La co-progettazione nel Comune di Bologna

La “banalità” del metodo di lavoro


Bologna città dell’amministrazione condivisa

Negli anni 90 la riforma degli enti locali e la legge sul procedimento amministrativo hanno introdotto nell’ordinamento istituti e procedure di partecipazione attiva dei cittadini alla vita amministrativa delle comunità, rafforzati dalla modifica del Titolo V della Costituzione nel 2001.

L’autonomia statutaria e regolamentare del Comune ha permesso di valorizzare e disciplinare forme di amministrazione condivisa, coinvolgendo in via prioritaria le formazioni sociali in cui si auto-organizzano la solidarietà sociale e la cittadinanza attiva.

Lo Statuto del Comune di Bologna fissa tra gli obiettivi programmatici dell’amministrazione quello di garantire e valorizzare il diritto dei cittadini, delle formazioni sociali, degli interessati, degli utenti e delle associazioni portatrici di interessi diffusi, come espressioni della comunità locale, di concorrere allo svolgimento e al controllo delle attività poste in essere dall’amministrazione locale, ispirando la propria azione al principio di sussidiarietà orizzontale e di collaborazione con le istanze sociali ed economiche, favorendo la crescita sostenibile e la diffusione dell’iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale e di cura dei beni comuni e valorizzando e sostenendo le attività e le iniziative del volontariato e delle libere associazioni.

A livello regolamentare le norme statutarie hanno trovato una disciplina specifica con il regolamento degli istituti di partecipazione; il regolamento delle libere forme associative; il regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani. Anche altri regolamenti, in particolare quello dei servizi sociali, prevedono forme di programmazione, progettazione e gestione condivise con soggetti del Terzo settore.

 

A seguito dell’avvio della riforma del Terzo Settore, in fase di completamento con l’istituzione del Registro Nazionale (Runts), e a cinque anni di distanza dall’approvazione del Regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, che ha aperto la strada a pratiche di amministrazione condivisa fatti propri negli anni successivi da oltre 200 comuni italiani e che a Bologna ha dato vita ad oltre 400 patti di collaborazione, la Giunta comunale ha dato avvio ad un percorso per l’adozione di un regolamento unico sulle forme di collaborazione con la cittadinanza. La scelta strategica operata è stata quella di integrare i contenuti dei diversi regolamenti vigenti all’interno di un contesto giuridico più ampio, valorizzando a livello locale le innovazioni introdotte dalla riforma del terzo settore, nonché le nuove modalità di relazione con la comunità sperimentate in questi anni a Bologna, anche su impulso della Fondazione Innovazione Urbana e denominate “immaginazione civica”.

Il percorso per la definizione del nuovo regolamento unico delineato dalla Giunta prevedeva necessariamente il coinvolgimento dei Quartieri, dell’associazionismo e degli enti del Terzo settore nell’acquisizione di valutazioni e contributi: tale attività di ascolto è risultata tuttavia impraticabile a causa delle restrizioni determinate dalla pandemia, rendendo opportuno il rinvio della elaborazione partecipata del nuovo regolamento al prossimo mandato amministrativo.

In attesa di intervenire complessivamente sulla normativa comunale di riferimento si è ritenuto comunque utile e necessario definire alcuni elementi di carattere procedurale e gestionale relativi alle attività di co-progettazione. Tali attività, infatti, risultano sempre più praticate dal Comune di Bologna in considerazione sia della loro maggiore flessibilità e della conseguente attitudine a connettere in maniera più efficace la complessità dei bisogni dei cittadini e la ricchezza progettuale espressa dagli attori civici sia per la loro riconducibilità a criteri e principi improntati alla solidarietà e non alle logiche di mercato. Ciò risulta particolarmente importante nella fase attuale, in vista del sostegno da offrire al tessuto sociale della città alle prese con le conseguenze determinate dalla pandemia. Perfezionare le modalità d’uso degli strumenti di coinvolgimento attivo della comunità nella realizzazione di attività di interesse generale consentirà di programmare e realizzare interventi in grado di rispondere meglio ai bisogni sociali delle persone favorendo la convergenza delle varie risorse disponibili su obiettivi realmente utili e condivisi.

