Reddito di cittadinanza e oltre


Emanuele Ranci Ortigosa | 15 Novembre 2019

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Quando parliamo di povertà tendiamo istintivamente a vederla in termini di carenza di reddito e talora di beni patrimoniali, come povertà economica quindi. Spesso però a tale componente, certamente fondamentale, se ne associano altre, relative ad altri fattori di povertà, già di per sé rilevanti, che tendono a interagire e a cumularsi con la povertà economica, e anche fra loro, configurando situazioni composite, complesse, multifattoriali. Oltre che di povertà economica è quindi opportuno considerare nelle situazioni concrete altri fattori di povertà: fattori personali (dovuti a età, salute, carenza di conoscenze, competenze, cultura, o ad altri limiti individuali); familiari (criticità coniugali, monogenitorialità, oneri assistenziali di bambini, disabili o anziani, ad esempio); carenze relazionali e marginalità sociale; impossibilità di lavorare, lavoro povero, disoccupazione; disagio abitativo. E si potrebbe continuare.

 

Contro la povertà intesa e trattata prioritariamente come povertà economica, i sistemi di welfare attivano misure di integrazione di redditi insufficienti, individuati assumendo come selettore un indicatore della situazione economica, significativo anche perché, come abbiamo detto, la povertà economica spesso origina, è frutto o comunque si accompagna ad altre povertà, ma non esaustivo rispetto alle varie forme e ai diversi fattori di povertà che abbiamo richiamato.

Gli interventi di integrazione del reddito assumono generalmente come criterio base l’universalismo selettivo: beneficiano tutti quelli che sono in condizione di povertà economica, in rapporto all’entità del loro bisogno. Sono volti a integrare redditi famigliari insufficienti con erogazioni monetarie, bene fungibile funzionale a utilizzi considerati prioritari dai beneficiari. Sono normalmente sottoposti a condizionalità.1

Le attuali politiche di contrasto alla povertà non contemplano solo erogazioni monetarie, ma anche altri interventi a queste complementari, volte a superare una logica solo assistenzialistica e assumere anche una prospettiva promozionale, di valorizzazione e sostegno delle risorse delle persone e delle famiglie, e di loro attivazione per un inserimento sociale e, ovunque sia possibile, nel mercato del lavoro. Prospettive che possono essere perseguite efficacemente solo con lo sviluppo di reti qualificate e integrate di servizi sui territori.

I vari caratteri e le varie componenti che la povertà presenta sono oggetto anche di specifiche politiche generali di intervento. Baldini, Busilacchi e Gallo (2018) hanno svolto un’interessante analisi a livello europeo sull’insieme delle politiche impegnate a combattere la povertà nelle sue diverse configurazioni, ponendone a confronto l’efficacia nell’abbattere la povertà economica. Evidenziano così che misure che intervengono con sostegni su alcuni dei fattori specifici di povertà (famiglia, casa, lavoro) abbattono la povertà economica più efficacemente delle misure generali volte specificamente a contrastare la povertà.

 

Tabella 1: Riduzione in punti percentuali degli indici di incidenza e di intensità della povertà per categoria di trasferimento sociale (2016)

Paese Famiglia Povertà o esclusione sociale Housing Disoccu­pazione Totale
Regno Unito 3,9 2,0 5,2 0,5 9,2
Paesi Bassi 1,5 3,0 4,4 2,5 8,9
Francia 2,0 0,9 2,3 3,3 7,6
Svezia 1,9 0,6 3,7 1,9 7,4
Totale 2,0 0,8 1,8 2,0 5,6
Germania 2,5 0,4 1,2 2,1 4,7
Spagna 0,1 0,7 0,1 3,1 3,9
Italia 1,1 0,1 0,1 2,1 3,3
Portogallo 0,5 0,3 0,0 2,1 3,0
Grecia 1,1 0,6 0,0 0,6 2,2
Polonia 1,4 0,2 0,2 0,5 2,2

Fonte: Baldini, Busilacchi, Gallo, 2018

 

La tabella 1 evidenzia comparativamente la generalizzata debole efficacia delle misure specifiche contro la povertà e l’emarginazione sociale, e il peso invece di altre politiche mirate su componenti specifiche della povertà2. Per contrastare efficacemente la povertà si propone quindi un problema di coordinamento tra le politiche esplicitamente mirate a contrastare la povertà e le politiche generali su famiglia, casa e lavoro, per fermarsi alle voci principali.

