Come valutare le riforme su disabilità e non autosufficienza


Carlo MamoMaurizio Motta | 14 Dicembre 2023

Si è in attesa che il Governo emani i decreti delegati che devono attuare le due leggi delega di riforma per la disabilità (227/21) e per gli anziani (33/23), ed entrambe prevedono sviluppi dei sistemi informativi e degli indicatori per programmare e monitorare il sistema da allestire1.

Qualunque riforma seria deve includere meccanismi per valutarne i risultati e c’è dunque da sperare che quanto le leggi delega prevedono sul tema sia tradotto in azioni efficaci; come contributo in questo articolo suggeriamo una riflessione centrata sull’assistenza domiciliare per non autosufficienti, a partire da due premesse:

a) I contenuti dei riordini esposti negli articoli citati delle due leggi delega sono molto generici. È dunque necessario precisare meglio “come” si intende organizzare un sistema di monitoraggio dei servizi riformati. Il che implica certo una revisione dei sistemi informativi dai quali estrarre dati, ma prima di questo (ossia prima di sviluppare le fonti delle informazioni) occorre la messa a fuoco delle “domande cruciali da farsi”, di “che cosa è più utile conoscere”, ed anche di “quale forma devono avere gli indicatori più importanti”.

b) Purtroppo il PNRR si limita a prevedere2 questo indicatore “Aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, almeno il 10% della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee), rispetto all’attuale in media tra le diverse regioni italiane di poco inferiore al 5%”.

Questo obiettivo del PNRR, a partire da due sue criticità, sollecita una riflessione che si estende anche al tema proposto al punto a):

  • La prima riguarda il contenuto che considera, perché il PNRR assume che l’assistenza domiciliare in oggetto consista solo nell’ADI. Ma l’ADI quasi ovunque consiste in interventi del medico di medicina generale e di infermieri, ed include pazienti che non sono cronicamente incapaci di svolgere da soli gli atti della vita quotidiana, ed hanno limitazioni solo momentanee (ad esempio per una grave frattura o un infarto in risoluzione, o per terapie antibiotiche endovenose). Perciò lo sviluppo dell’ADI può essere certo utile per ridurre i ricoveri ospedalieri evitabili per molte patologie, ma i dati dei soli fruitori di ADI (che sono raccolti solo tramite il SIAD3) rappresentano molto male i non autosufficienti assistiti al domicilio e il loro rapporto col welfare.
  • La seconda criticità riguarda il modo per misurare, ossia la forma dell’indicatore usato, perché l’obiettivo citato del PNRR è misurato unicamente come “volume di utenti da prendere in carico”. Ma è un dato che non dice nulla sull’efficacia, ossia sui risultati da ottenere. Purtroppo è frequente trovare piani che scambiano due oggetti che invece vanno ben distinti:
    1. Gli obiettivi sostanziali, ossia che cosa si desidera ottenere come “miglioramento di salute/benessere”, da esporre usando un linguaggio che esprima “riduzione dei problemi dei cittadini”.
    2. Gli obiettivi strumentali, ossia che cosa si desidera ottenere come “miglioramento dell’offerta o dell’organizzazione” per raggiungere gli obiettivi sostanziali, da esporre misurando aumenti di fruitori o di prestazioni.

Se ad esempio l’obiettivo è solo “aumentare l’offerta di assistenza domiciliare ai non autosufficienti (come numero di ore e/o utenti) non è scontato a priori che questo produca un “miglioramento di benessere”, e quale. Può essere, ma bisogna spiegare come e perché, e soprattutto come si rileva/misura quel miglioramento di benessere. Ad esempio il miglioramento di benessere si potrebbe identificare come “riduzione del ricovero in RSA indesiderato ed evitabile di disabili e anziani non autosufficienti”.

