Linee Guida per chi?


Marino Bottà | 18 Novembre 2022

La  post-verità e la propaganda hanno invaso anche il territorio della disabilità. I Ministri  Erika Stefani e Andrea Orlando si sono presentati più volte in pubblico dicendo di aver operato con dedizione e competenza per risolvere i bisogni delle persone disabili, anche quelli lavorativi. Hanno infatti varato la Legge delega sulla disabilità (legge 227/2021) e il Programma Gol Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori – ambedue previsti dal PNRR – e sdoganato dopo 6 anni di attesa le Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità. Al di là della propaganda politica, vediamo come stanno veramente le cose. La Legge delega non cita nemmeno il tema lavoro, e alla richiesta di: “… Come può parlare di progetto di vita, del dopo di noi ecc. senza parlare di lavoro ?” La risposta della Ministra Stefani è stata: “Non è di mia competenza”. Eppure si presentava sempre in tandem con il Ministro Orlando, quando si parlava di lavoro per i disabili. Comunque sia, dalla Legge delega non verrà nessun sostegno all’inclusione lavorativa delle persone disabili. Poco più arriverà dal decantato progetto Gol; infatti non ci è dato sapere quanto personale e quante risorse economiche, metteranno a disposizione del collocamento disabili le singole Regioni. Del resto, anche in questo caso, il ministro competente (Orlando) ha dichiarato che i Centri per l’Impiego e il Collocamento Disabili non sono di sua competenza, ma delle Regioni.   Dopo il progetto Gol, sono arrivate le Linee Guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità1 (a mio avviso un mero esercizio di letteratura), probabilmente scritte da chi non ha competenza ed esperienza diretta di collocamento disabili e di mercato del lavoro debole. Più volte ho scritto – il primo testo risale alla primavera del 2015 – che la loro pubblicazione non avrebbe prodotto alcun positivo cambiamento nel sistema di collocamento pubblico, ma sarebbero state un comodo alibi per non fare nulla nei successivi 5 anni. Le Regioni infatti, in un documento2 di 30 punti, avevano prontamente  sottolineato la scarsa fattibilità di quanto indicato. Ma poco importa, il Ministero e l’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) sono riusciti a scaricare le responsabilità sulle Regioni arroccate nella difesa di un regionalismo deleterio per i disabili.  Quali garanzie abbiamo che le norme e le risorse messe in campo si trasformino in azioni efficaci? Quante risorse economiche verranno indirizzate dalle singole Regioni al collocamento dei disabili? Riusciremo a vanificare anche questa occasione storica per riformare il sistema di collocamento dei disabili?

 

I punti salienti del provvedimento

Analizziamo i punti più salienti del provvedimento a partire dalla Banca dati nazionale degli iscritti al collocamento disabili. Il testo, più volte, riporta l’attenzione sul ruolo chiave dei sistemi informativi, ritenuti fondamentali  per la costituzione della Banca dati sul collocamento mirato e l’integrazione fra i servizi del sistema di collocamento pubblico. Le Regioni in proposito avevano dichiarato che …“tale integrazione appare assolutamente impossibile da gestire senza poter contare su sistemi informativi tra loro dialoganti e interconnessi … che rendono di fatto quasi impossibile lavorare in una logica di integrazione tra i vari soggetti. Detto in altre parole, le Regioni chiedevano come si possa arrivare ad una banca dati nazionale se quelle regionali e provinciali non si parlano fra loro. Come si caricheranno i dati locali? Come si manterrà il flusso degli iscritti? Perché si insiste nel creare una complessa e costosa nuova banca dati, e non si pensa di raccordarla con quella già funzionante dell’Inps, che di fatto contiene già tutti i dati  anagrafici e gli accertamenti di invalidità? Com’è possibile mettere in relazione i servizi del territorio (servizi sociali, sanitari educativi e formativi) quando non si riesce a mettere in rete nemmeno gli uffici provinciali del collocamento disabili? Nulla di tutto questo è stato previsto. Pertanto, nei prossimi anni continueremo a disporre di dati raccogliticci e inutili per valutare la realtà occupazionale dei disabili, per programmare politiche attive a loro favore, e per fare le relazioni biennali al Parlamento.  

