disciplina. Addirittura, poi, per una precisa fattispecie di disabilità, è lo stesso D.M. del 1993 a prevedere espressamente una quasi totale equiparazione dell’atleta disabile al normodotato laddove dispone all’art. 6 che per l’idoneità agonistica per i sordomuti “si applica integralmente la normativa del D.M. 18 febbraio 1982 (“Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica” – relativa ai normodotati), escludendo la votazione dell’udito”.

 

Emblematico, a riguardo, è il noto precedente dell’atleta sudafricano Oscar Pistorius, amputato ad entrambe le gambe, a cui il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna nel maggio del 2008 ha consentito di partecipare a tutte le competizioni internazionali insieme ai c.d. “normodotati” dichiarandolo così eleggibile per le Olimpiadi di Pechino e ribaltando la precedente decisione della Federazione Internazionale di Atletica (IAAF), che riteneva Pistorius “avvantaggiato” dalle sue protesi in maniera considerevole rispetto ai normodotati.

Sino ad allora le autorità statali e sportive non avevano mai realmente affrontato la questione, e salvo qualche sporadica previsione inserita in specifici regolamenti tecnici2 ad oggi rimane ancora enorme il vuoto normativo esistente per la disciplina di fattispecie analoghe con una conseguente enorme lesione dei potenziali diritti per i soggetti portatori di handicap.

 

A quanto fin qui evidenziato, si aggiunga anche che, in attuazione alla riserva di competenza disposta dalla Legge n. 104/92, il Comitato Italiano Paralimpico (CIP) confederazione delle federazioni e discipline sportive paralimpiche, riconosciuto con Legge n. 124 del 2015 come Ente Pubblico per lo sport praticato da persone con disabilità, regolamenta le modalità concrete di svolgimento dell’attività sportiva dei disabili in armonia con gli indirizzi emanati dagli organi sportivi internazionali e al fine di promuove la massima diffusione della pratica sportiva e l’ampliamento dell’offerta sportiva per i disabili, conclude sinergie e protocolli d’intesa con le singole Federazioni Sportive Nazionali e Discipline Sportive Associate per specifiche attività sportive, prevedendo per questi enti espressamente la possibilità di provvedere ad un  tesseramento unitario e identico, dunque, sia per normodotati che per disabili e che, seppur nel rispetto delle specifiche indicazioni sanitarie sull’idoneità contenute nel D.M. del 4/04/1993, è titolo potenzialmente legittimante la partecipazione degli atleti tesserati nelle medesime categorie competitive.

 

Per la diffusione di sport integrati e inclusivi

Come sempre, poi, la vita nei fatti anticipa di molto l’evoluzione normativa e, oltre alla ricerca di criteri normativi utili alla corretta partecipazione dei disabili nelle competizioni dei normodotati, sono invece già tante anche in Italia le esperienze collaudate di c.d. “sport integrati”, cioè nuove discipline sportive, come ad esempio il “baskin3, in cui il regolamento tecnico ufficiale prevede espressamente la presenza di atleti disabili e normodotati, confermando l’ormai pacifico superamento della visione assistenziale dello sport per i portatori di handicap che sono a tutti gli effetti atleti protagonisti di una competizione che non si adegua alla disabilità ma ne sfrutta le caratteristiche.

 

In ragione di tutto quanto fin qui illustrato, dunque, si fa sempre più strada il convincimento che sia veramente giunto il momento di un ormai non più rinviabile intervento normativo finalizzato alla disciplina e al perseguimento della piena integrazione nella pratica dello sport a livello agonistico tra atleti disabili e non, in ragione di un vaglio specifico per singola disciplina nel pieno rispetto delle regole competitive sulle imprescindibili pari potenzialità dei partecipati.

Sarebbe certamente auspicabile una modifica legislativa tesa ad introdurre una specifica attestazione medica che certifichi se un diversamente abile sia idoneo o meno a competere con atleti normodotati in una determinata disciplina, stabilendo dei parametri chiari e validi per tutti che possano consentire ai diversamente abili di competere con atleti normodotati seppur con l’ausilio di strumenti e dispositivi testati e sicuri ma che non diano loro alcun vantaggio mantenendo, però, certamente invariato l’imprescindibile equilibrio competitivo tra atleti “uguali”.

Perché lo sport è comunque regola e senza regola non può esistere alcuno sport.

  1. Parigi, 1924, si svolsero i primi giochi internazionali dei sordomuti; Inghilterra, 28 luglio 1948, i primi giochi di Stoke Mandeville per adulti disabili.
  2. Rule 144.2 (e) del Regolamento Tecnico Internazionale IAAF introdotta dal Consiglio della IAAF il 26 marzo 2007, che proibisce [testualmente] “use of any tecnical device that incorporates springs, wheels or any other element that provides the user with an advantage over another athlete not using such a device”; vieta di fatto l’utilizzo di dispositivi incorporanti molle, leve o qualsiasi altro elemento che consenta all’atleta che ne faccia uso di avere un vantaggio sugli atleti che, invece, non li utilizzino.
  3. Attività sportiva che si ispira al basket.