Istat, anticipazioni sui nuovi dati sulle Istituzioni non profit


Gianfranco Marocchi | 24 Ottobre 2023

In occasione delle Giornate di Bertinoro (13-14 ottobre 2023), l’Istat ha presentato alcune anticipazioni sui dati aggiornati relativi alle Istituzioni Non Profit (di seguito INP). Come chiarito in sede di presentazione, non si tratta di un aggiornamento sistematico delle edizioni precedenti – che sarà rilasciato in tempi successivi – ma di approfondimenti tematici, di seguito riportati e commentati. La fonte delle informazioni è costituita dalle slide presentate da Massimo Lori di Istat.

INP e volontariato

Il primo aspetto trattato riguarda il volontariato. Al 31 dicembre 2021 operano nelle INP secondo Istat 4.661.270 volontari. Si tratta di un numero assai significativo, ma va d’altra parte evidenziato – lo scriveva anche Welforum qualche mese fa – come un confronto con le dinamiche generali del Terzo settore metta in luce una controtendenza rispetto ad altri indicatori. Nel decennio, infatti, il numero di volontari presenti nelle ONP è diminuito di oltre 97 mila unità, pari a circa il 2% rispetto al numero di volontari del 2011 (e di oltre 870 mila unità rispetto al dato del 2015, pari al 15.7%). Tali scostamenti sono ancora più significativi se si considera che il numero di INP è costantemente cresciuto nel decennio (o meglio, nei nove anni successivi alla rilevazione censuaria del 2011), passando dalle 301.191 iniziali a 363.499 del 2020 (aumento del 20.21%) e soprattutto che il numero di lavoratori, 870.163 nel 2020, nello stesso periodo è cresciuto di 189 mila unità, pari al 21.8% in più rispetto ai valori del 2011. Se usiamo come termine di paragone il 2015, i volontari sono diminuiti del 15.7%, i lavoratori sono aumentati del 9.4%.

 

Certo, si può osservare che tra il 2020 e il 2021 vi è stato il Covid che può avere determinato alterazioni straordinarie di questi valori, in particolare penalizzando la partecipazione dei volontari alle attività delle INP. D’altra parte, si tratta di un ulteriore segnale che si aggiunge ad altri, desumibili da un confronto con le indagini multiscopo che confermano, la minore propensione dei cittadini a svolgere attività di volontariato, come evidenziato in questo articolo pubblicato su Welforum; e, come argomentato in questo ultimo contributo, anche la lettura comunemente proposta per spiegare questi numeri – diminuzione del volontariato svolto in INP a fronte dell’aumento del volontariato individuale – trova più smentite che conferme. Ciò non esclude la presenza di visibili fenomeni di mobilitazione diffusa in occasioni specifiche, ad esempio in occasione di calamità naturali (l’ultimo caso è quello dell’alluvione in Emilia-Romagna), ma va altresì rilevato come comportamenti che scaturiscano in fase emergenziale ed a carattere episodico rappresentino comunque una fattispecie specifica, diversa dal volontariato che si realizza con continuità.

Sempre su questo aspetto, i dati presentati da Istat a Bertinoro aggiungono un ulteriore tassello relativo a quali siano le INP in cui i volontari aumentano o diminuiscono. Come evidenziato nel grafico sottostante, il fenomeno del calo dei interessa in misura maggiore le INP senza operatori retribuiti rispetto a quelle dove opera anche personale stipendiato.

 

 

 

Si tratta di un esito in parte non del tutto atteso e che ci dice, in sostanza, che i volontari “fuggono” in misura maggiore dagli enti con solo volontari, cioè, presumibilmente, da enti che mancano di una struttura di una qualche minima solidità, in grado di organizzare adeguatamente la propensione volontaristica delle persone. E questo è un dato in qualche misura contraddittorio rispetto alle tesi sul volontariato sempre più liquido: le persone apprezzano di più ambienti strutturati e organizzati, rispetto a quelli in cui l’organizzazione appare evanescente. E, come si evince del grafico a fianco, è proprio la compresenza tra volontari e lavoratori retribuiti a rendere l’organizzazione più solida e non la dimensione in quanto tale, dal momento che la fuga di volontari si registra dalle organizzazioni di dimensioni maggiori.