Lo scopo primario del welfare infatti non è “aumentare gli interventi o gli utenti”, bensì migliorare le condizioni di vita ossia “ridurre problemi”. Invece il risultato atteso espresso come “10% degli anziani che diventano fruitori” è solo un volume di attività non ben correlato ai bisogni reali. Peraltro i dati Istat ci dicono che:

  • i problemi di non autosufficienza sono in aumento, ma con ampie discrepanze regionali;
  • il trend delle limitazioni funzionali riflette quello delle malattie croniche, la cui prevalenza grezza (il totale dei malati sugli abitanti) è in aumento; tuttavia, standardizzando per età (ossia guardando alla prevalenza solo negli anziani) l’entità di tale incremento si riduce, sia per un aumento di incidenza della morbosità cronica nelle sue forme meno severe, sia per un miglioramento della storia naturale di salute degli anziani dovuta anche ad una maggior efficacia della presa in carico4;
  • la distribuzione di limitazioni funzionali è correlata al livello socio-economico: a parità di età, la prevalenza cresce esponenzialmente con l’abbassarsi del titolo di studio.

Purtroppo, l’avvento della pandemia ha intaccato la capacità del SSN di attenuare l’impatto del crescente trend di cronicità5.

Dunque nel prevedere riordini dei sistemi informativi che servano a valutare se le due riforme (per disabili e anziani) produrranno buoni risultati, occorre proporsi di:

  • monitorare se e come si riesce a raggiungere un obiettivo che è fondamentale: la riduzione dei ricoveri in RSA indesiderati, evitabili, inappropriati. Il PNNR propone “la casa come primo luogo di cura”, e “cura” per un non autosufficiente cronico dev’essere il mantenimento delle migliori condizioni di vita. Ma se questo è un obiettivo centrale occorre potenziare un’assistenza domiciliare con molti più sostegni proprio nella tutela negli atti della vita quotidiana (andare a letto ed alzarsi, usare il bagno, mangiare, vestirsi, essere lavati). Come sa bene ogni famiglia che ha un non autosufficiente, ed ogni operatore che li conosce, è la mancanza di questi sostegni che oggi costringe a ricoveri evitabili in RSA, o ad opporsi alle dimissioni dall’ospedale, o a portare per disperazione i non autosufficienti al Pronto Soccorso, o al crollo o impoverimento delle famiglie. Premessa necessaria è anche concordare sul significato di “non autosufficienza”, non più concepita solo come riduzione delle capacità funzionali determinata da una malattia o menomazione, ma come la risultante di una interazione tra condizioni di salute e fattori contestuali (personali e ambientali)6;
  • individuare misure e indicatori mirati a descrivere soprattutto i risultati che il sistema dei servizi ottiene, e non tanto il numero dei fruitori.

Va ricordato che già nel sistema di monitoraggio che il Ministero della Salute utilizza per valutare i LEA nelle diverse regioni ha molto rilievo l’indagine sui ricoveri ospedalieri evitabili, come indicatore di buon funzionamento degli esiti del SSN, ed in particolare dei servizi territoriali7. L’analisi dei ricoveri inappropriati è tuttavia complessa, anche in ambito ospedaliero, perché dai sistemi informativi correnti (le Schede di Dimissioni Ospedaliere, SDO) non è agevole definire un ricovero come inappropriato; sarebbe necessario un audit clinico avendo a disposizione la cartella clinica.

Perciò anche valutare ricoveri inappropriati ed evitabili in RSA è certamente non semplice, e richiede intensa revisione dei sistemi informativi correnti in uso nelle RSA. Inoltre, come intuibile, la valutazione di efficacia dei percorsi assistenziali passa attraverso la possibilità di ricostruire tali percorsi attraverso il legame (linkage) tra diverse fonti informative: procedura non facilmente implementabile nella singola struttura ospedaliera o territoriale, ma da prevedere a livello di governo centrale o regionale, con eventuale delega al trattamento dati verso attori dedicati, ad esempio i servizi di epidemiologia, nel rispetto della normativa per il trattamento dei dati personali. Il lavoro non è semplice, ma se siamo in una fase di riforma del sistema, perché non operare per la valutazione dei ricoveri in RSA evitabili come obiettivo cruciale, senza accontentarsi di indicatori che sono troppo rozzi e non dicono nulla sugli esiti, com’è una percentuale di utenti da raggiungere?

