Riorganizzare i sostegni per i figli


Stefania Sabatinelli | 15 Aprile 2017

Il Disegno di Legge 1473 si propone di delegare il Governo a riordinare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico. Il DDL, presentato dal senatore del PD Stefano Lepri e firmato da cinquanta colleghi, è stato depositato solo un anno dopo l’inizio della legislatura in corso, nell’aprile 2014. Molto tempo è stato necessario perché fosse identificato, tra le diverse proposte pervenute in materia, come testo base per la discussione parlamentare. Ma solo recentemente, a meno di un anno dalla fine di quella stessa legislatura, esso ha ricevuto un inatteso impulso. Nell’ambito dell’iniziativa di lancio della candidatura di Matteo Renzi alle primarie del PD tenutasi al Lingotto di Torino il 10-12 marzo scorso, la proposta è stata infatti assunta come parte del programma.

Il DDL prevede la delega al governo per l’istituzione – entro tre mesi – di un assegno quasi universale, che dunque amplierebbe notevolmente la platea dei beneficiari, aumentandone al tempo stesso la generosità per molti di essi.

 

Importi, limiti di reddito, risorse

La nuova misura prevederebbe importi più generosi nei primi anni di vita, a scalare via via che i bambini crescono, abbracciando però un arco di tempo più ampio delle misure attualmente in vigore. Le famiglie con reddito Isee al di sotto dei 30mila euro avrebbero diritto a un importo medio per ogni bambino di 200 euro mensili dal settimo mese di gravidanza sino ai 3 anni d’età. L’importo scenderebbe a 150 euro mensili tra i 3 e i 18 anni d’età, e a 100 euro tra i 18 e i 26 anni.

La proposta prevede che la misura sia progressiva in termini fiscali, secondo la seguente articolazione: l’assegno sarebbe fruito interamente dai nuclei con reddito Isee sino ai 30mila euro; per i nuclei con Isee al di sopra dei 30mila euro la generosità della misura si ridurrebbe progressivamente, sino ad azzerarsi per i redditi al di sopra dei 50mila euro. La soglia Isee sarebbe innalzata di 5mila euro per ogni figlio presente nel nucleo. Inoltre, la soglia di reddito oltre la quale il figlio giovane non è più considerato “a carico” (e dunque non ha diritto all’assegno) sarebbe innalzata dai 2.840 attualmente in vigore per le detrazioni a 5.000 euro.

Di grande rilevanza è il fatto che il DDL preveda che la misura fosse destinata anche ai nuclei incapienti, ovvero quelli con reddito fino a 8mila euro che, non presentando la dichiarazione dei redditi, sono stati sinora esclusi dalle detrazioni per figli a carico. Si supererebbe, inoltre, anche la seconda linea di selettività propria degli assegni famigliari, quella categoriale, con la doverosa estensione della misura anche ai lavoratori autonomi.

 

Si stima che a regime la misura costerebbe 23 miliardi di euro. Il DDL prevede di recuperarne tra i 16 e i 19 dall’assorbimento e riorganizzazione delle misure esistenti: assegni ai nuclei familiari (6,5 miliardi), detrazioni fiscali per figli a carico (7,5 miliardi), Assegno al terzo figlio e altri benefici non strutturali, escluse le misure destinate a “specifici bisogni, attività o destinatari”, che la delega dovrà individuare. Le coperture necessarie alla messa a regime della misura sarebbero, invece, da reperire attraverso azioni di spending review. Questo elemento di indeterminatezza è oggetto dei lavori della Commissione Finanza del Senato.

Il DDL fa dunque proprio un elemento molto significativo nel difficile orizzonte delle necessarie riforme delle politiche sociali italiane, e in particolare delle misure di sostegno dei redditi famigliari, nel quadro della scarsità di risorse aggiuntive che è possibile mettere sul tavolo. Anziché agire per azioni incrementali, che amplierebbero giocoforza la complessità del sistema nel suo insieme, ci si pone qui l’obiettivo di razionalizzare le misure esistenti, al fine di aumentarne l’inclusività, la generosità e, non ultime, la chiarezza e la trasparenza.

 

Un sistema caotico, da riformare quanto prima

Il sistema italiano di sostegni economici per le famiglie con figli è, infatti, particolarmente frammentato e caotico, e produce paradossali effetti combinati di selettività e ridondanza.

Intanto nel nostro paese non esiste un trasferimento specifico per i bambini a carico delle famiglie, come accade invece in molti paesi europei (il Child Benefit britannico, il Kindergeld tedesco, le Allocations Familiales francesi, che si distinguono in quanto, per una specifica tradizione pro-natalista, sono versate solo a partire dal secondo figlio 1).