Rispetto ai settori di attività, la cooperazione internazionale è l’ambito che registra più frequentemente INP che diminuiscono i volontari, seguito dalla cultura, sport e ricreazione e dalla sanità.

Sopravvivenza delle INP

Un secondo aspetto approfondito da Istat riguarda le variabili che favoriscono la sopravvivenza nel medio periodo delle INP. Quali INP tendono a sopravvivere, in un panorama che evidenzia comunque una consistente natimortalità organizzativa, dal momento che il 35% delle INP presenti nel 2020 sono nate dal 2011 in avanti (soprattutto cooperative sociali e INP del Mezzogiorno) e che allo stesso tempo il 40% delle INP presenti nel 2011 oggi non sono più attive?

Il grafico sotto riprodotto elenca in ordine decrescente gli elementi associati alla mortalità delle INP. Al vertice vi è la dipendenza da una sola fonte di entrata, evidente elemento di debolezza giacché quando essa venga a mancare la sopravvivenza dell’organizzazione è compromessa. Segue l’anno di costituzione recente – una sorta di mortalità organizzativa infantile – dato che evidenzia come si operi in un contesto in cui le nuove INP non hanno vita facile nel trovare una propria via alla sostenibilità.

La mancanza di convenzioni o contratti con le pubbliche amministrazioni agisce presumibilmente in due sensi come fattore ostacolante la sopravvivenza: da un punto di vista economico comporta l’assenza di una fonte rilevante di proventi, ma allo stesso tempo evidenzia anche l’insuccesso della INP nella costruzione di un elemento rilevante della propria rete territoriale, come sottolineato dai ricercatori Istat. Sempre sul fronte del networking, hanno meno probabilità di sopravvivenza le organizzazioni che non appartengono a reti nazionali di secondo livello. Altre caratteristiche associate alla minore sopravvivenza sono il fatto di operare in una nicchia settoriale molto definita e affollata di altre organizzazioni con le quali sopravvengono dinamiche competitive e l’orientamento “mutualistico”, inteso dai ricercatori Istat come il fatto di offrire i propri servizi solo a propri associati e non a soggetti esterni.

 

Le INP ad elevata crescita

Accanto all’approfondimento delle circostanze che favoriscono la cessazione delle INP, i dati esposti si dedicano a fare luce sui casi di “INP ad elevata crescita”, quelle cioè che nel decennio 2011 – 2021 considerato aumentano il numero di lavoratori o il fatturato in misura superiore al 10%. Si tratta dell’8.1% dei casi, pari circa a 16 mila organizzazioni.

Tra le variabili che identificano questo sottogruppo, tre appaiono particolarmente rilevanti. La prima è la forma giuridica, essendo più orientate a crescere quelle con forma giuridica di cooperativa sociale, di fondazione e di ente ecclesiastico, cioè tipicamente forme che si prestano allo svolgimento di attività di imprenditorialità sociale, rispetto invece alla forma associativa. La seconda è la presenza di convenzioni con pubbliche amministrazioni – la cui assenza, si ricorda, è associata al contrario alla probabilità di cessazione dell’ente – la terza è il settore di attività, che coincide con gli ambiti in cui operano le imprese sociali: “sviluppo economico e coesione sociale”, categorie in cui vengono inserite le cooperative sociali di inserimento lavorativo, istruzione e ricerca, welfare e sanità.