Ecco alcune proposte conseguenti, riflettendo solo su tre delle “domande” da proporsi8 

I ricoveri in RSA scendono o crescono, e perchè?

 A che cosa serve questa informazione?
  • Per chiedersi quali sono i determinanti del ricovero, cioè le cause da ridurre: aggravamenti della non autosufficienza? Minori risorse delle famiglie? Limiti dell’assistenza domiciliare?
  • Per monitorare i trend del volume dei ricoverati ed il flusso dei nuovi ricoverati nell’anno. E per dedurne stime sui fabbisogni di posti letto
Come costruire l’informazione?

Un indicatore dovrebbe includere tutte le situazioni qui indicate al numeratore:

 

X + Y + Z

——————————————————————————— per 100               dove:

Tutte le persone che nel periodo potevano essere ricoverate

 

X = ricoverati in posti con parte della retta a carico dell’Azienda Sanitaria, inclusi i ricoverati fuori dal suo territorio (ad esempio in altra ASL) ma da esso provenienti.

Y = ricoverati a totale loro carico inclusi i ricoverati fuori dal territorio ma da esso provenienti.

Z = in lista d’attesa per il ricovero (depurati della % di richieste che hanno un presunto scopo solo cautelativo)9

E dove il denominatore può consistere in:

  • tutte le persone di pari età di quelle al numeratore, se si cerca un tasso dei ricoverati sui residenti;
  • tutti le persone valutate non autosufficienti (ad esempio in UVG), se si cerca un tasso dei ricoverati solo rispetto ai non autosufficienti

Utile costruire l’indicatore con riferimento sia alla prevalenza dei casi (al numeratore “tutti i ricoverati presenti”) che all’incidenza (al numeratore solo i “nuovi ricoverati nell’anno”). E se possibile esporre i volumi dei ricoveri articolati per loro cause prevalenti.

Che cosa migliorare?

Per costruire l’indicatore sono necessarie migliorie ai flussi informativi sui ricoverati:

  • FAR10 non include i ricoverati con spesa a totale loro carico, che sono in crescita in alcune regioni.
  • La scheda ISTAT (che ogni RSA annualmente compila) include tutti i ricoverati, ma non individua i ricoverati fuori da un territorio perché non registra la loro provenienza.
  • Sulle “cause del ricovero” FAR prevede di registrare la motivazione, con 5 possibili motivi che meriterebbero miglioramenti11. Invece la scheda ISTAT prevede i “motivi di ingresso” in struttura soltanto per i minori.

È l’assistenza domiciliare che fa diminuire i ricoveri in strutture residenziali?

 A che cosa serve questa informazione?

Ad indagare se all’aumento delle offerte di domiciliarità corrisponde una riduzione degli inserimenti in struttura residenziale. Ossia a cercare un proxy di efficacia “macro” della assistenza domiciliare come alternativa al ricovero.

Come costruire l’informazione?

Confronto in anni successivi dell’incidenza di utenti che richiedono (o entrano) in assistenza domiciliare (ossia nuovi nell’anno diviso totale dei residenti di pari età) con quella analoga di chi richiede ricovero; per valutare se al crescere della percentuale di non autosufficienti sui residenti che entrano in assistenza domiciliare corrisponde diminuzione dell’incidenza di quelli che richiedono residenzialità. Tuttavia:

