Mio figlio compie 18 anni, cosa faccio?

Come la funzione di case management può aiutare le persone con gravi disabilità nel passaggio alla maggiore età


Mirco Fagioli | 10 Luglio 2017

Il mondo dei servizi dedicati alle persone con disabilità, è caratterizzato da una forte cesura tra chi si occupa dei minori e chi degli adulti. Spesso gli operatori sociali si sono trovati a confrontarsi con il dilemma e la preoccupazione dei familiari di congiunti con disabilità gravi e croniche che hanno raggiunto la maggiore età. Purtroppo per alcune famiglie, il compimento dei 18 anni corrisponde alla perdita di servizi e l’incognita per il futuro. Diventare adulto può voler dire che il percorso scolastico è terminato, il servizio di Neuropsichiatria non è più pertinente e le prospettive sono quanto mai incerte.

 

I nuovi servizi quali sono? Dove sono?

Di fronte a questi quesiti l’ex ASL Milano 1, ora conferita nell’ATS Città Metropolitana di Milano, ha strutturato una modalità proattiva per cercare di dare risposte alle famiglie che si trovano ad affrontare un percorso sconosciuto, denominata Procedura Idea (Inclusione Disabilità Età Adulta). Sperimentata inizialmente nel 2012 nell’ambito di Garbagnate Milanese ed estesa nel 2013 a tutto il territorio aziendale.

Il primo step è stato quello di comprendere quante fossero le famiglie che presentavano simili bisogni e che avremmo dovuto prendere in carico. Grazie all’Osservatorio epidemiologico e all’incrocio dei flussi di dati sanitari e socio-sanitari in nostro possesso, abbiamo costruito un elenco di minori, che compivano diciotto anni nell’anno di riferimento, con disabilità complessa, ovvero persone che, coerentemente con il paradigma bio-psico-sociale, presentano deficit in diverse aree dello sviluppo. Per l’identificazione dei possibili fruitori del servizio, siamo partiti dalla nostra banca dati estrapolando, le persone con diagnosi rientranti nelle seguenti macrocategorie secondo la classificazione internazionale ICD-10:

  • Disturbi psichici e comportamentali (F00-F99);
  • Malattie del sistema nervoso (G00-G99);
  • Malattie dell’occhio e degli annessi oculari (H00-H59);
  • Malformazioni e deformazioni congenite, anomalie cromosomiche (Q00-Q99);
  • Sintomi, segni e risultati anormali di esami clinici e di laboratorio, non
  • Classificati altrove (R00-R99);
  • Cause esterne di morbosità e mortalità (V01-Y98).

 

La mappatura è proseguita attraverso un processo di client matching tra i codici fiscali e le categorie diagnostiche, individuate come maggiormente invalidanti e croniche (paralisi infantili, spettro autistico, anomalie cromosomiche, ecc.), escludendo quindi disturbi specifici dell’apprendimento e le patologie prettamente sanitarie (diabete, oncologiche, ecc.).

Il criterio che ci ha guidato nella selezione è stato quello di cercare di individuare quelle condizioni di disabilità multifattoriali che non trovano immediata risposta in una branca specialistica, ma che necessitano di supporti di tipo sociale, socio-sanitario e sanitario all’interno del paradigma interpretativo bio-psico-sociale. Situazioni spesso molto onerose in termini di risorse dei caregiver famigliari.

In relazione alla nostra popolazione di circa un milione di abitanti, il dato che abbiamo rilevato è stato di circa 100 famiglie potenziali fruitori della Procedura IDEA, che è poi stato confermato negli anni per le diverse classi di età via via considerate. Un numero su cui ci è sembrato possibile strutturare una progettualità con le risorse date, cercando di sfruttare le possibili sinergie operative.

 

L’approccio metodologico

Il modello utilizzato è stato quello che gli anglosassoni definiscono Multi Agency Approach, che noi italiani traduciamo come lavoro di rete.

L’approccio multi istituzionale discende dalla consapevolezza che, di fronte a situazioni complesse come le situazioni sopra descritte, sia imprescindibile creare una rete di supporto capace di coinvolgere le diverse istituzioni e professioni. Nel caso specifico, ad esempio la ASL (Servizi per persone fragili, Medici di base, Medicina legale, Servizi centrali, Osservatorio Epidemiologico), l’Azienda Ospedaliera (Unità Operative di Psichiatria e Neuropsichiatria Infantile), gli Ufficio di piano (Comune, Servizi sociali specialistici e di base), organizzazioni del Terzo settore (Associazioni di famigliari, Associazioni di volontariato, ecc). Con la riforma sanitaria lombarda1le funzioni di ASL e AO sono confluite in due nuovi soggetti: l’Agenzia per la Tutela della Salute e l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale.

La procedura attuata ha poi trovato nelle finalità perseguite conforto nella legge di riforma regionale 23/2015 nell’art. 9 e ancora più specificatamente nella delibera quadro sulla cronicità (DGR 4662/2015) e i recenti decreti applicativi (DGR  6164 e 6551/2017), dove viene stressato il concetto di approccio proattivo del servizio sanitario nei confronti dei pazienti con patologie croniche e nella stratificazione della domanda , pur con le dovute specificità essendo in questo caso il target di popolazione giovane e in attesa di ulteriori specifiche normative per le condizioni di disabilità.

