L’assistenza integrativa al welfare pubblico

Una paradossale prefigurazione di un ritorno al passato?


Giorgio Merlo | 9 Ottobre 2017

Se nel 1890 la Legge Crispi nazionalizza le circa 200.000 Opere Pie (per categorie di utenti o tipologia di problemi), se il primo ‘900 è caratterizzato da circa 2.000 mutue di corporazioni e/o di imprese, da decine di Enti nazionali (per settori di intervento), dagli ospedali che dipendono da una miriade di enti diversi, solo nel 1978 (LN 833) si afferma il dettato Costituzionale della salute come diritto e l’universalismo delle prestazioni con la conseguente nazionalizzazione di tutti gli enti esistenti, mentre nel settore socio assistenziale un processo analogo è avviato nel 1977 (DPR 616) e poi nel 2000 con la LN 328.

Ebbene, a distanza di pochi decenni oggi si calcola che in Italia il 23,7% della spesa complessiva per assistenza sanitaria sia privata (35 miliardi su 147, anno 2015); mentre per l’assistenza sociale le famiglie destinano il 7,3% del loro reddito per “beni e servizi per la cura della persona, effetti personali, servizi di assistenza sociale, assicurazioni e servizi finanziari”.

Storicamente il tema è quello della gestione del rischio di eventi sfavorevoli nel corso della vita che, quando non sono supportati da interventi pubblici, ha condotto a due approcci differenti:

  1. Una assunzione di responsabilità collettiva attraverso il mutualismo, ispirato al principio dell’aiuto scambievole e delle prestazioni reciproche, che permette ad un gruppo di persone di affrontare insieme un rischio che, se affrontato individualmente, non sarebbe sostenibile.
  2. Il trasferimento del rischio ad un soggetto esterno che ne fa oggetto di impresa commerciale, in cambio del pagamento di una determinata somma di denaro. In questo caso il problema fondamentale è la definizione dell’entità del premio individuale (probabilità che l’evento possa avvenire) in rapporto al rischio complessivo, per cui si adottano strategie di selezione dei propri clienti e degli eventi assicurabili.

 

All’interno di questa cornice attualmente si collocano attori diversi.

  1. Le Società di Mutuo Soccorso (SoMS) costituite, tra il XIX e il XX secolo, da artigiani e operai che si organizzano, in quanto soci, azionisti e clienti, per affrontare i disagi dovuti a malattie, invalidità, guerre, povertà e vecchiaia. La Federazione delle mutue italiane ha adottato un Codice che ne rappresenta i valori ed i principi: Porta aperta (nessuna selezione preventiva e non discriminazione per condizioni soggettive ed individuali); Assistenza per tutta la vita (nessun socio può essere escluso per aggravamento del tasso di rischio o per ricorso maggiore alle prestazioni previste); Mutuo aiuto e solidarietà (la quota serve a soddisfare i bisogni comuni ai soci e assistiti fondandosi sul rapporto fiduciario e sul comportamento responsabile e corretto dei singoli); Centralità del socio e democrazia delle decisioni; Controllo e trasparenza; Responsabilità sociale (sistema di welfare inclusivo, integrativo al SSN, integrato tra soggetti pubblici e non profit per favorire la coesione sociale). Attualmente sono censite come attive 509 SoMS, di cui il 54,5% svolge attività in ambito socio sanitario.
  2. I Fondi Sanitari integrativi quali emanazione degli Enti bilaterali di comparto e settore costituiti al fine di offrire servizi, provvidenze, azioni di natura economico-sociale, in favore dei soggetti sottoscrittori: prestazioni assistenziali, oltre che elementi della retribuzione; formazione professionale; sicurezza del lavoro. Sono finanziati attraverso il versamento di un contributo mensile.

Queste prime due forme rientrano nell’Anagrafe dei Fondi (oltre 300 organizzazioni per un numero complessivo di più di 9 milioni di persone assistite) a cui possono iscriversi:

  • “Fondi doc” cioè fondi sanitari integrativi del SSN (Casse sanitarie aziendali e Fondi sanitari negoziali), detti anche “Fondi chiusi” in quanto traggono origine nella contrattazione collettiva nazionale o decentrata aziendale o locale, oppure nell’autogestione di Ordini o Collegi professionali;
  • “Fondi non doc” cioè Enti casse e Società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale, detti anche “Fondi aperti” in quanto sono rivolti a chiunque voglia iscriversi, a seconda dei relativi regolamenti.

Tutti questi Fondi godono di particolari agevolazioni a favore del contraente/beneficiario attraverso una deducibilità fiscale dei contributi versati, differente per tipologia.

I loro interventi rispetto alle prestazioni erogate dal SSN possono essere, anche in contemporanea:

  • complementare: rimborsano i co-payment richiesti dal sistema pubblico (franchigie, ticket, ecc.) o indennità, diarie, per i giorni di ospedalizzazione o di malattia;
  • supplementare: coprono le prestazioni non garantite dal sistema sanitario pubblico (prestazioni odontoiatriche, occhiali, ecc.);
  • duplicativa: erogano prestazioni già garantite dal sistema pubblico, ma rendendole più facili o di libera fruizione, evitando le liste di attesa o permettendo una scelta più ampia di professionisti e strutture.

