Fuel Poverty. La povertà energetica


Kristian Fabbri | 26 Febbraio 2019

La “povertà energetica” è salita agli onori della cronaca nel mese di novembre dello scorso anno con la pubblicazione di alcuni articoli e commenti con titoli quali: “Poveri e anziani, quasi la metà non può permettersi di accendere il riscaldamento”1, “La pensione di cittadinanza per salvare gli anziani che muoiono di freddo”2 e “Quegli anziani troppo poveri per riscaldarsi3”. Gli articoli fanno riferimento all’indagine realizzata da SPI, sindacato dei pensionati delle Cgil e la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, nel Rapporto “La povertà energetica e gli anziani. Per una politica integrata di contrasto alla povertà4”, dove si riportano i risultati di un sondaggio posto a 979 soggetti nel nord, sud e centro Italia, con lo scopo di “identificare i cluster – tipologie – di famiglie differenti in relazione al problema della povertà energetica, a cui dovrebbero corrispondere differenti modalità di intervento”. I risultati distinguono i soggetti tra i “poveri energetici”, pari al 19,1% del campione, i “vulnerabili energetici (non poveri)”, pari al 15,2%, e gli “altri “ né poveri né vulnerabili.

A tal proposito è utile riflettere sul significato dell’espressione “povertà energetica” dato che può essere declinato secondo due interpretazioni: da un lato l’interpretazione, dall’espressione inglese “energy poverty5“, che esprime la difficoltà nell’accesso alle fonti energetiche, condizione comune nei paesi in via di sviluppo o nei paesi sottosviluppati, dove vi è carenza di infrastrutture energetiche e approvvigionamento dell’energia; dall’altro lato la “fuel poverty” traducibile, letteralmente. come “povertà di carburante” – ed è questa l’interpretazione oggetto dello studio – intesa come difficoltà nel pagare le bollette, che comporta la riduzione dei consumi energetici fino alla messa in mora al distacco della fornitura, e questa condizione è presente nei paesi sviluppati, in occidente, l’Unione Europea, l’europea dell’est, gli USA, il Canada e il Giappone.

 

La “fuel poverty” è un argomento rispetto al quale, da tempo, viene svolta attività di ricerca, anche da parte di istituzione nazionali quali la Banca d’Italia6, focalizzati alla descrizione del fenomeno e alle modalità per la misurazione della fuel poverty o, in altre parole, dell’incidenza della povertà energetica in Italia.

 

Partiamo dall’inizio. Il concetto di “fuel poverty” è stato introdotto nell’ultimo decennio del secolo scorso, in particolare il libro Fuel Poverty: from Cold Homes to Affordable Warmth7 di Brenda Boardman che codifica la definizione di “Fuel Poverty come la condizione nella quale una famiglia spende più del 10% del proprio reddito per le bollette energetiche”, in particolare il riscaldamento; e tale definizione è rimasta pressoché invariata fino a oggi, anche se alcune ricerche propongono criteri diversi.

 

Lo studio La Fuel Poverty investe almeno tre ambiti. Il primo è l’ambito economico legato al costo dell’energia, ai mercati energetici ovvero lo studio della correlazione tra la spesa energetica e il reddito delle famiglie. Tale approccio tende a privilegiare soluzioni che prevedono l’integrazione del reddito mediante la riduzione o esclusione del pagamento della tariffe come, ad esempio, il “bonus energia e gas (e idrico) per le famiglie a basso reddito”.