  • Chi “chiede ricovero o è ricoverato” va conteggiato come nel precedente paragrafo 1).
  • Un presupposto del confronto è che la popolazione dei ricoverati sia analoga a quella degli assistiti a domicilio, e dunque che la domiciliarità sia una alternativa alla residenzialità per persone comparabili quanto a non autosufficienza ed esigenze assistenziali.
  • Assumere un legame causale tra “aumento della domiciliarità” e “riduzione del ricovero” può contenere presunzioni non fondate: una diminuzione delle richieste di ricovero può derivare anche da altre cause, come lo scoraggiamento per i tempi lunghi in lista d’attesa, o più lente autorizzazioni delle ASL a pagare la quota sanitaria.
Che cosa cercare di migliorare?
  • L’offerta di servizi domiciliari è enormemente diversa tra i territori, in genere articolata in ADI (a cura del SSN e descritta nel flusso SIAD) e in assistenza domiciliare dei servizi sociali, di norma definita SAD. Occorre dunque una ricomposizione informativa dei fruitori non autosufficienti di assistenza domiciliare.
  • Confrontare popolazioni in struttura e al domicilio con bisogni comparabili richiede di uniformare la rilevazione dei bisogni e patologie nei flussi SIAD, FAR e nella scheda ISTAT sui ricoverati (in FAR non si rilevano le patologie).
  • Presentare i dati dei richiedenti/fruitori di assistenza domiciliare e dei ricoverati in serie storiche comparabili (incidenza e prevalenza, riferiti allo stesso territorio di origine).

Quando l’assistenza domiciliare è più efficace? Quanto dura e perché finisce?

 A che cosa serve questa informazione?

Ad indagare:

  • Quanto, quando e perché la domiciliarità non evita il ricovero in struttura residenziale, ma è solo una fase che lo precede, che poi “non regge” nel tempo.
  • Durata della permanenza in assistenza domiciliare, e tassi di uscita (per decesso o altro evento) possono suggerire giudizi di efficacia, se si ha evidenza che l’assistenza domiciliare ha effetti positivi quando ha maggior durata per specifiche tipologie di utenza.
Come costruire l’informazione?
  • Una fonte potrebbe essere l’analisi dei ”motivi di chiusura” degli interventi domiciliari, per interrogarsi su quali cause con più frequenza conducono ad una situazione nella quale l’assistenza al domicilio diventa insufficiente innescando una richiesta di ricovero: dall’aggravamento delle condizioni dell’utente, al crollo delle capacità di assistenza dei familiari (per fatica e stress, per impoverimento).
  • Sull’efficacia dell’assistenza domiciliare incidono diversi fattori concomitanti, che possono mutare nel tempo: le condizioni dell’utente e dei familiari, le variazioni anche indesiderate delle prestazioni, la ricezione di altri interventi non sociosanitari. Il tentativo di mettere in relazione “le condizioni dell’utente” con “l’efficacia dei diversi interventi” non deve perciò essere rozzo, e richiede:
    • la registrazione nel sistema informativo che gestisce gli utenti delle diverse variabili citate (condizioni dell’utente, del suo contesto, prestazioni attivate) nonché la loro storicizzazione nel tempo;
    • l’utilizzo di metodiche fondate su analisi multifattoriali, capaci di isolare le relazioni significative escludendo i fattori confondenti.
  • Potrebbero essere costruite, mixando diverse fonti, anche differenze di ricovero ospedaliero (e/o di mortalità) tra non autosufficienti fruitori di assistenza domiciliare e non fruitori, con patologie equivalenti12.
Che cosa cercare di migliorare?
  • Registrare nei percorsi di assistenza domiciliare diversi “motivi di chiusura” dell’intervento, abbinabili alle prestazioni ricevute ed alle eventuali variazioni della non autosufficienza (come un aggravamento ricavabile da una rivalutazione in UVG). SIAD e FAR registrano “motivi di chiusura” degli interventi e rivalutazioni; mancano flussi sistematici di analoghe informazioni nei SAD, ed elaborazioni che restituiscano letture sul tema.
  • Il riconoscimento dei determinanti dell’accesso (le cause) a pronto soccorso e ricovero di pazienti provenienti da ADI13
  • Le diverse forme di intervento assistenza tutelare al domicilio (assegni di cura, buoni servizio, contributi alla famiglia che assiste, affidi a volontari) non ovunque sono attive, e non sono registrate in SIAD, ma solo nei sistemi locali dei servizi sociali.

