Covid e disuguaglianze nel mercato del lavoro


Manuela Samek Lodovici | 9 Febbraio 2021

Aggravamento delle diseguaglianze esistenti

La pandemia si è abbattuta su un mercato del lavoro già caratterizzato da forti diseguaglianze, allargando il dualismo tra lavoratori più e meno garantiti.

I dati più recenti dell’Istat, seppur provvisori1, mostrano che, nonostante le misure di sostegno all’occupazione e la ripresa dell’estate, a ottobre 2020 gli occupati erano 473.000 in meno (-2%) rispetto allo stesso mese del 2019.  Il blocco dei licenziamenti economici e la cassa integrazione hanno finora contenuto la perdita immediata di occupazione e di reddito per i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato.

Per ora la perdita del lavoro ha riguardato soprattutto i lavoratori a termine (-381mila sull’ottobre 2019, con un calo del 12,6%) e gli autonomi (-154mila, -2,9%), senza contare i lavoratori occupati in nero nei settori più colpiti dalle misure di lockdown e di distanziamento, in larga misura immigrati e lavoratori con bassi livelli di qualifica e istruzione. Nella primavera del 2021 quando le misure emergenziali saranno sospese si prevede un ulteriore crollo dell’occupazione.

Sono diminuite anche le ore lavorate da chi ha continuato a lavorare, mentre sono aumentate le ore utilizzate nelle varie forme di Cassa Integrazione Guadagni e Fondo di Solidarietà che, nei primi otto mesi del 2020, hanno superato i 1,2 miliardi, un livello mai raggiunto da 40 anni a questa parte2. L’ Inps nel suo Rapporto Annuale3 riporta che i beneficiari delle varie forme di Cassa Integrazione hanno raggiunto i 6,5 milioni al 19 ottobre 2020. La Cassa Integrazione ha consentito la tenuta dell’occupazione, ma ha comportato una riduzione media del reddito mensile per ciascun lavoratore coinvolto tra i 461 e i 694 euro mensili.

Solo chi lavora nei settori e nelle occupazioni considerate “essenziali” e chi ha potuto lavorare da casa non ha perso il lavoro e il reddito. I lavoratori “essenziali” hanno comunque fronteggiato carichi di lavoro straordinari con elevati rischi per la salute e poche tutele, soprattutto nel caso dei lavoratori precari dell’assistenza socio-sanitaria.  Lo smart working è aumentato esponenzialmente, ma riguarda solo alcune occupazioni impiegatizie e intellettuali e richiede buone competenze digitali e di gestione del lavoro, oltre che condizioni e spazi di lavoro adeguati nelle abitazioni. Stime OCSE4 mostrano che in Italia la probabilità di lavorare da casa in smart working raggiunge il 50% tra  i lavoratori altamente qualificati, ma solo il 32% tra quelli a bassa qualifica.

 

Diversamente dagli altri paesi europei, in Italia il calo occupazionale non ha finora comportato un significativo aumento della disoccupazione (cresciuta ad ottobre 2020 “solo” di 43 mila unità rispetto all’ottobre del 2019) e le domande per le indennità di disoccupazione (NASpI e DisColl) sono cresciute “solo” del 4% sul 2019, soprattutto per l’aumento delle domande di chi aveva contratti di collaborazione.  Ci si aspetta però una impennata della disoccupazione da aprile 2021, quando il blocco dei licenziamenti e la Cassa Integrazione Covid, che hanno finora protetto i lavoratori a tempo indeterminato, finiranno.

Stanno invece già aumentando gli inattivi (+ 247 mila tra ottobre 2020 e ottobre 2019), soprattutto giovani e donne che rinunciano a cercare un lavoro perché scoraggiati. La crescita degli inattivi piuttosto che dei disoccupati ha caratterizzato il nostro paese anche nelle crisi passate e comporta gravi rischi sociali, dato che quanto più si rimane fuori dal mercato del lavoro e non si cerca lavoro attivamente, quanto più è difficile rientrare.

