Su povertà e immigrati, contrapporre o ricomporre?


Emanuele Ranci Ortigosa | 9 Luglio 2018

Come Osservatorio sulle politiche sociali abbiamo come valori e criteri di riferimento l’attenzione e l’effettiva presa in carico dei bisogni e delle attese sociali, la promozione e l’inclusione sociale, per sviluppare una società meno disuguale, più equa, più coesa, più aperta e solidale, grazie all’azione dei vari livelli di governo insieme a quella delle organizzazioni sociali, delle famiglie, delle persone. Una società dove ci si faccia carico, più di quanto è stato fatto, dell’ascolto dei disagi e dei timori relazionali, sociali, economici, ambientali per comprenderli e per attivare adeguate misure di informazione e protezione efficace, soprattutto di chi ha meno risorse e più esposizione a rischi e disagi. Dove anche le esigenze di sicurezza delle famiglie non vengano enfatizzate e sfruttate per aprire e accentuare divaricazioni con effetti di regressione della coscienza e della coesione sociale, ma vengano assunte e trattate su prospettive e con azioni costruttive, individuando e praticando misure concrete rassicuranti insieme a impegnativi percorsi di promozione, mediazione, riconoscimento reciproco, integrazione sociale.

 

In materie di particolare rilevanza sociale la cronaca quotidiana ci offre esempi di approcci diversi con contenuti, modalità comunicative, possibili incidenze sui quali pensiamo valga la pena di richiamare l’attenzione.

Consideriamo due temi di grande rilevanza che sono stati al centro del confronto elettorale e che rimangono al centro dell’attenzione e dell’azione di governo: povertà e immigrazione. Temi diversi ma ambedue complessi e di difficile trattazione, il primo di perdurante drammatica consistenza, come risulta dal recentissimo rapporto Istat, il secondo fortemente ridimensionato nella sua entità dallo scorso anno, ma al centro anche di un duro confronto a livello europeo.

L’approccio con cui vengono prevalentemente gestiti i due temi a livello governativo è molto diverso. Il tema della lotta alla povertà e alla disoccupazione già di per se ha un contenuto valoriale, di equità e promozione sociale, e viene affrontato con una proposta di reddito di cittadinanza coerente a tali valori anche se fragile su aspetti importanti di realizzabilità prossima, che welforum segue con attenzione e proposte. Il secondo tema, l’immigrazione, di fatto viene invece proposto senza ancorarlo a valori, a “buone ragioni”, ad esempio di sicurezza pubblica o di concorrenza impropria sul piano occupazionale con gli italiani, che troverebbero argomentazioni di merito contrastanti, pro e contro. Finisce così per essere assunto come un male in se, da combattere con ogni mezzo, chiudendo i porti per bloccare l’arrivo di altri immigrati, promettendo di cacciare quelli irregolari e presentando tutti i Rom come degli intrusi, da individuare e controllare in modo specifico. Tutto questo tacendo che i dati comparativi fra paesi evidenziano che l’Italia è un paese piuttosto sicuro, che i delitti di anno in anno diminuiscono, e dando di fatto per scontato che la maggior minaccia alla sicurezza venga da immigrati e rom piuttosto che dalle varie mafie organizzate, dai femminicidi, dalla diffusa corruzione, per fermarci a qualche sommario richiamo.

 

Il primo approccio, quello sulla povertà, tende a fare leva su valori di promozione sociale orientati quindi alla coesione e alla solidarietà, il secondo tende a dare per scontata una insicurezza crescente e l’individuazione di chi la produce, che viene additato in modo aggressivo e indiscriminato, alimentando diffidenze, tensioni, fobie. Vie pericolose perché divisive del corpo sociale, su faglie sulle quali per mantenere la tensione e la conseguente presa sull’elettorato si devono di continuo aggiungere nuovi timori e nuovi sospettati (buon ultimo il rilancio della tolleranza zero per i tossicodipendenti), sfruttando spesso anche fattori ancestrali, individuali o diffusi nelle memorie popolari.

Il nemico minaccioso è sempre indicato in una collettività, gli immigrati, gli zingari, una generalizzazione che porta chi ascolta il messaggio a astrarsi dalle sue esperienze personali, dalle relazioni sperimentate, e a considerare anche quelle positive come eccezioni fortunate alla regola generale. Una collettività è anonima, non espone a vedere volti, a incrociare sguardi, a interrogarsi sui propri personali vissuti, a confrontarli, a aprirsi così a storie e situazioni di altri esseri, umani come noi. Il senso di insicurezza viene così alimentato strumentalmente, prescindendo dalle sue ragioni e dai suoi fattori reali (reddituali e ambientali, ad esempio).