 

Le linee guida

Si è così giunti alle linee guida approvate dalla Giunta comunale di Bologna il 23 febbraio 2021, che si collocano in un ambito giuridico frutto della consapevolezza che vi sono situazioni, bisogni, istanze e urgenze che richiedono strumenti diversi dagli appalti. Da un lato, non si tratta di servizi per i quali la Pubblica amministrazione è in grado di predeterminare tutti gli elementi da inserire nel bando; dall’altro, non è riscontrabile un corrispettivo da riconoscere al soggetto privato selezionato.

In questa prospettiva, il Codice del Terzo settore ha previsto alcuni istituti giuridici cooperativi e collaborativi, segnatamente, la co-programmazione, la co-progettazione e il convenzionamento (diretto). Si tratta di modalità di partnership tra pubblica amministrazione ed enti non profit il cui focus è il progetto, unitamente alla finalità sociale da perseguire, che può anche non prevedere – come spesso accade in questi casi – il pagamento di un corrispettivo da parte della pubblica amministrazione. Quest’ultima, inoltre, non figura quale soggetto committente in quanto, in forza del principio di sussidiarietà, può agire in quanto sollecitata dagli enti di terzo settore ovvero può rivolgersi a questi ultimi per definire con gli stessi percorsi e modalità di definizione degli interventi in una delle aree di attività di interesse generale di cui all’art. 5 del Codice del terzo settore.

Facendo leva sugli elementi più avanzati presenti nella regolamentazione comunale vigente e sulle novità normative nazionali, le modalità organizzative e procedurali proposte consentiranno di disporre di una maggiore chiarezza giuridica tale da conferire maggiore stabilità amministrativa alle diverse modalità di relazione più dinamiche attivabili con le energie civiche della città.

In quest’ottica, le linee guida – anche per valorizzare quei soggetti che non risulteranno qualificati giuridicamente come “ETS”, in quanto non iscritti al Runts – hanno definito due ambiti di applicazione degli interventi. Il primo ambito (lettera A) prevede la possibilità per le espressioni della Cittadinanza attiva e dei gruppi anche informali di avanzare proposte, idee e azioni, finalizzate a produrre un impatto di utilità sociale per la comunità locale. Il secondo ambito (lettera B) riguarda lo specifico apporto degli ETS nella cornice della co-progettazione formalmente strutturata, con particolare riguardo a progetti, azioni, interventi di natura sperimentale e a carattere innovativo.

 

Due ambiti che intendono ricomprendere tutte le espressioni della società civile, le cui proposte, alla luce di un approccio sussidiario, vengono valorizzate e sostenute dalla pubblica amministrazione.

Le linee guida delineano le diverse fasi del processo di coprogettazione, dall’avvio del procedimento che deve assicurare la piena evidenza pubblica, alla presentazione delle proposte dei partecipanti e alla loro valutazione ai fini dell’ammissione ai tavoli di coprogettazione; si descrivono poi le diverse fasi della coprogettazione, dalla condivisione della lettura del contesto, all’emersione “creativa” di proposte, alla definizione del progetto con i relativi impegni dei partecipanti. Tutta questa fase, specificano ancora le linee guida, avviene con modalità che assicurano la partecipazione e la trasparenza e portano alla formalizzazione degli esiti della coprogettazione e ai conseguenti accordi, di cui le linee guida specificano gli elementi essenziali. Sono quindi definite le forme di sostegno che il Comune può assicurare e che si sostanzia in contributi a copertura dei costi diretti e indiretti (sino alla totalità dei costi di progetto), alla disponibilità di beni materiali o servizi assicurati dal comune, fruizione di immobili. La gestione, specificano ancora le linee guida, dovrà attuarsi nello stesso spirito dialogico e collaborativo, assicurando agli interventi una flessibilità sconosciuta agli affidamenti tramite appalto; e questo (“i tecnici comunali sono chiamati ad affiancare i partner di progetto…”) ben evidenzia anche come l’amministrazione condivisa non comporti una deresponsabilizzazione dell’ente, ma al contrario una determinazione nel continuare a giocare un ruolo attivo anche dopo l’instaurazione del rapporto con l’ente di Terzo settore.