L’attuale Assegno al Nucleo Familiare, riformato nel 1988, è versato per diversi profili di familiari a carico, né solo minori né solo figli. Esso prevede un accesso doppiamente selettivo: categoriale, ovvero riservato solo a determinate categorie di percettori di reddito, e in particolare ai lavoratori dipendenti (anche pensionati e disoccupati con indennità) e, dal 1998, ai lavoratori parasubordinati; e sottoposto al test dei mezzi, ovvero destinato solo a lavoratori e pensionati al di sotto di una certa soglia di reddito. Nata come misura assicurativa, dagli anni Ottanta del secolo scorso è aumentato il ricorso alla fiscalità generale per il suo finanziamento, il che rende oltretutto il permanere del criterio categoriale di accesso assai incoerente (Guerra 2011). L’elevata selettività data dal doppio filtro spiega la scarsa copertura della misura (circa 4 milioni di famiglie). Anche la generosità, articolata secondo il livello del reddito familiare, il numero di componenti e l’eventuale presenza di membri disabili, resta piuttosto limitata, nonostante la rimodulazione degli scaglioni e gli aumenti introdotti dal 2007. Per il periodo luglio 2016 – giugno 2017, per un nucleo familiare con due genitori e un minore e senza componenti inabili l’importo dell’assegno varia tra 137,5€ al mese per i redditi sotto i 14.383,37€ e 12 centesimi di euro (!) al mese per i redditi compresi tra 70.881,21 e 70.996,27€, limite oltre il quale l’assegno si azzera (www.inps.it).

All’Assegno al nucleo famigliare si affianca, a ribadire la natura fortemente categoriale di questi strumenti, l’Assegno famigliare, versato a coltivatori diretti, coloni e mezzadri e piccoli coltivatori diretti, e ai titolari delle pensioni delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri).

Nel tempo si sono poi via via aggiunti trasferimenti di natura strettamente assistenziale, come l’Assegno al nucleo con almeno tre figli minori, introdotto nel 1999; la Carta Acquisti o Social Card introdotta nel 2008 e riservata agli ultra-sessantacinquenni e alle famiglie con figli sotto i tre anni d’età con reddito molto basso; e, più recentemente, la Carta Acquisti Sperimentale per i nuclei a basso reddito con figli minori, poi confluita nel nuovo SIA.

Accanto ai trasferimenti diretti, un’importante voce di spesa a sostegno delle famiglie è rappresentata dalle detrazioni fiscali per figli a carico. Il nostro è infatti uno dei pochi paesi europei nei quali una quota rilevante della spesa pubblica per famiglie e bambini – oltre un quarto nel 2011 – viene allocata tramite agevolazioni fiscali (calcoli su dati OECD). Le detrazioni per figli a carico hanno una storia più recente rispetto agli Assegni famigliari, ma nel tempo sono via via arrivate a rappresentare una spesa più importante. Questi due strumenti viaggiano in parallelo, senza alcun coordinamento; fanno anzi addirittura riferimento a due differenti definizioni di unità familiare. Inoltre, come è noto, lo strumento delle agevolazioni fiscali pone diversi problemi. Innanzitutto, in assenza di tassazione negativa sul reddito (prevista solo per la detrazione aggiuntiva di 1.200€ introdotta nel 2008 per chi ha almeno quattro figli a carico), esse escludono gli incapienti, ovvero proprio coloro il cui grado di bisogno è maggiore. Inoltre, il reddito dichiarato ai fini fiscali è ampiamente condizionato dalla diffusione, particolarmente elevata in Italia, di evasione ed elusione. Infine, la tassazione sulle persone fisiche avviene su base individuale, e dunque il reddito fiscale non considera né il reddito né il patrimonio dell’intero nucleo, come è possibile invece fare ricorrendo all’ISEE (Mesini et al. 2016).

 

La riorganizzazione dell’insieme di trasferimenti e detrazioni esistenti verso un sistema più organico e coerente è da lungo tempo suggerita da numerosi osservatori, con l’obiettivo di costruire un sistema al tempo stesso più efficace, più semplice e più equo, al passo con i tempi e con i bisogni che cambiano, e più vicino a quello dei paesi europei con le politiche famigliari più articolate ed efficienti (De Vincenti e Paladini 2008; Mesini et al. 2016). Tuttavia, procedere a riorganizzazioni quando la coperta è corta – ovvero senza la possibilità di reperire risorse aggiuntive se non sottraendole ad altre voci di spesa – espone, come si può immaginare, a qualche rischio. Ricalibrare diritti e criteri di accesso senza introdurre nuovi elementi di ingiustizia richiede grande attenzione e molto lavoro preparatorio. Un emendamento al DDL 1473 ha introdotto una clausola di attenzione a che nessun beneficiario riceva, dopo la riforma, un ammontare inferiore rispetto all’importo complessivo ricevuto sinora assommando assegni, detrazioni e eventuali altre misure. Ma ogni misura in vigore da tempo ha una sua constituency pronta a difendere l’esistente a fronte di innovazioni il cui esito finale appare ignoto in epoca di austerità permanente. Inoltre, il provvedimento dovrà misurarsi con le altre ipotesi in campo, come quella del “fattore famiglia”. Welforum darà conto di come questi temi saranno trattati nella lunga stagione elettorale che abbiamo di fronte.

  1. Con l’eccezione dei residenti nei Territori d’Oltremare francesi, ai quali la misura è versata anche per il primo figlio, benché l’importo sia in questo caso molto limitato.