Uno degli aspetti fondamentali della procedura, è stato quello di escogitare una modalità di intercettazione e aggancio di questo target di popolazione in situazione di un potenziale bisogno: famiglie che, seppur consce dei propri bisogni, alle volte trovano difficoltà ad esprimerli e tradurli in domanda, per sfiducia o per mancanza di sufficienti informazioni in merito ai servizi. Volevamo quindi cercare di agganciarle prima del compimento della maggiore età. Sapevamo che, stante la severità delle patologie di cui stavamo trattando, probabilmente queste famiglie avevano conosciuto i servizi territoriali, ma, come poi abbiamo verificato, spesso li avevano abbandonati con l’età adolescenziale dei propri figli.

 

Questione di governance

Si è reso necessario strutturare per ogni territorio una “cabina di regia” del progetto che svolgesse le funzioni di governance e di monitoraggio della procedura. A questa struttura formalizzata con la delibera di ASL Milano 1 n.703 del 2 dicembre 2011 partecipavano i rappresentanti delle strutture sopra riportate per competenza.

Alla cabina di regia, a inizio anno, veniva fornito l’elenco dei nominativi dei giovani diciottenni individuati per singolo ambito territoriale, con il compito di verificare quali fossero le situazioni già note e in carico in particolare alla Neuropsichiatria Infantile (NPI)e ai Servizi sociali di base (SSB).  L’esperienza ci ha detto che mediamente il 50% delle situazioni risultava sconosciuto, a causa di dimissioni precoci, trasferimenti di residenza e altre motivazioni.

Per le situazioni non note, che non risultavano in carico, si procedeva per il tramite della Commissione di Prima Istanza, per l’accertamento delle invalidità civili, dove l’operatore sociale presente intercettava la famiglia.

Ai famigliari contattati in fase di dimissione dal servizio di NPI se in carico, o dal SSB o dall’operatore sociale della commissione invalidi, veniva proposto un “contratto” in cui si offriva un assessment socio-sanitario, una valutazione funzionale e un accompagnamento all’interno della rete dei servizi, con un aiuto per la costruzione di un progetto di vita anche a lungo termine.

Il Distretto sociosanitario ASL e l’Ambito sociale riconoscendo l’importanza della funzione dell’operatore sociale, fornivano infatti la disponibilità di operatori, rispettivamente del Servizio Fragilità e del SSB, che costituivano l’Unità Operativa, individuando tra uno dei due componenti il case manager per la singola situazione personale. Tale  figura è stata  introdotta per facilitare e aiutare  i familiari/Amministratore di sostegno dei giovani  con disabilità, ad orientarsi nel mondo dei servizi per l’età adulta:  ad esempio a confrontarsi sul piano dell’inserimento in un servizio diurno per adulti e con la tematica della tutela giuridica; con l’utilizzo di servizi come i consultori famigliari, in cui trovare supporto per le dinamiche famigliari spesso affaticanti; nell’inserimento in gruppi di auto-mutuo-aiuto; nel confrontarsi con il medico di base per i bisogni sanitari e con lo psichiatra per la eventuale presa in cura farmacologica; nel trovare progetti sul territorio che favoriscano e mantengano l’inclusione sociale, che supportino la famiglia nel ruolo di caregiver.

 

Un ruolo chiave

Il Case Manager (CM) è il riferimento della persona disabile e della sua famiglia, se ne prende cura favorendo la creazione di percorsi di accoglienza e di orientamento verso la rete di servizi necessari per la realizzazione di un progetto di vita personalizzato. È compito del CM garantire l’unitarietà per la persona, realizzando programmi non settoriali e circoscritti, ma fortemente integrati (sanitari, sociosanitari e sociali).

Il CM può svolgere al meglio la propria funzione, in quanto deriva la propria autorevolezza, dall’essere incaricato nel ruolo dalla cabina di regia, dove sono presenti anche i livelli gerarchici superiori (direzione distretto s.s. e direttore ufficio di piano)

Per diverse situazioni, si è supportata la figura del CM con psicologi esperti nella valutazione funzionale, proprio perché in questa fase della vita molte famiglie si trovavano prive di riferimenti, con diagnosi cliniche alle volte antiquate e non aggiornate, inutili per una progettazione individualizzata.

Il percorso attuativo della procedura Idea è stato sviluppato in modi differenti nei vari distretti, anche se l’idea progettuale è stata condivisa in tutti territori, pur avendo una storia di servizi, risorse e di rete propria, creando una rete modulare con specificità per ogni territorio e una regia generale a livello di ASL.

La procedura ha dato l’input per l’avvio di nuove progettualità, come ad esempio percorsi legati alla vita autonoma, in collaborazione con le associazioni territoriali, il terzo settore e tutti gli attori della rete, ha inoltre fatto emergere nuovi bisogni legati a un bacino di utenza poco conosciuta, e alle volte tutelata, nonché riferito alla disabilità lieve che spesso non trova risposte e collocazione nei servizi esistenti.

Complessivamente negli anni dal 2013 al 2016, sono state seguite 269 famiglie: 69 nel 2013; 57 nel 2014; 79 nel 2015; 64 (dato provvisorio) nel 2016.

Nel corso del 2017 la procedura è stata presentata a tutti i direttori socio-sanitari delle Asst e siamo in attesa di ulteriori sviluppi sui nuovi territori confluiti nella città metropolitana che copre circa 3,5 milioni di abitanti.

 

Piano d’Azione Regionale (PAR) per le politiche in favore delle persone con disabilità.

DGR 4672/2013, Attuazione PAR.

DGR 4662/2015, Presa in carico della cronicità e della fragilità di Regione Lombardia 2016-2018.

  1. Legge Regionale n. 23 del 11 agosto 2015 “Evoluzione del sistema sociosanitario lombardo” e successive modificazioni e integrazioni.