Esistono anche Fondi sanitari, non iscritti all’Anagrafe, tutti diversi tra di loro per prestazioni offerte, livello di copertura ed entità delle quote associative, anche in quanto l’attuale normativa non fornisce disposizioni specifiche.

  1. Polizze assicurative: quasi tutte le società di assicurazione offrono polizze in campo (prevalentemente) medico che prevedono il rimborso delle spese sostenute dall’assicurato o l’erogazione di una prestazione attraverso strutture convenzionate. Sono circa un milione e mezzo le famiglie direttamente coperte attraverso una polizza malattia, per un valore dei premi di oltre 2 miliardi di euro anno (a cui si possono aggiungere circa 3 milioni di soggetti aderenti a fondi convenzionati). Esistono inoltre casse sanitarie aperte all’adesione di aziende che intendono offrire ai propri dipendenti garanzie sanitarie integrative a quelle erogate dal SSN. In ogni caso le polizze assicurative, pur avendo alcune agevolazioni, dal punto di vista fiscale non godono degli stessi benefici fiscali dei fondi integrativi.

 

Nei fatti un complesso molto articolato che presenta forme di ibridazione. Infatti tra Società di mutuo soccorso, Fondi sanitari, casse mutue, società di assicurazione, al di là di una distinzione, spesso più formale che altro, tra “no profit” (sicuramente le società di mutuo soccorso) e profit (sicuramente le società di assicurazione), la differenza fondamentale è quella relativa ai valori ed al conseguente modello di funzionamento e business.

In particolare, pur avendo modelli di gestione ed offrendo servizi differenti, tutte queste forme sono accumunate dalla necessità, per garantirsi la sostenibilità economica, di:

  • raggiungere una massa critica di aderenti, anche perché buona parte dei margini di impresa derivano da forme di intermediazione (acquisto di servizi da terzi) che raggiungono le condizioni migliori solo con grandi numeri;
  • definire, conseguentemente, il costo dell’adesione, producendo sostanzialmente modelli ibridi.

 

Questo quadro, a cui si possono aggiungere le spese out of pocket e gli interventi di welfare aziendale, prefigura un superamento dei principi costituzionali verso il ritorno in campo di forme diverse di protezione individuale e collettiva e la creazione di sistemi di (quasi) mercato per alcune tipologie di prestazioni e per alcuni gruppi di cittadini, finanziati non solo da risorse private, ma parzialmente anche dalla fiscalità generale attraverso gli sgravi fiscali.

Peraltro restano aperte alcune importanti questioni che un approccio di questo tipo ha notevoli difficoltà ad affrontare.

Il primo aspetto riguarda la presa in carico complessiva del singolo (e la sua durata nel tempo) in contrapposizione alla semplice sommatoria di prestazioni tipica di questi sistemi che tendono a scomporre i bisogni degli assistiti in singole unità per offrire risposte singole.

In secondo luogo vi sono gli aspetti di integrazione per interventi misti e complessi come quelli con valenza sia sociale che sanitaria, comorbilità, invecchiamento, cronicità, non autosufficienza, disabilità, malattie degenerative, salute mentale, ma anche aspetti derivanti da stili di vita individuali (es. alcoolismo, tossicodipendenze).

Rispetto a questi temi l’approccio è ovviamente differente tra i due estremi del profit e non, rimandando al sistema di valori ed al modello di funzionamento e di business.

L’approccio assicurativo tende ad individuare, selezionare ed escludere (o espellere in caso di sopravvenienza) tali casistiche non assumendosi eventi di lungo periodo o dall’evoluzione difficilmente prevedibile, anche valutando la condizione preesistente al momento della stipula contrattuale.

I Fondi sanitari integrativi aventi esclusivamente fine assistenziale hanno l’obbligo di destinare una quota non inferiore al 20% dell’ammontare complessivo delle loro risorse per prestazioni sanitarie a rilevanza sociale per le persone non autosufficienti, sia presso le abitazioni che presso le strutture esterne; prestazioni destinate al recupero di coloro che si trovano temporaneamente inabili al lavoro per causa di infortunio o malattia, prestazioni sociali a rilevanza sanitaria per i non autosufficienti per favorirne l’autonomia e la permanenza a casa, ma anche presso le strutture residenziali e semiresidenziali non assistibili a domicilio (oltre che per odontoiatria).

Le Società di mutuo soccorso hanno l’obbligo di reinvestire gli utili nei servizi per i soci e, basandosi sui principi definiti dal loro Codice, non escludono dalle singole prestazioni i loro soci-clienti per motivi di vecchiaia o modificazione delle condizioni di salute.

Il problema non è tanto la natura sanitaria o sociale degli interventi (quest’ultima molto spesso presente in tutti i sistemi come singole prestazioni), quanto, dal punto di vista economico, la difficoltà a determinarne la dimensione organizzativa e quantificarne il costo, sia in termini unitari che nella possibile evoluzione nel tempo.