Effetti delle (non) politiche


Sergio Pasquinelli | 11 Settembre 2017

Su giovani, poveri e anziani l’estate 2017 ci consegna dati su cui ci si è soffermati poco. Eppure molto eloquenti nel disegnare i cambiamenti che ci accompagnano. Può essere stata la falsa impressione di dati dejà vu, oppure la pigrizia balneare di guardare a cose più facili da capire, e che la cronaca ci ripropone ogni giorno. Fatto sta che su questi dati vale davvero la pena di ritornare, perché ci parlano dell’Italia che stiamo diventando.   Primo. Abbiamo il primato europeo di Neet: giovani che non studiano e non cercano lavoro. I giovani italiani compresi tra i 15 e i 24 anni in questa condizione sono uno su cinque: il 19,9%. Il Rapporto della Commissione Europea “Employment and Social Developments in Europe” pubblicato nel mese di giugno documenta le difficoltà che i giovani incontrano nell’inserirsi nel mondo del lavoro, ma anche le conseguenze che questo comporta: i giovani italiani escono così dal nido familiare e fanno figli intorno ai 31 anni, molto dopo la media Ue che si stabilisce sui 26. Per non parlare del record negativo dei tassi di fecondità, con un numero medio di figli per donna pari a 1,3 contro una media europea di 1,7.   Secondo. La povertà non diminuisce. I dati Istat relativi al 2016 sono stati erroneamente salutati positivamente. Evidenziano infatti una stabilizzazione del fenomeno più apparente che reale, con l’aggravarsi del disagio per diverse categorie di popolazione ed alcune aree del Paese. Otto milioni e mezzo di poveri relativi e quasi 5 milioni di poveri assoluti nel 2016 indicano una situazione molto critica, che non accenna a migliorare. Come afferma Daniela Mesini “l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie si mantiene sostanzialmente stabile sui livelli stimati negli ultimi 3 anni, cresce invece se misurata in termini di individui […]. Aumenta inoltre l’intensità della povertà: l’indicatore che misura quanto i poveri sono poveri, cioè quanto la spesa media mensile delle famiglie povere assolute si trova in media sotto la soglia di povertà, è aumentato di ben due punti percentuali passando dal 18,7% del 2015 al 20,7% del 2016”.   Terzo. Le badanti non aumentano più. I nuovi dati Inps sull’andamento di colf e badanti regolarmente assunte mostra anche per l’anno passato una stabilità del numero delle assistenti familiari. Che non crescono più ormai da quattro anni. Ma i dati Inps dicono solo una parte della verità. Infatti, se il mercato regolare delle assistenti familiari si attesta a quasi 400.000 unità, sappiamo che i lavoratori irregolari, privi di contratto, sono almeno altrettanti, secondo una stima cauta. Difficile allora dire se e quanto il mercato nero stia compensando lo stallo di quello regolare. I segnali che raccogliamo sui territori ci parlano sì di una crescita del mercato non dichiarato, ma a ritmi contenuti, molto contenuti. La verità è che la badante se la può permettere un numero sempre minore di famiglie, e guardando ai pensionati di domani il trend al ribasso e al fai-da-te familiare non potrà che proseguire. Un welfare high cost – altro che low cost come qualcuno si ostina a chiamare – sempre meno raggiungibile dai più.    

Politiche/non politiche

I processi richiamati sono legati a molti fattori. Ma sono soprattutto frutto di politiche parziali, al meglio, o di politiche assenti, più spesso, o ancora di misure fuori target e poco efficaci. Nel caso dei giovani per esempio molte attese sul programma europeo “Garanzia giovani” sono andate deluse. Per la legge di bilancio 2018 il governo sta pensando a una nuova forma di decontribuzione per i giovani assunti a tempo indeterminato. Una “decontribuzione 2.0” riservata ai giovani neo-assunti: si tratta di una misura necessaria, ma per superare il rischio di produrre effetti temporanei (come in precedenza) dovrà assumere carattere permanente. Più lineare si è rivelata la politica di contrasto della povertà di questo governo, con l’istituzione del REI – Reddito di inclusione. Che partirà il primo gennaio dell’anno prossimo e che, per ampiezza e incisività, dovrebbe avere una ricaduta apprezzabile sulla povertà assoluta nel nostro paese. Cosa che dovrà essere attentamente valutata. Quello degli anziani non autosufficienti è l’ambito che ha più fame di riforme, riposando su un sistema di pensioni e di indennità ampiamente obsoleto e iniquo. In un paese dove gli anziani aumentano al ritmo di 260.000 all’anno, e dove la rete dei servizi sociosanitari copre una piccola parte della domanda, il ridimensionamento del fenomeno delle badanti chiude le famiglie su sé stesse, divaricando quelle meno da quelle più attrezzate.    

Due messaggi

Il primo messaggio è che non è utile continuare ad opporre giovani contro anziani. È un tema questo che a volte riemerge: perché la coperta è corta – si dice – bisogna scegliere chi privilegiare. Se stiamo in questa logica non ne usciremo mai. In realtà il tema che abbiamo di fronte è uno e uno solo: come favorire la riproduzione del nostro sistema sociale, una rigenerazione delle possibilità e delle energie che guardi avanti, al futuro e al cambiamento. Dentro questo orizzonte è evidente che i giovani devono diventare ambito di investimento sociale. Oggi non lo sono. Ma non in modo disgiunto dalle altre generazioni. Si pensi al sostegno verso i caregiver, figli che si prendono cura di genitori anziani, la “sandwich generation”, generazioni strette tra genitori e figli di cui farsi carico. In questa logica l’aiuto ai giovani genera aiuto ad altri e i processi diventano intergenerazionali. Il secondo messaggio riguarda la necessità di un lavoro intersettoriale. Se vogliamo affrontare i nodi di una società che invecchia e che fatica a rigenerarsi, dobbiamo smettere di operare per settori e iniziare a lavorare per temi e questioni trasversali. Favorire il passaggio alla vita adulta richiede di mettere in campo cose diverse e di metterle a sistema: un sistema formativo che si leghi di più col mondo produttivo, politiche per l’occupazione, per la casa, per la conciliazione dei tempi. Il contrasto della povertà non consiste solo in sussidi ma chiede alle persone di attivarsi, dentro progetti che devono nutrirsi di sostegni diversi, di alleanze tra attori che magari non si sono mai parlati, perché appartenenti a “settori” separati. Affrontare questi nodi con la tradizionale organizzazione pubblica a canne d’organo, ciascuno con propri processi decisionali e proprie risorse, significa non aver capito la gravità dei processi che stiamo attraversando.