Baldini, Busilacchi e Gallo, gli autori delle analisi citate, sintetizzando le varie tendenze in atto nei paesi europei da loro analizzati, osservano che in alcuni paesi si tende a incorporarle in tutto o in parte in una politica/misura di contrasto alla povertà articolata al suo interno, mentre in altri si tende piuttosto a connetterle in un sistema integrato di più politiche. In particolare in alcuni dei paesi europei più importanti, come Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna, essi notano “una tendenza a passare da singole misure di universalismo selettivo a sistemi integrati e armonizzati di sostegno al reddito dei meno abbienti in cui la misura di Rm, indirizzandosi prevalentemente a persone abili al lavoro, diventi a tutti gli effetti una sorta di indennità di disoccupazione assistenziale fortemente condizionata che, combinata ad altri minimi categoriali per anziani e disabili, e soprattutto all’integrazione armonizzata con altre politiche di natura differente (housing, sanitarie, ecc.), consente di sostenere le necessità quotidiane dei più poveri. Sembra configurarsi in tal senso una sorta di sistema integrato di reddito minimo piuttosto che una politica di reddito minimo in senso stretto, con una efficacia complessiva superiore rispetto ad alcuni anni fa” grazie ad “aiuti e sostegno alle necessità vitali (ad esempio sostegno per la casa e per il riscaldamento o per i beni di prima necessità”.

 

Dall’Europa all’Italia, il coordinamento delle politiche contro la povertà

E veniamo all’Italia. Durante gli anni della crisi economica i poveri in Italia sono quasi triplicati, quelli assoluti salgono a più di 5,5 milioni, quelli relativi a quasi il doppio. Esiti analoghi si verificano in quei paesi europei privi di politiche sociali e di sistemi assistenziali mirati a sostenere le situazioni di maggior bisogno. Anche perché il nostro sistema assistenziale non era assolutamente strutturato per assumere e affrontare adeguatamente tale finalizzazione, in quanto esito di un’aggregazione nel tempo di provvedimenti incoerenti, frammentato, assai poco equo e redistributivo.

Nelle analisi comparative dello studio citato, anche Baldini, Busilacchi e Gallo sottolineano che nel 2016 l’Italia era l’unico paese in cui la spesa pro capite per trasferimenti per tutte le famiglie, per il complesso della popolazione quindi, era inferiore a quella per le famiglie povere, che sono evidentemente più bisognose di supporto economico. Si confermava così lo scarso effetto redistributivo della nostra spesa assistenziale, già ben evidenziata dalla nostra ricerca Ars, Irs, Capp del 2016 (Ranci Ortigosa, Mesini, 2016), che aveva stimato che i trasferimenti assistenziali andavano per un terzo a famiglie collocate nella metà superiore dei decili Isee, quindi almeno benestanti e talora ricche. Questo mentre il 44% delle famiglie in povertà assoluta non riceveva alcun sostegno, così come il 24% di quelle in povertà relativa, come il 28% delle famiglie del decile a più basso livello di Isee. Famiglie queste ultime che potevano contare su un reddito medio disponibile equivalente annuo di soli 7.014 euro, poco più di 500 euro al mese.

Anche la Corte dei Conti, nel suo Rapporto sulla finanza pubblica del 2018, in merito alla spesa assistenziale osserva: “I passi avanti compiuti non debbono far dimenticare che la strada da percorrere resta lunga e che molti sono i problemi aperti, fra tutti quello del residuo grado di categorialità e frammentazione degli strumenti di intervento…. Secondo dati Inps, su una spesa complessiva riguardante cinque schemi di contrasto della povertà, tra cui assegni sociali e integrazioni al minimo, quasi cinque miliardi di essi andrebbero a soggetti appartenenti al 30% delle famiglie con Isee più elevato…”

Come già il Rei, a seguito di un percorso parlamentare che tolse le aperture in tal senso che il progetto governativo originale conteneva, anche il RdC ancora una volta introduce una nuova misura senza rivedere e riordinare coerentemente neppure le altre misure previste dal sistema assistenziale ad integrazione di redditi ritenuti insufficienti, più di 18 miliardi, a cominciare da pensioni e assegni sociali, per continuare con decine e decine di erogazioni e sgravi fiscali, alcuni individuati, altri che si cerca di scovare.

Quindi in Italia un primo serio problema di coordinamento e integrazione – è questo il tema specifico di questo scritto – che tutti i governi e le relative maggioranze si sono rifiutati finora di affrontare, riguarda la riforma dei trasferimenti monetari su criteri di coerenza, di equità distributiva e di efficacia rispetto ai bisogni trattati.