Queste linee guida assolvono una duplice funzione. Da una parte costituiscono una guida per i procedimenti amministrativi, danno certezza al singolo funzionario circa i procedimenti da seguire; dall’altra esprimono la netta volontà di ricercare relazioni collaborative con il Terzo settore e quindi un’opzione politica e culturale coerenti con una visione improntata alla sussidiarietà.

 

Il metodo di lavoro

Il metodo di lavoro utilizzato per giungere alla formulazione delle Linee guida è stato definito provocatoriamente “banale” perché apparentemente banale è il presupposto che lo ha ispirato: se il Comune vuole utilmente esercitare l’autonomia riconosciuta dalla Costituzione, deve ambire a dotarsi di strumenti amministrativi in grado di interpretare le esigenze e le potenzialità del suo contesto. I principi di sussidiarietà esigono che gli strumenti amministrativi sappiano adattarsi alle realtà da governare e non il contrario. Questa la ragione per cui l’elaborazione delle disposizioni in parola si è basata sui seguenti principi:

  1. Sperimentare prima di consolidare – Abbiamo fatto tesoro delle evidenze che i diversi percorsi di collaborazione condotti in questi anni ci hanno consegnato, valorizzando la replicabilità degli elementi di successo e traendo dalle criticità emerse fondati presidi di prevenzione;
  2. Coinvolgere per evolvere – Abbiamo interloquito trasversalmente con i diversi settori comunali e con le associazioni, ne abbiamo raccolto le aspettative e i timori. Non si tratta solo di ascoltare, ma anche di prendere in carico: per poter facilitare, all’interno di un contesto organizzativo che funziona per comparti stagni, soluzioni operative in grado di cogliere le diverse sensibilità dei vari attori. Dobbiamo superare l’approccio settoriale se vogliamo che l’ampiezza delle attività di interesse generale poste a base del codice del terzo settore sia letta dagli enti locali come stimolo per assegnare al principio di sussidiarietà un ruolo strutturale nella definizione delle politiche;
  3. Interpretare e non duplicare – Il valore dell’autonomia normativa dell’ente locale risiede anche nella capacità di innestare il senso ed i contenuti delle riforme statali in un ecosistema locale preesistente tenendo quindi conto di equilibri, diversità e prospettive evolutive. Se le riforme cadono sui territori come corpi estranei possono prodursi due esiti, entrambi fatali: non saranno in grado di produrre cambiamento o finiranno per imporsi per gravità, appiattendo sotto il loro peso specificità e resilienze. Ecco quindi che l’intervento normativo dell’ente locale esige necessariamente l’interpretazione della riforma che, lungi dallo stravolgerla, la connetta e la integri con gli strumenti esistenti aumentandone in tal modo l’impatto indotto. Da qui, ad esempio, nasce la convinzione che gli enti del terzo settore iscritti al registro unico, pur avendo le prerogative che la riforma riconosce al loro status, non esauriscono la platea dei soggetti, più o meno formalizzati, con cui le amministrazioni potranno continuare a collaborare per la realizzazione di attività di interesse generale;
  4. Non solo procedure – Il lavoro svolto presenta un carattere fortemente interdisciplinare. Accanto alle previsioni giuridiche volte alla corretta gestione dei profili procedurali, i percorsi di co progettazione richiedono anche la definizione di quegli aspetti metodologici, relazionali e tecnologici necessari a creare le condizioni affinchè il processo sia in grado di produrre gli esiti che ne motivano la scelta. Occorre muoversi all’interno di una filiera che unisca coerentemente obiettivi, motivazioni, procedure e metodi se vogliamo che alla co progettazione sia riconosciuta una funzione intimamente diversa nella realizzazione dell’interesse generale rispetto alla forza gravitazionale che il codice dei contratti è in grado di esercitare sull’insieme delle attività estroflesse riconducibili alle amministrazioni pubbliche.

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