 

Connesso all’approccio adottato anche il linguaggio è diverso. Nel primo caso, quello della povertà economica e della disoccupazione, deve costruire consenso sul riconoscimento di fragilità e conseguenti bisogni di sostegno e promozione grazie a interventi complessi e costosi, da rendere credibili malgrado vincoli e necessarie gradualità. E’ un percorso impegnativo, richiede una comunicazione che favorisca la comprensione dei problemi e della esigenza sociale di affrontarli tramite azioni politiche incisive ma sostenibili. E questo, se vi è consapevolezza e senso di responsabilità, richiede impegno e anche coraggio politico.

Nel secondo caso, l’immigrazione, anche la comunicazione può più facilmente giocare su dimensioni emotive, il linguaggio per risultare efficace tende ad essere ad un tempo allarmistico e minaccioso, per tenere al centro dell’attenzione le paure evocate e alimentate e però rassicurare i cittadini che si intende attaccarle e sconfiggerle, che il nemico è ben individuabile, che ci sono soluzioni chiare e semplici e che non si hanno remore a perseguirle senza guardare in faccia a nessuno, né in Italia né in Europa.

 

Più facile giocare il terreno immediato delle paure che quello paziente e impegnativo delle responsabilità, delle attese e delle speranze. E le dinamiche dell’opinione pubblica e del consenso elettorale almeno nel breve termine lo evidenziano e lo premiano. Ma questo non ci esime, ma anzi ci impegna a riflettere sugli effetti anche deresponsabilizzanti e talora devastanti sulla coscienza e sulle relazioni sociali che possono avere messaggi divaricanti, sempre alla ricerca di un conflitto, con un nemico da mettere alla gogna e punire. Come se questo approccio, nella nostra esperienza personale e famigliare, come nella più vasta esperienza dei popoli, potesse davvero generare più tranquillità, serenità, relazionalità.

 

Le analisi delle opinioni pubbliche hanno evidenziato che l’allarme sociale sull’invasione immigratoria, e sulla stessa sicurezza, cresce e raggiunge picchi in corrispondenza delle competizioni elettorali. Evidenziano quindi che in queste occasioni ci sono azioni politiche che non ci si limitano a prendere atto del livello di preoccupazione esistente, per assumerlo e gestirlo, ma lo alimentano e infiammano, utilizzandolo come fattore di allargamento del consenso, incuranti del danno che così si procura alla consapevolezza della realtà effettiva dei problemi e alla convivenza sociale. Le ascese dittatoriali, è solo un richiamo storico, non a caso hanno sempre giocato su questi fattori, spesso purtroppo conquistando ampio consenso, fino ai loro disastri finali.

 

Se siamo a fronte di esperienze politiche e comunicative nuove e incisive è importante non fare finta che niente su questo terreno stia accadendo. Protezione e promozione, timori ansietà e attese fiduciose non possono essere assunte in alternativa, ma vanno comprese e composte al meglio per la crescita della coscienza e della responsabilità sociale e del senso di appartenenza a una stessa comunità, con le sue articolazione e le sue tensioni ma anche con la capacità di affrontarle e governarle nella logica di un interesse generale, quindi di ciascuno e di tutti.

 

Fra le funzioni del nostro Osservatorio, insieme al sistematico quotidiano compito di informazione e commento su scelte, fatti, esperienze rilevanti per le condizioni e le politiche sociali, poniamo anche l’attenzione a tendenze più generali in atto, e al loro impatto su quei valori sociali che abbiamo richiamato in apertura di questa nota.

Pensiamo che in particolare gli attori del sociale, impegnati nelle istituzioni, nelle organizzazioni, nelle professioni, nella comunicazione e nella ricerca, debbano sentire, esprimere e praticare una forte sensibilità ai caratteri delle azioni politiche, attenti agli esiti concreti ma anche alle loro ricadute sulla opinione e la cultura diffusa. Anche le prese di posizione e i comportamenti delle forze politiche, di governo o di opposizione, non possono a nostro parere fare di ogni erba un fascio, tutto appiattire, sempre pro o sempre contro, ignorando differenze specifiche e significative fra politiche e azioni diverse, rispetto al loro esito sociale concreto, ma anche rispetto ai loro effetti sul futuro dell’opinione, dei comportamenti, della cultura, popolari e di governo, del nostro paese.