 

Giovani e donne più colpiti e meno protetti

La crisi sanitaria ha colpito soprattutto i lavoratori occupati nei servizi privati considerati “non essenziali” (turismo, cultura, pubblici esercizi, commercio al dettaglio, servizi alle persone in particolare) molto penalizzati dalle misure di lockdown e di distanziamento sociale. Il Censis5 stima un universo di circa 5 milioni di persone che ruotano intorno ai servizi privati, a cui si aggiungono i commercianti, gli artigiani, i liberi professionisti, le partite IVA, e i collaboratori schiacciati dalle chiusure, dei quali, sempre secondo il Censis,  solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari pre-Covid-19.

Si tratta di settori caratterizzati da una elevata concentrazione di giovani e donne, prevalentemente occupati in piccole e piccolissime imprese, spesso familiari, con contratti non standard (temporanei, a tempo parziale, partite IVA, collaborazioni, lavoro occasionale, lavoro irregolare), con retribuzioni inferiori alla media e meno protetti dalla contrattazione collettiva e dal sistema di protezione sociale rispetto agli occupati a tempo indeterminato nel settore manifatturiero e nella PA.

 

Un’indicazione dei drammatici effetti della crisi sulla popolazione già in condizione di marginalità sociale e povertà, viene dal Rapporto Censis citato, che riporta come la metà degli italiani (50,8%) abbia dichiarato di avere sperimentato un’improvvisa caduta delle proprie disponibilità economiche, con punte del 60% tra i giovani, del 69,4% tra gli occupati a tempo determinato, del 78,7% tra gli imprenditori e i liberi professionisti. C’è poi un 17% in condizioni di fragilità estrema, che dichiara di avere risorse finanziarie per meno di un mese, con livelli più alti tra i disoccupati (26%), i meno istruiti (21%) e i residenti nel Mezzogiorno (18%).

Quasi la metà del calo occupazionale registrato tra ottobre 2020 e ottobre 2019 ha riguardato giovani tra i 15 e i 35 anni (- 229 mila unità, -4,4%), aggravando l’esclusione dei giovani dal mercato del lavoro nel nostro paese. Il numero di giovani che non lavorano, non studiano e non sono in formazione (i cosiddetti NEET) ha superato i 2 milioni nel secondo trimestre del 2020, equivalenti quasi un quarto (il 23,8%) della popolazione giovanile (15-29 anni), il livello più alto nell’Unione Europea (dove la media è del 16,4%). Le prospettive occupazionali sono scarse anche per i giovani laureati, che non a caso negli ultimi anni hanno cercato lavoro all’estero6.

L’esclusione dei giovani dal lavoro, soprattutto da lavori dignitosi, con buone prospettive di stabilità e di reddito, si riflette nella scarsa mobilità intergenerazionale che da tempo caratterizza il nostro paese, e che si è ulteriormente aggravata con la pandemia. Il 50,3% dei giovani vive in una condizione socio-economica peggiore di quella vissuta dai genitori alla loro età, e tra i lavoratori autonomi nel 40% dei casi i figli sono passati in una classe occupazionale inferiore (Censis, 2020).

La chiusura delle scuole durante i lockdown e le difficoltà della didattica a distanza rischiano inoltre di compromettere ulteriormente le prospettive occupazionali delle nuove generazioni. Dopo anni di calo, si prevede infatti un nuovo aumento dell’abbandono scolastico e una riduzione delle competenze di base degli studenti. I più a rischio sono gli studenti di origine straniera (soprattutto le prime generazioni con difficoltà linguistiche e culturali), i giovani con disabilità o con disturbi dell’apprendimento, e i giovani che provengono da famiglie disagiate. Questi giovani rischiano di pagare le conseguenze della pandemia nel corso di tutta la loro vita, con ripercussioni anche sui loro figli.