Il secondo ambito riguarda la pianificazione urbanistica, le scelte di politica urbana e il settore edile, dato che la bolletta energetica, per la maggior parte legata ai costi del riscaldamento, dipende, direttamente, dalle caratteristiche dell’edificio e degli impianti termici presenti: peggiore è la prestazione energetica, l’età dell’edificio e dell’impianto, maggiore sarà il costo energetico sostenuto dalla famiglia lì domiciliata, e maggiore sarà il “costo casa” (intesa come somma del costo affitto/mutuo + costo energia). Questo costituisce un ambito poco affrontato secondo l’ottica della fuel poverty, ovvero esistono molti studi, ricerche ed esperienze che hanno come oggetto la riqualificazione energetica di edifici, quartieri incluso esperienza nel social housing, ma questi non sono finalizzati a individuare il rischio di povertà dovuto all’edificio. A parità di reddito delle famiglie alcuni edifici più facilmente possono essere la causa nel determinare condizioni di povertà energetica. In questo ambito le politiche volte di incentivi per il settore edile, quali l’ecobonus (detrazione del 65% delle spese per la riqualificazione energetica) non consentono di agire sugli edifici e per le famiglie in condizioni di fuel poverty, dato che tali incentivi prevedono che vi sia, da parte del proprietario o affittuario dell’abitazione, la disponibilità economica e finanziaria nel realizzare gli interventi. In tale ambito il tema è (ancora) espresso in termini di “efficienza energetica” e “riqualificazione energetica” degli edifici esistenti o il raggiungimento di standard elevati quali gli “edifici a energia quasi zero”. Il nuovo European Clean Energy Package che definisce le linee della politica energetica europea incluso la ricerca, include “items” relativi alla energy and fuel poverty.

Il terzo ambito riguarda le persone o meglio, gli effetti sulla salute delle persone e il contesto sociale nel quale vivono. Le famiglie e i soggetti che vivono nelle condizioni di fuel poverty, risparmiando sui costi energetici e quindi non utilizzando l’impianto di riscaldamento d’inverno né sistemi di climatizzazione d’estate, subiscono, sul proprio corpo, i danni dati dal vivere in ambienti insalubri. Danni che possono andare dalla maggiore esposizione a malattie invernali, influenza, bronchiti, fino a condizioni più gravi e, in particolare per i bambini al di sotto dei tre anni, a danni cognitivi. Tali condizioni si manifestano anche in estate, in particolare negli ultimi anni, dove, a causa delle ondate di calore, i periodi con notti estive “calde” (temperatura superiore ai 28°C) sono aumentate portando con s’è le relative conseguenze sul ciclo sonno/veglia e l’aumento dei problemi cardiocircolatori, in particolare per le persone anziane.

 

L’ultimo aspetto che voglio affrontare, da non studioso delle scienze sociali, riguarda gli effetti e le dinamiche sociali che comportano la condizione di fuel poverty e la sua diffusione. In particolare a quelle condizioni che non consentono di riconoscere le condizioni di fuel poverty. In che senso manca di riconoscimento? Nel senso che quando, a mio avviso, le persone vivono in un contesto sociale dove, più o meno, tutti sono abituati a utilizzare l’impianto di riscaldamento solo la sera, benché si rimanga per la maggior parte del giorno in casa, oppure si è abituati a sopportare di rimanere per alcune ore del giorno, o per alcuni giorni, temperature degli ambienti interni inferiori ai 14°C-16°C quale condizione ritenuta “normale” nel contesto sociale nel quale si vive, anche utilizzando sistemi alternativi di riscaldamento come le coperte, la bolla dell’acqua calda, i maglioni, le stufette elettriche, a gas o a legna, per riscaldare i singoli locali, perché non si hanno i soldi; quando queste abitudini sono percepite come condizione comune, il soggetto non è cosciente della proprio condizione di “povertà energetica”. A questo si aggiungono i casi di esclusione dal contesto sociale dato dalla “vergogna” nel dichiarare che non si hanno i soldi per riscaldare casa, di avere questa difficoltà. Si preferisce risparmiare sul riscaldamento, sopportare sul proprio corpo, la condizione del “non avere i soldi per pagare le bollette“.

