Tavola rotonda dei Promotori, una sintesi

“Osservare per riorientare le politiche sociali” - Roma, 28 novembre 2017


A cura di Emanuele Ranci Ortigosa | 28 Dicembre 2017

“È sempre un’ottima cosa impegnarsi in una riflessione che cerca di analizzare ed effettuare delle proposte, è l’approccio giusto perché consente a chi deve valutare e immaginare le prospettive di farlo a partire dal dato della consapevolezza. La cosa principale è quindi assumere la realtà nelle sue diverse configurazioni, darle una valutazione e stabilire che su quella base è necessario agire”. Iniziando così il suo intervento a conclusione della tavola rotonda, il Ministro Poletti comprende e condivide l’impostazione che abbiamo dato come Osservatorio a questo convegno, sia nell’approccio generale che nelle modalità di trattazione del contrasto alla povertà e del sostegno alla non autosufficienza e alla disabilità, impostazione che ha raccolto riconoscimenti dai Promotori di welforum.it partecipanti alla tavola rotonda.

 

Come da me proposto, gli interventi espongono prevalentemente orientamenti generali senza entrare in aspetti troppo specifici. Ritrovo significative convergenze con quanto anche da me espresso nella relazione introduttiva. Mi permetto di sintetizzare e riprendere, senza esplicitare le citazioni, dai diversi interventi e anche dalle conclusioni di Poletti: questa legislatura in particolare sul contrasto alla povertà ha realizzato una svolta altamente significativa rispetto alle tradizionali politiche sociali, assumendo la povertà come problema prioritario e trattandolo con interventi non solo di integrazione dei redditi, ma impegnati sull’inserimento sociale e se possibile lavorativo. Nel corso della legislazione sono state fatte molte riforme: oggi e per il futuro bisogna presidiare l’inversione di tendenza ed evitare di ritornare su logiche elettoralistiche e populistiche. REI, Dopo di noi e altre riforme in atto meritano quindi di essere particolarmente monitorate e sviluppate, in particolare nella dimensione nuova dell’accompagnamento e sostegno dei servizi alle persone e famiglie, non ridotte a categorie ma considerate come interlocutori nelle loro specificità. Su questo approccio, che dovrebbe contaminare e riqualificare gradualmente altri interventi, si gioca una grande sfida di innovazione dell’intero sistema delle politiche sociali.

 

Ancora oggi in molte parti del Paese i luoghi dell’integrazione sono in divenire o addirittura assenti. Urge quindi una ricomposizione di politiche e risorse a livello nazionale, nel sociale e con campi ad esso contigui (soprattutto lavoro, sanità, casa, immigrazione), per non proiettare sui territori strategie e azioni divaricanti, e un grande investimento nello sviluppo dei sistemi territoriali di servizi e azioni, nelle componenti sia istituzionali e pubbliche che del sociale, che solo coalizzandosi possono riuscire a rispondere alle impegnative funzioni che politiche innovate necessariamente affidano ad essi. Il terzo settore può essere letto come un grande motore di innovazione sociale in grado di rispondere ai nuovi problemi di emergenza sociale ma, come anche è stato giustamente detto, tutte le nuove forme di attuazione dei principi di solidarietà non devono mai essere utilizzate come alibi per giustificare l’arretramento dello Stato e della responsabilità collettiva nei confronti dei soggetti deboli.

Il welfare italiano fa parti diseguali tra individui uguali e parti uguali tra individui diseguali. Questo non è equo, bisogna ripartire da qui. In Italia c’è anche l’attitudine ad aggiungere dei pezzi ma non a ridiscutere quanto fatto per renderlo più coerente. La discussione deve ricercare compattezza e condivisione, ed effettuare un grande lavoro di costruzione per far sì che nessuno possa impugnare l’idea che c’è qualcuno che vuole assalire le misure sociali, quando si vuole invece disegnare il futuro del nostro Paese su criteri di maggiore equità ed efficacia. Il nostro Paese ha bisogno di un patto di sistema: è necessario dar vita a una sorta di “costituente del welfare” che riesca a mettere in circolo un confronto vero tra gli attori istituzionali e non istituzionali, rispetto a come immaginare e costruire il passaggio da un sistema assistenziale, nato in certe condizioni che oggi non ci sono più, verso un sistema che deve rispondere ai fenomeni presenti qui ed ora. Prospettive così esigenti possono via via sostanziarsi se ancorate ai dati di realtà, a obiettivi definiti, a previsione di strumentazioni e risorse adeguate al loro effettivo perseguimento su tutti i territori.