 

Le componenti del Rdc e le politiche di settore

Per collocare le politiche e le misure contro la povertà del nostro Paese rispetto agli indirizzi delle politiche di paesi europei individuati da Baldini, Busilacchi e Gallo ci soccorre un recente articolo di Caiolfa (2019) pubblicato su Welforum.it che riprendo per quanto qui ci interessa: ”Dopo molti mesi di elaborazioni e confronti, in cui la discussione politica è stata molto più esposta della conoscenza tecnica e amministrativa, il RdC ha assunto una conformazione ben definita ed è ora possibile far emergere l’assetto di base del RdC […] Attualmente il RdC è sostanzialmente un dispositivo plurischema composto da cinque misure specifiche:

  1. una misura di integrazione al reddito che ingloba l’analoga misura Rei;
  2. una misura economica per il sostegno all’abitazione;
  3. una misura di politica attiva per il lavoro composta a sua volta da più azioni (il Patto per il lavoro);
  4. una misura di politica attiva per l’inclusione composta dalle azioni di sistema già avviate nel Rei (il Patto per l’inclusione);
  5. una misura previdenziale”, la pensione di cittadinanza.

 

Parrebbe quindi che il Rdc vada a collocarsi fra le politiche che tendono a incorporare nella misura specifica di contrasto alla povertà anche interventi che contenutisticamente concernono il lavoro, la casa, la famiglia, e anche altre politiche settoriali.

Anche Caiolfa ritiene che “un dispositivo così complesso e innovativo per il nostro Paese non possa essere compreso e criticato se le sue singole componenti, le cinque misure specifiche, non vengono messe in relazione con le rispettive politiche di settore perseguite (o non perseguite) dal complesso degli enti pubblici di riferimento. Un lavoro molto impegnativo ma da affrontare se si vuole comprendere a fondo il modo con cui le dinamiche provocate dall’attuazione del RdC possono risultare più o meno efficaci rispetto alle politiche pubbliche dei singoli ambiti interessati e viceversa”.

Tanto più che come il RdC, politica di contrasto alla povertà, anche le politiche di settore per il lavoro, per la famiglia, per la casa, (e potremmo aggiungerne altre), che hanno, o dovrebbero avere, loro finalità e loro strategie generali per perseguirle, prevedono sia misure di integrazione del reddito sia interventi ad esse complementari. In merito ai sostegni per la famiglia e per la casa, il Rdc interviene senza alcuna attenzione alle politiche generali perseguite o auspicate per tali tematiche sociali, arrivando anzi a contraddirle apertamente con le sue scale di equivalenza che penalizzano le famiglie con figli, soprattutto se numerose. Analoghe osservazioni potrebbero essere effettuate in merito alle politiche del lavoro. Questo rafforza l’esigenza di verificare la coerenza fra le politiche generali di settore, con le loro finalità, e le misure previste dal Rdc per trattare e fronteggiare analoghe esigenze e bisogni.

 

Universalismo +/- selettività?

Nel rispondere a questa esigenza occorre anche tenere presente che i trasferimenti, di cui fin qui ci siamo prevalentemente occupati, assumono come criterio prevalente l’universalismo selettivo, che ha un grande valore in termini di equità e riduzione delle disuguaglianze, ma presenta anche dei limiti, soprattutto nelle offerte di servizi di sostegno e promozione, ma anche rispetto alle erogazioni monetarie. Tanto che anche queste talora optano per un universalismo non selettivo, per esempio se scelgono di beneficiare con un analogo sostegno tutti i minori, a prescindere dalla situazione reddituale delle famiglie, o di gran parte di esse. Interventi selettivi infatti sono in certa misura sempre connotanti, tendono a collocare il beneficiario in una quota di società distinta e svalutata. Da qui l’offerta anche di interventi propriamente universali, e, in questa prospettiva, l’importanza decisiva che assume la estensione e la qualità di servizi per tutti, come quelli per l’infanzia, la scuola, la sanità e altri ancora, che sono in grado di prevenire o di superare disparità di condizione famigliare, di contenere ghettizzazioni o emarginazioni, specie fra minori e giovani e di aprire a culture e comportamenti condivisi dalle diverse fasce sociali. Tali servizi sono opportunità di superamento della separatezza, di inclusione relazionale e sociale, di integrazione. Altrettanto importante assicurare a tutti di poter beneficiare di beni comuni (ambiente urbano o rurale di vita, sicurezza, ecc) anche con misure specifiche di sostegno all’accesso e all’uso per i poveri e gli emarginati perché ne possano godere al pari di chi vive in condizioni di maggior benessere.