 

È dunque cruciale muovere verso l’unificazione/interoperabilità dei sistemi informativi. E per contro merita evidenziare tra l’altro che nel Fascicolo Sanitario Elettronico (come descritto dal decreto Ministero della Salute 7/9/23) non è prevista alcuna informazione:

  • Mirata alla condizione di non autosufficienza (ad esempio le valutazioni in UVG)
  • Che includa problemi, trattamenti, accessi dei servizi socioassistenziali

Infine è opportuno ricordare che:

  • Una alternativa all’uso di dati gestionali, o meglio una loro integrazione utile, è prevedere anche appositi follow up (analisi dei casi) che verifichino gli esiti dopo un periodo di assistenza domiciliare.
  • Come in tutti gli interventi per le persone/famiglie in sofferenza, è utile abbinare a sistemi che rilevano dati anche modalità che raccolgono giudizi e vissuti, sia di utenti che di operatori, perché hanno un patrimonio di conoscenze non strutturate che derivano delle esperienze. Il sistema informativo deve perciò tentare di rendere patrimonio capitalizzabile anche le conoscenze più empiriche ed esperienziali da non perdere; ossia alimentarsi non di sole “statistiche”, ma anche di “storie”.
  1. La legge delega per gli anziani lo prevede all’art. 2 (commi 2 e 3) e all’ art. 4 comma  2. La legge delega sulla disabilità all’art. 2, comma 2
  2. Nel Sub investimento M6C1 – 1.2.1 Assistenza domiciliare
  3. Il Sistema Informativo per il monitoraggio dell’Assistenza Domiciliare, che è un flusso di dati tutto interno al SSN.
  4. Salute in Italia e livelli di tutela: approfondimenti dalle indagini Istat sulla salute. Rapporti Istisan 16/26.
  5. Agenas. Impatto dell’epidemia covid-19 sul sistema ospedaliero italiano. Istat 2022.
  6. World Health Organization. International Classification of Functioning, Disability and Health ICF.
  7. L’AGENAS ha presentato il 26/10/2023  la nuova Edizione del Programma Nazionale Esiti (PNE 2023), con report su dati 2022. Si veda qui.
  8. La parte che segue riutilizza parte del capitolo di M. Motta (con la collaborazione di Carlo Mamo e Marco Dalmasso) in “L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. 7° Rapporto 2020/21” , a cura di Network Non Autosufficienza, Maggioli, 2021.
  9. Già valutati in UVG che hanno presentato richiesta di ricovero in RSA, in attesa che l’ASL autorizzi il ricovero assumendosi parte della retta. È corretto considerarli tra i ricoverati poiché lo diventerebbero se vi fosse la disponibilità del posto; tuttavia a volte sono in questa lista anche persone che hanno presentato richiesta a scopo precauzionale, e che rinunciano poi all’inserimento quando il posto diventa disponibile.
  10. FAR è il flusso informativo del sistema sanitario per il monitoraggio dell’assistenza residenziale e semiresidenziale
  11. Sono ad esempio previsti “solitudine”, “alloggio non idoneo”, “altra motivazione sociale”.
  12. Questi due studi dimostrano che questa indagine è possibile e che non autosufficienti che fruiscono di robusti sostegni domiciliari (anche di tutela negli atti della vita quotidiana) evitano ricoveri ospedalieri meglio di chi non ne fruisce: Vedi gli articoli di welforum.it qui e qui.
  13. Campagna et al., Determinants Associated With the Risk of Emergency Department Visits Among Patients Receiving Integrated Home Care Services: A 6-Year Retrospective Observational Study in a Large Italian Region. Int J Health Policy Manag 2020.