 

Se, come sosteneva Georg Simmel8, tra i primi a studiare il rapporto tra città e società, la povertà è una condizione che dipende dal contesto sociale ed economico, la condizione di povertà si manifesta non quando vi è una condizione di privazione, ma quando si riceve assistenza in quanto povero. La povertà può essere distinta in povertà assoluta, quando non è possibile soddisfare i bisogni alimentari quali cibo, vestiario e riparo, e povertà relativa, quando è riferita a una minore dotazione dei livelli standard delle “basic commodity”. Espresso in maniera ancora più esplicita mentre chi è talmente povero da non avere i soldi per il cibo, acquisisce o accetta la propria condizione di povertà e quindi si avvale o viene riconosciuto dai vari servizi sociali che operano sul territorio; mentre chi, invece, è in grado di assicurare cibo e vestiario, ma non il riscaldamento, si trova nella condizione di non percepirsi in difficoltà come “povero energetico“.

Dare un nome ai problemi consente di affrontarli e misurarli. Il problema della “fuel poverty” o “povertà energetica” in Italia, sta muovendo i primi passi nella sua definizione quale ambito di ricerca e di azione, anche politica, specifica. Necessità di una cabina di regia che coinvolga più soggetti, in una ottica interdisciplinare, cosicché gli studi si tramuti in decisioni e azioni politiche (e non limitate al solo aspetto economico quale il bonus energia). In qualità di tecnico, architetto, che opera nel settore della efficienza energetica degli edifici noto che, dopo le politiche volte alla riqualificazione energetica, la fuel poverty incomincia a essere oggetto di attenzione.

 

Il presente contributo vuole portare il tema all’attenzione degli operatori e degli studiosi delle scienze sociali i quali, a mio avviso, possono portare il proprio contributo nel definire il problema anche sotto il profilo delle politiche urbane.

  1. “Poveri e anziani, quasi la metà non può permettersi di accendere il riscaldamento” (Linkiesta, 27.11.2018)
  2. “La pensione di cittadinanza per salvare gli anziani che muoiono di freddo” (il Blog delle stelle, 29.11.2018, postato da Luigi di Maio) che fa riferimento allo stesso studio SPI e Fondazione Giuseppe Di Vittorio. Nell’articolo si riportano i dati SPI la distribuzione territoriale e si fa riferimento al bonus sociale per l’energia elettrica il gas, attivo dal 2008 ma che consente di raggiungere solo il 30% della platea dei destinatari. Non vengono riportate soluzioni o proposte in merito.
  3. “Quegli anziani troppo poveri per riscaldarsi” 26.11.2018, Rivista Rassegna.
  4. Link al rapporto completo.
  5. ICCG (Initiative on Climate Change policy and Governance.) riporta la seguente definizione: Povertà energetica. “Definita come la mancanza di accesso a forma adeguate e affidabili di energia a prezzi sostenibili per sodisfare i bisogni primari degli individui, come mangiare, riscaldare gli ambienti, curare e spostarsi”.
  6. Si vedano in particolare: I.Faiella, L.Lavecchia e Marco Borgarello “Una nuova misura della povertà energetica delle famiglie” Questioni e Finanza n. 404, Ottobre 2017; I.Faiella, L.Lavecchia e “La povertà energetica in Italia”, Questioni e Finanza n. 240, Ottobre 2014
  7. Si rimanda ai testi B. Boardman, Fuel Poverty: from Cold Homes to Affordable Warmth, Belhave, London, 1991 e B.Boardman, Fixing Fuel Poverty. Challenges and Solutions, Earthscan, London, 2010
  8. Georg Simmel, “Der Arme”, in Soziologie Untersuchungen uber die Formen der Vergesellschaftung, Berlin, Dunker & Humbolt, 1908: in italiano G. Simmel, Il Povero, a cura di E.Rossi, Mimesis, 2015

Commenti

Grazie Kristian per l’articolo interessante. In situazioni emergenziali come quelle che stiamo vivendo è sempre utile informarsi ed avere cognizione delle opportunità, dei costi, delle spese e degli incentivi che ci sono a disposizione per ridurre anche quel divario e colmare il gap di povertà esistente.
Personamente, in tal senso, mi sto informando molto ad esempio sul costo dell’energia, più volte qui citato. Penso che questo articolo sia utile per le persone che come me stanno cercando di collezionare quante più informazioni e riflessioni sull’argomento.