La Rete

Altro tema a cui si pone particolare attenzione è quello delle reti per l’integrazione lavorativa, ossia un gruppo di enti di un determinato territorio che collaborano nella gestione di servizi, progetti, azioni a favore dell’inclusione lavorativa dei disabili. Spesso l’operatività delle reti si traduce nella presa in carico della persona disabile per realizzare un percorso di accompagnamento al lavoro. Purtroppo le poche reti esistenti, costituite da un complesso di entità (servizi pubblici, cooperative sociali, enti di formazione, agenzie private, ecc.), sono scarsamente efficaci, in quanto ogni partner si attiva autonomamente, ritenendo di essere in possesso di tutte le competenze necessarie per promuovere l’inclusione lavorativa. I risultati ottenuti sono alquanto deludenti e non giustificano il dispendio di denaro, di energie e di passione personale dei singoli operatori. Col passare del tempo sono emersi aspetti negativi come l’autoreferenzialità, l’autarchia, la concorrenzialità, e la confusività, che hanno compromesso il lavoro svolto. Siamo tutti concordi nell’affermare che le contraddizioni sociali richiedono la partecipazione di più soggetti che operano in sinergia, però ognuno dovrebbe contribuire valorizzando il proprio patrimonio di esperienze e conoscenze evitando inutili sovrapposizioni e confusioni. Bisognerebbe creare network locali, sistemi territoriali per il lavoro, coordinati, sinergici ed efficaci. Il welfare e le contraddizioni sociali richiedono la partecipazione di più soggetti, in grado di suddividersi i compiti e creare uno spirito di sussidiarietà verticale e orizzontale.   Alla proposta ministeriale le Regioni aggiungevano: Al contempo, si ravvisa un elemento di criticità nell’interazione tra soggetti istituzionali (INAIL, INPS) e non che intervengono nella materia del collocamento mirato secondo modalità che, di fatto, sono soggette ad una estrema varietà di assetti e soluzioni locali … Desta preoccupazione la responsabilità, in capo alla Regione, di una rete della quale non ha la governance”.  A questo si aggiunga che stiamo parlando di soggetti che usano linguaggi tecnici, differenti, prassi operative e figure professionali proprie. In merito è sufficiente osservare i dati  disponibili per constatare quanti disabili (non mi riferisco ai disabili-abili e super-abili) sono stati assunti nominativamente dalle aziende grazie alle reti, e la durata dei contratti di lavoro, per rendersi conto che i risultati non valgono l’investimento profuso.  

Il personale

Le regioni stesse denunciano la carenza di personale preparato a gestire la complessità delle competenze del collocamento disabili.  La quasi totalità degli operatori dei servizi provinciali non conosce il mercato del lavoro, le aziende, il linguaggio imprenditoriale, i bisogni aziendali, e si interfaccia a questo mondo unicamente come fosse una controparte riottosa nel rispettare gli obblighi di legge. La stessa impreparazione si riscontra nei confronti delle persone disabili, nelle capacità di valutare il loro potenziale occupazionale ed elaborare un progetto di accompagnamento al lavoro. Gli operatori sono accusati dai disabili e dalle aziende di essere incompetenti, ma questa non è una attribuibile unicamente a loro, è il sistema regionale e ministeriale che dovrebbe formarli, aggiornarli, e soprattutto trasformare gli uffici provinciali in servizi al cittadino disabile. Non si comprende come mai l’ANPAL non se ne faccia carico. Questo è l’unico modo per unificare a livello nazionale il comportamento del collocamento nei confronti dei disabili, delle aziende, dei servizi, delle cooperative sociali e delle associazioni. Non si dica che nemmeno questo rientra nelle sue competenze, altrimenti non si capisce cosa ci stia a fare!  

Le Buone Pratiche

Con questa definizione si intendono le azioni che favoriscono l’inclusione lavorativa delle diverse categorie di disabilità. Il Ministero del Lavoro riporta l’attenzione sul tema scrivendo che si deve fare una:  

Raccolta sistematica delle buone pratiche di inclusione lavorativa al fine di contribuire, con la diffusione di esperienze positive ed efficaci, all’innalzamento degli standard di gestione del sistema di collocamento mirato e ad assicurare la disponibilità su tutto il territorio nazionale di modelli replicabili di azioni, procedure e progettualità a beneficio delle persone con disabilità e dei datori di lavoro interessati dalla normativa per il collocamento mirato. Le buone pratiche individuate dovranno confluire in una Piattaforma informatica accessibile e consultabile, dinamica e aggiornabile. La selezione delle esperienze da inserire nel repertorio di buone pratiche dovrà sottostare a specifiche metodologie di valutazione, criteri e indicatori che attestino l’idoneità delle caratteristiche elettive e verrà effettuata da parte di un gruppo di lavoro istituito presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali”.