 

Anche le donne hanno subito una forte perdita occupazionale, pari a -198mila occupate (-2%) a ottobre 2020 rispetto allo stesso mese del 2019, per la concentrazione femminile nei servizi privati e nel lavoro domestico. L’esclusione femminile dal lavoro, nonostante il loro maggiore livello medio di istruzione rispetto agli uomini, si riflette in un tasso di occupazione che, già il più basso in Europa dopo la Grecia, nell’ottobre del 2020 scende ulteriormente al 49,1% rispetto al 67% maschile. La scarsa occupazione femminile si riflette in un elevato rischio di povertà, soprattutto nel caso delle donne anziane sole e delle madri sole.

Le donne sono state penalizzate anche nel lavoro di cura non pagato, per la chiusura delle scuole e dei servizi durante l’emergenza Covid, che ha portato molte di esse ad abbandonare il mercato del lavoro. Il tasso di inattività femminile raggiunge nell’ottobre 2020 il 45% (contro il 26% maschile), ed è motivato soprattutto da scoraggiamento e motivi familiari.

L’elevata presenza femminile (in larga parte immigrata) nel settore sociosanitario ha, d’altro canto, comportato una grande esposizione al rischio di infezione e difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia particolarmente pressanti durante i lockdown e la chiusura dei servizi di cura e delle scuole. D’altro canto l’emergenza sanitaria ha sottolineato l’importanza dei servizi sociosanitari ed educativi per la crescita e la qualità della vita di un paese, servizi dove le donne rappresentano i due terzi degli occupati, ma sono ancora prevalentemente relegate nelle posizioni più precarie e meno pagate.

L’incapacità del nostro paese di valorizzare le risorse più giovani e più istruite della popolazione è una delle determinanti della bassa crescita, e aumenta il rischio di trovarsi in futuro con una quota significativa di popolazione in condizione di povertà ed esclusione.

 

Misure emergenziali e categoriali hanno aggravato le diseguaglianze

I diversi decreti governativi che si sono susseguiti da marzo 2020 (Cura Italia, Rilancio, Agosto, Ristori) hanno consentito di contenere la perdita di occupazione e di reddito che si sarebbe altrimenti registrata7. Tuttavia è stato adottato il solito approccio categoriale che caratterizza da sempre il nostro paese, con una miriade di misure frammentate e differenziate negli importi, nella durata, nelle condizioni di accesso e nei controlli, che hanno reso ancora più complesso il sistema di sostegno dell’occupazione e del reddito e ulteriormente aggravato le disparità di trattamento riservate alle diverse categorie di lavoratori.

 

Nel complesso, Inps8 registra ad ottobre 2020 un totale di poco più di 14 milioni di beneficiari delle misure Covid, pari a quasi un quarto della popolazione italiana, e una spesa stimata di 26, 19 miliardi di euro.  Anche se alcuni interventi di sostegno del reddito sono stati estesi a categorie prima escluse, come i lavoratori autonomi, i lavoratori domestici (soprattutto donne immigrate), i lavoratori stagionali dei settori più colpiti e i nuclei familiari in difficoltà economica per l’emergenza Covid-19, si tratta tuttavia di misure temporanee e di importo molto ridotto. Sono comunque rimasti esclusi dalle misure emergenziali di sostegno tutti coloro che non erano occupati il 24 febbraio 2020, gli stagionali e i lavoratori in somministrazione dei settori non turistici, i collaboratori occasionali e i lavoratori domestici che non raggiungevano i requisiti di orario e reddito necessari per aver accesso ai bonus, e i collaboratori con contratti sospesi ma ancora aperti, tutti i lavoratori privi di qualsiasi forma di protezione sociale (occupati nell’economia sommersa, tirocinanti, ecc.).