 

Welforum.it rilancia il tema

Potremmo dire che il nostro paese ancora non ha affrontato la scelta fra una politica articolata al suo interno su varie tematiche inerenti la povertà, come appare il RdC, e un sistema di politiche fortemente integrate. Nell’un caso come nell’altro la ricerca della coerenza e del coordinamento fra le componenti della politica contro la povertà, e fra questa e le politiche sociali di settore, pone comunque una ricerca di coordinamento. Consideriamo quindi di grande importanza e attualità insistere ancora una volta a porre il problema con interventi e convegni. Non si tratta di speculare su astratte modellistiche organizzative ma di vedere, utilizzando anche esperienze avanzate di altri paesi, quali assetti appaiono dare maggiori opportunità di convergenza e coerenza con conseguenti probabilità di migliori esiti di efficienza, efficacia, equità. Che insomma offrano maggiori benefici alle famiglie in povertà. Tenendo naturalmente presente che sugli esiti pesano molti altri fattori oltre quello strutturale e organizzativo, quali l’entità della povertà e della diseguaglianza sociale, l’entità delle risorse investite, le competenze e volontà degli attori, la funzionalità degli apparati pubblici, i loro rapporti con le iniziative del sociale, e altri ancora.

Da tempo con le nostre ricerche e proposte affermiamo che non è possibile rendere più coerenti, convergenti e quindi efficaci le nostre politiche sociali, affrontando e superando i limiti di settorialismo, parcellizzazione, inefficacia che da sempre le caratterizzano, aggiungendo semplicemente di volta in volta nuove singole politiche o misure. Occorre avere il coraggio e l’avvedutezza di rivedere contestualmente il sistema esistente, contrassegnato per valutazione largamente condivisa da molteplici misure obsolescenti e parcellizzate, per ridisegnarlo e riorganizzarlo, concentrando le risorse finanziarie su un numero selezionato di misure che lo mettano in grado di: misurarsi efficacemente con situazioni sociali e bisogni in continua evoluzione; a assumere approcci culturali e operativi innovativi che elaborazioni ed esperienze, nazionali e internazionali, propongono; gestire in modo efficiente le limitate risorse disponibili senza ridimensionare ma, all’opposto, riqualificando il nostro sistema di welfare.

 

Come welforum.it con il convegno “Per contrastare la povertà, combinare più politiche” svoltosi a Roma il 14 maggio 2019, e con una serie di articoli pubblicati sul sito, abbiamo cominciato a proporre e a sostanziare con l’apporto di esperti qualificati e sperimentati, questa impegnativa riflessione sulla opzione fra una politica articolata al suo interno su varie misure inerenti la povertà, come appare il Rdc, e un sistema di politiche fortemente integrate su cui alcuni grandi paesi europei si stanno orientando. I contributi qui raccolti, scritti da esperti più che qualificati che ringrazio per la loro collaborazione, non coprono naturalmente tutti i campi di possibile interferenza, ma ne trattano certamente quelli di forte rilevanza, famiglia, lavoro, casa, gli stessi quantificati e comparati a livello europeo nelle tabelle comparative fra paesi europei riportate in apertura.

 

Gli articoli che presentiamo di seguito contengono infatti analisi del Rdc relativamente all’area di bisogni e di politiche considerate e proposte di correzione e superamento, relativamente a integrazioni monetarie del reddito (Massimo Baldini), politiche famigliari (Chiara Saraceno), politiche del lavoro (Tiziano Treu, Claudio Lucifora), politiche della casa (Antonio Tosi).3

Abbiamo raccolto i contributi in una pubblicazione in pdf scaricabile qui.

La raccolta è ora disponibile anche in cartaceo, acquistabile attraverso il sito di Prospettive Sociali e Sanitarie

  1. Interessanti le riflessioni sulle tendenze di evoluzione del welfare proposte da Remo Siza (2019) su Prospettive Sociali e Sanitarie.
  2. Sono dati relativi al 2014, che quindi per l’Italia non considerano né il Rei né il RdC, ma che comunque non spostano di tanto l’imputazione delle risorse del sistema assistenziale nel suo insieme da invalidare le osservazioni qui riprese.
  3. Sul sito è possibile guardare anche le relazioni presentate nella sessione del mattino del convegno “Per contrastare la povertà, combinare più politiche” svoltosi a Roma il 14 maggio 2019, e non tradotte poi in articoli, di Elena Granaglia e Stefano Sacchi. Si trovano anche le relazioni della sessione pomeridiana del convegno, impegnate sui temi della attuazione del Rdc, con le sue luci e ombre, e con suggerimenti correttivi.