 

INP e RUNTS

La parziale sovrapposizione tra enti inclusi da Istat nell’universo delle Istituzioni Non Profit (363 mila unità) ed Enti di Terzo settore iscritti nel Registro Unico (oggi 116 mila unità) è un altro dei temi evidenziati nel report. Il tema è stato trattato da Welforum anche in questo articolo; in estrema sintesi, si può affermare quanto segue: mentre la grande maggioranza degli ETS iscritti al RUNTS sono considerati da Istat INP, solo una parte minoritaria delle INP sono iscritte al RUNTS. Le INP non iscritte al RUNTS sono particolarmente numerose tra quelle che operano in ambito sportivo (come è noto esiste la necessità di coordinare le normative fiscali su ETS e società sportive) e, secondariamente, tra quelle che operano nell’ambito culturale o ricreativo. Le cifre rilasciate da Istat nelle slide appaiono in ogni caso di relativo interesse in quanto comparano i dati delle INP con la consistenza del RUNTS in una fase in cui esso era ancora in fase di formazione (come del resto è anche oggi), sarà quindi necessario attendere ancora un po’ per avere numeri più attendibili; in ogni caso le già citate analisi pubblicate su Welforum possono rappresentare un primo riferimento in materia, ancorché dalla data di quell’articolo (15 settembre 2023) ad oggi oltre 2000 altre organizzazioni si sono iscritte al RUNTS.

Le tecnologie del non profit

L’Istat ha dedicato uno specifico approfondimento all’utilizzo di tecnologie digitali da parte delle INP, i cui esiti sono illustrati in queste slide; quasi l’80% delle INP utilizza una qualche forma di tecnologia digitale. Le tecnologie più usuali sono costituite dalla connessione mobile e fissa a internet, mentre la frequenza di utilizzo diminuisce in modo significativo laddove si considerino le INP che utilizzano anche forme di digitalizzazione più avanzata.

* Il totale non dà 100. Non è chiaro se si tratta di un refuso nei dati presentati da Istat o quali siano le motivazioni che portano ai risultati indicati da questa statistica.

 

In primo luogo, viene evidenziato quasi l’80% delle INP utilizzi almeno una tecnologia digitale; questa quota non ha differenze significative nelle varie aree del paese.

Il 40.5% di organizzazioni che utilizzano solo la connessione internet – 146 INP – per la grande maggioranza è composta di enti privi di lavoratori dipendenti; un terzo di queste organizzazioni immagina nel prossimo triennio di prevedere anche altri utilizzi del digitale. Il 26.8% che utilizza, oltre che alla connessione, piattaforme digitali (circa 97 mila unità) vede salire la quota con lavoratori dipendenti oltre che volontari e ha tra i propri soci, volontari o lavoratori uno specialista di ICT in misura doppia rispetto alla media delle organizzazioni intervistate; le piattaforme digitali sono utilizzate per la realizzazione di progetti o attività o per erogare servizi online. Infine, il gruppo pur contenuto di INP (2.2%, circa 8 mila organizzazioni) che utilizza tecnologie digitali avanzate appare più dinamico e soprattutto più coinvolto in relazioni collaborative con una pluralità di stakeholder pubblici e privati; cresce ancora la quota di enti con almeno un dipendente e che si avvalgono di uno specialista ICT.

È infine utile un rapido sguardo alle 74 mila organizzazioni, il 20.5% del totale che non utilizzano alcuna tecnologia digitale. La gran parte non ha lavoratori dipendenti, si occupano di sport, cultura attività ricreative; si tratta di enti che appaiono in generale meno dinamici e che ritengono le tecnologie non rilevanti o comunque non prioritarie rispetto alle attività svolte e alle urgenze più significative che l’organizzazione si appresta ad affrontare, lamentano la mancanza di risorse economiche per investire in tecnologie e la carenza di formazione e qualificazione. È solo il caso di notare che laddove a tale ultimo gruppo si aggiungesse il 40.5% di organizzazioni che mostrano un utilizzo minimo di tecnologie e che evidenziano taluni tratti organizzativi simili a chi non le utilizza affatto, otterremo una netta maggioranza di enti che hanno un rapporto con il digitale minimo o assente.

Conclusioni

In attesa del rilascio di dati sistematici aggiornati al 2021 sul complesso delle INP, queste anticipazioni evidenziano alcune delle tematiche su cui è utile sviluppare una riflessione. Si tratta solo di prime suggestioni e indubbiamente il lettore trae da queste informazioni più domande che risposte, più curiosità rispetto ad approfondimenti sui temi trattati che riscontri definitivi. Non resta che attendere i successivi rilasci Istat per avere ulteriori materiali su cui lavorare.