 

Molti interventi nella tavola rotonda convergono sull’importanza prioritaria dello sviluppo dei sistemi di servizi territoriali. Ne cito alcuni, per evidenziarne la convergenza sul tema: la prossima legislatura si dovrà concentrare sull’infrastruttura dei servizi, ancor prima che sulle misure; si rischia di avere misure importanti con risorse economiche dedicate, ma di non avere la possibilità di arrivare veramente alle persone attraverso i servizi sul territorio e le professionalità; è innanzitutto necessario dotarsi in tutto il Paese di una solida infrastruttura dei servizi; la priorità è l’infrastrutturazione dei servizi in termini di qualità e quantità: in Italia, è stato osservato, vi sono 21 sistemi di welfare con modalità di presa in carico diverse e con professionalità svariate. L’osservazione della realtà attuale, letta assumendo criteri di equità e di efficacia, richiamano il tema dei livelli essenziali, da sostanziare in termini di adeguatezza di risorse organizzative, professionali, economiche e di appropriatezza di interventi per assicurare effettive coperture ai bisogni considerati ed effettivi sostegni promozionali per ridurne o superarne i condizionamenti sulla vita delle persone.

 

Cambiamenti significativi richiedono tempo, pazienza, perseveranza e aggiustamenti continui: si impara facendo, e aggiustando il tiro via via. Il monitoraggio e poi la valutazione sono essenziali, purché non impostati su traguardi impropri e fuorvianti. Condivido quindi quanto in un intervento è stato detto: se ad esempio volessimo giudicare la validità del REI essenzialmente su quanti beneficiari inserisce stabilmente nel mondo del lavoro, faremmo un’operazione impropria perché la sua finalità primaria, sulla quale va valutato, è alleviare la condizione di vita delle famiglie povere. I processi di inserimento sociale e lavorativo sono certamente rilevanti e da promuovere, ma non possono essere assunti come criteri determinanti di giudizio sul REI. Bisogna vigilare perché il nostro Paese ha attitudine a decretare il fallimento di una cosa ancora prima che la cosa abbia inizio. Per fare le cose serve del tempo, soprattutto se bisogna attivare una rete larga o costruire un’infrastruttura, una cultura, un’attitudine.

È necessario essere chiari anche in tema di informazione relativamente all’attuazione delle riforme. Non bisogna ignorare le difficoltà, ma si deve acquisire la capacità di comunicarle. Lo stesso REI è una misura che deve essere legittimata anche attraverso la comunicazione. Nel corso della legislatura e con l’inizio della prossima è assolutamente necessario avere l’avvertenza di mandare i segnali giusti, e in questo obiettivo può collocarsi il lavoro svolto da welforum.it.

 

Ulteriori interessanti contenuti che non hanno trovato spazio in questa sintesi generale possono essere trovati leggendo le sintesi specifiche curate per la redazione da Eleonora Gnan e ascoltando le singole videoregistrazioni allegate, nell’ordine di intervento: Marco Imperiale, direttore della Fondazione con il Sud; Augusto Ferrari, assessore della Regione Piemonte; Claudia Fiaschi, portavoce del Forum Terzo Settore; Gianmario Gazzi, presidente del Cnoas; Francesco Marsico, vicedirettore della Caritas Italiana; Giovanna Ventura, segretaria confederale della Cisl; Stefano Sacchi, presidente dell’Inapp; Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e della Politiche sociali. A tutti il mio grazie!