 

Le misure adottate hanno soprattutto protetto il lavoro alle dipendenze a tempo indeterminato con il blocco dei licenziamenti e l’utilizzo massiccio ed esteso della Cassa Integrazione nelle sue varie forme. L’Italia è l’unico paese in Europa che ha bloccato i licenziamenti per ragioni economiche fino a marzo 2021.  Si tratta di una misura probabilmente ridondante, viste la massiccia estensione della Cassa Integrazione, e che ha diverse controindicazioni. In primo luogo allarga ulteriormente le differenze di protezione tra i lavoratori a tempo indeterminato e gli altri.  In secondo luogo il blocco dei licenziamenti congela la struttura produttiva e occupazionale, riducendo gli incentivi a nuove assunzioni anche nel caso di imprese in espansione, e scarica l’aggiustamento occupazionale sui lavoratori meno garantiti.

I più recenti dati INPS sulle assunzioni e le cessazioni dei rapporti di lavoro9 ci dicono infatti che nel periodo gennaio-agosto 2020 le assunzioni sono crollate del 35%, soprattutto per i contratti a termine, e sono diminuite le trasformazioni da tempo determinato a indeterminato (-32% ). Il saldo tra assunzioni e cessazioni nel periodo è stato particolarmente negativo per i contratti a termine, i rapporti di somministrazione, il lavoro intermittente e le prestazioni occasionali.

 

La pandemia ha drammaticamente aggravato i problemi strutturali del mercato del lavoro italiano in un contesto che vede incombere alcune grandi sfide da affrontare fin da ora, uscendo dalla logica emergenziale per investire con interventi strutturali di sostegno all’investimento in capitale umano e all’ occupazione nei settori con maggiori prospettive di sviluppo (ambiente, salute, digitale, istruzione e formazione, sociale), riformando in senso universale il sistema di protezione sociale. Il nostro paese si trova di fronte a queste sfide in una posizione di debolezza strutturale, che rischia di aggravarsi nel 2021 con la fine delle misure emergenziali e del blocco dei licenziamenti.  Se non spreca le opportunità offerte dal sostegno europeo può uscire dalla crisi su un percorso di crescita più robusto e inclusivo di quello seguito negli ultimi decenni.

 

Una versione più lunga e approfondita di questo contributo è ora disponibile sul numero 2, Primavera 2021 di Prospettive Sociali e Sanitarie

  1. Istat (2020), Occupati e disoccupati- ottobre 2020, dati provvisori, Statistiche Flash, 2 dicembre 2020.
  2. Inps, Report Mensile novembre 2020. Cassa Integrazioni Guadagni e Disoccupazione. Vedi a questa pagina e a questa pagina
  3. INPS tra Emergenza e Rilancio, XIX Rapporto Annuale, Ottobre 2020.
  4. OECD (2020), Employment Outlook, Paris
  5. Censis (2020), La società italiana.
  6. Secondo i dati Istat tra il 2009 e il 2018 hanno lasciato il nostro Paese 182 mila laureati, 29 mila solo nel 2018, con un aumento del 6% che sale addirittura al 45% se si considerano gli ultimi 5 anni. Istat, Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente. Anno 2018.
  7. Secondo stime dell’Inps, le misure introdotte hanno ridotto del 55% la perdita di reddito che si sarebbe registrata in assenza di intervento ed evitato la caduta in pivertà di circa 302 mila persone. INPS tra Emergenza e Rilancio, XIX Rapporto Annuale, Ottobre 2020.
  8. INPS nel Rapporto citato, riporta circa 6,5 milioni di beneficiari di CIG, 4 milioni beneficiari di Bonus Covid, 3,1milioni di beneficiari di RdC e PdC, 600 mila nuclei famigliari beneficiari di REM, e circa 1,1 milioni domande per Congedi Covid, bonus lavoratori domestici,  bonus baby sitter, bonus 600 euro per i lavoratori autonomi in alcuni settori. INPS tra Emergenza e Rilancio, XIX Rapporto Annuale, Ottobre 2020.
  9. INPS, Osservatorio sul Precariato- Dati sui nuovi rapporti di lavoro. Report mensile gennaio – agosto 2020