Ci sono interventi, addirittura politiche, che sembrano dettati più dalle preoccupazioni o dall’ideologia di chi li promuove che dai problemi collettivi che vorrebbero trattare. Rendendo gli sforzi poco efficaci, fuori asse, marginali. Due esempi, a livello nazionale e regionale.

Primo, la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Ancora ampiamente da tradurre in pratica (si veda qui), essa ha dato vita alla sperimentazione dell’assegno di assistenza, c.d. prestazione universale. In attesa di dati ufficiali, a sentire i patronati, che hanno un ruolo chiave nell’accesso a questa misura, va profilandosi un andamento piuttosto netto, verso il flop. Le risorse stanziate, pari a 250 milioni di euro per ciascuna delle due annualità previste, aprono a una capienza di 24.500 anziani. Ma dagli elementi che emergono risulta difficile arrivare a metà di questa cifra.

I motivi di una bassa adesione, o take-up rate, sono diversi. Intanto i criteri molto selettivi di ingresso: l’età (ultraottantenni), le condizioni economiche (Isee sociosanitario sotto i 6.000 euro), le condizioni di salute (un bisogno assistenziale “gravissimo”), nonché il fatto non scontato di risiedere al proprio domicilio. Inoltre, l’incompatibilità della misura con assegni di cura e trasferimenti economici delle Regioni. Tutto questo, insieme a vari adempimenti richiesti, ha scoraggiato le istanze: meglio il certo di oggi che l’incerto, e a termine, di domani. Il decreto attuativo dello scorso 19 dicembre, poi, anziché allargare le maglie ha fatto l’opposto, restringendole ancora di più e rendendo l’accesso a questa misura qualcosa di veramente complicato, come illustrato da Franco Pesaresi qui.

Vedremo se quanto prefigurato sarà confermato dall’Inps. Intanto c’è da chiedersi quali siano state le ragioni di questa selettività. Verosimilmente ha giocato il timore di creare una platea più ampia rispetto alle disponibilità finanziarie. Colpisce la debole capacità previsionale, nonostante la mole di dati a disposizione, unita alla sottovalutazione dell’effetto disincentivante delle restrizioni stabilite. Così la sperimentazione rischia di giungere a un esito, come dire, impalpabile.

Secondo caso, i sostegni economici di Regione Lombardia destinati a gruppi di popolazione fragile. Si tratta di buoni mensili o, più frequentemente, di voucher sociali e sociosanitari, con obiettivi di sostegno, supporto domiciliare, inclusione, autonomia. Si va dai voucher nell’area delle povertà, al voucher adolescenti, a quelli per le persone con disabilità grave e gravissima e i non autosufficienti. Per le due misure più diffuse (B1 e B2) l’investimento nel 2024 è stato di oltre 160 milioni di euro, con una platea di quasi 29.000 persone.

Il punto qui riguarda l’utilizzo di questi trasferimenti, proposti come voucher da spendere sul mercato degli enti accreditati. L’idea è quella di tutelare la libertà scelta del cittadino e di premiare in tal modo chi viene scelto di più, meccanismo che dovrebbe innalzare la qualità dei servizi. Un’idea, un approccio che Regione Lombardia persegue da più di vent’anni, e su cui lavori di ricerca e di valutazione (grazie anche a Lombardiasociale.it) hanno portato molte evidenze.

Un sistema di voucher produce effetti benefici a certe condizioni. Una di queste, cruciale, è che l’offerta superi la domanda, che ci sia cioè una quantità e varietà di servizi disponibili tale da permettere una scelta reale1. Ma questo, se mai lo è stato in passato, non è (più) il caso del welfare sociale. L’offerta, infatti, è in affanno rispetto alla domanda di servizi, in particolare nell’area della non autosufficienza, dove la massa di bisogni è in crescita costante. È in affanno da tempo, ultimamente ancora di più per la denatalità delle cooperative sociali2, ma soprattutto per la carenza di personale. Ausiliari, operatori sociosanitari (Oss), infermieri, assistenti sociali, educatori: sono tutte figure di cui si registra la scarsità, che si fatica a trovare. Questo rende i voucher applicati al welfare frutto di una narrazione superata, perché la possibilità di scelta è più teorica che reale. Peraltro gli enti accreditati, nell’ambito del terzo settore, sono tendenzialmente riluttanti a competere, preferendo trovare accordi per dividersi quote/aree di mercato3.

Altro che effetto benefico, i voucher sociali finiscono persino per essere controproducenti, generando esiti deleteri sulla stessa qualità del lavoro: perché gli enti accreditati, senza la sicurezza di una convenzione o di un appalto, non assumono più operatori, i quali vivono di contratti precari. Il che degrada il loro lavoro, rendendolo sempre meno attraente4.

Che cosa ci dicono questi due casi? Ci parlano di misure che seguono più i criteri di chi le ha concepite che i bisogni a cui si rivolgono, di politiche autoreferenziali, poco inclini ad ascoltare e a capire, prima di deliberare. Oltre a quelli richiamati, gli esempi abbondano. Si pensi alle politiche migratorie e all’assenza di una gestione pragmatica dell’accoglienza, orientata alla formazione e al lavoro (cfr. Maurizio Ambrosini qui); si pensi agli ostacoli, ancora diffusi, nell’accesso ai servizi di welfare (cfr. Maurizio Motta qui); e potremmo continuare con le nuove Case della Comunità, debolmente connesse con il loro intorno sociale, con cui dovrebbero invece intrattenere relazioni profonde. Per non parlare della sanità pubblica, e quella di prossimità in particolare.

Abbiamo bisogno di far cresce antidoti forti contro politiche ripiegate su sé stesse. E possiamo farlo cercando, sempre, di rendere esplicita la vera posta in gioco nei processi di decisione. La quale va ricostruita, interpretata, collocata nella sua prospettiva. Una posta in gioco taciuta, occultata, rimossa, è la via maestra verso l’inerzia indolente della conservazione.

  1. L. Beltrametti, Vouchers. Presupposti, usi e abusi, Bologna, Il Mulino, 2004.
  2. G. Marocchi, La cooperazione sociale italiana, tra dati e narrazioni, Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 1-2, 2025.
  3. S. Pasquinelli (a cura di), Buoni e voucher sociali in Lombardia, Milano, Franco Angeli, 2006.
  4. Sulla crisi delle professioni d’aiuto si veda lo speciale di Autonomie Locali e Servizi Sociali, n. 1, 2025, e quello di Impresa Sociale, n. 2, 2024. Welforum vi ha dedicato il webinar “Le professioni d’aiuto in crisi: vie d’uscita?”, 25 giugno 2024.