  Molto probabilmente chi ha scritto questo non conosceva la realtà altrimenti non avrebbe proposto una piattaforma e un gruppo di lavoro per registrare le sole tre Buone Pratiche esistenti, tra l’altro ampiamente conosciute e non utilizzate: le convenzioni ex art. 14, le isole formative, e le adozioni lavorative a distanza.  Le  convenzioni previste dalla legge Biagi del 2003 consentono alle imprese private di assolvere agli obblighi assuntivi attraverso l’affidamento di una commessa di lavoro ad una cooperativa sociale di tipo B. Con le isole formative3, nate sul territorio lombardo (Delibera n. X /1106 del 20 dicembre 2013), l’azienda assolve agli obblighi attraverso un tirocinio di formazione al lavoro collettivo. Le adozioni lavorative a distanza, nate a Lecco nel 2003, consentono alle aziende di assolvere agli obblighi di Legge facendosi carico dei costi di inserimento e della borsa lavoro a favore di persone con particolari problematicità.  

Ci vuole una figura professionale pivotale

Il D.Lgs. 151/2015, e il Programma di Azione Biennale prevedevano che ci fosse: “… all’interno delle aziende di grandi dimensioni una unità tecnica (osservatorio, ufficio antidiscriminazione o di parificazione) in stretto accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, che si occupasse, con progetti personalizzati, dei singoli lavoratori con disabilità di affrontare e risolvere problemi legati alle condizioni di lavoro dei lavoratori con disabilità utilizzando appropriate competenze”. Il punto due del decreto legislativo propone un osservatorio tecnico aziendale che operi a favore dell’inclusione dei lavoratori disabili, e contrasti ogni forma di discriminazione. La sua costituzione, su base volontaria, deve prevedere la presenza delle rappresentanze sindacali, del medico del lavoro, di esperti di ausili, ecc. A questo organismo spetta anche il compito di monitorare il rispetto degli obblighi di legge. Questa proposta, come era palese fin dall’inizio, non ha avuto alcun successo. Ora, con le Linee Guida sul collocamento mirato, si parla di un responsabile aziendale degli inserimenti lavorativi. Ma le aziende, a loro avviso, già dispongono di questa figura professionale che spesso chiamano recruiter o addetto alle Human Resources. Quindi non vedono la necessità del responsabile degli inserimenti o dell’osservatorio. Quest’ultimo potrebbe essere utile per le aziende di grosse dimensioni, mentre tutte hanno bisogno di un supporter che le aiuti nella ricerca e selezione dei lavoratori disabili, che curi i rapporti con il collocamento disabili, i servizi territoriali e le cooperative sociali, che dia utili consulenze in merito ai rapporti di lavoro e alle agevolazioni, che gestisca i problemi del personale con disabilità in servizio. Alla totalità delle aziende serve un Disability Job Supporter, magari con un incarico temporaneo, che affianchi il proprio personale in tutto ciò che è inerente all’assolvimento degli obblighi di legge. Tutto il resto sono chiacchiere.   Le persone con disabilità non hanno pertanto bisogno di demagogie spicciole, passerelle di autoincensamento politico, e pseudo progettualità, scritte da chi non conosce il mondo della disabilità/lavoro. Ora non ci resta che attendere, vedere i risultati, e aspettare alcuni anni per sentirci dire che nulla è cambiato, che il sistema del collocamento disabili non ha dato i risultati sperati a causa di … ecc. Ma, per non attendere invano, dovremmo cercare di diventare costruttori del nostro futuro.

  1. Le Linee Guida sono state qui segnalate.
  2. “Osservazioni delle Regioni e Province Autonome in merito alla bozza di Linee guida sul collocamento mirato delle persone con disabilità”, 12 gennaio 2022.
  3. Si veda l’articolo pubblicato su questo stesso sito.