I LEP sono diritti esigibili dai cittadini, e doveri per i servizi?


Maurizio Motta | 6 Dicembre 2023

I livelli essenziali delle prestazioni (LEP, declinati in LEA per le prestazioni sanitarie e sociosanitarie, ed in LEPS per quelle socioassistenziali) hanno il loro più robusto fondamento nell’art. 117 della Costituzione modificata nel 20211 che assegna allo Stato  la legislazione esclusiva in diverse materie, tra le quali la “.. determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Nella successiva messa in opera di questa disposizione sono emerse molte criticità di vario profilo, che riguardano in particolare i LEA ed i LEPS:

  • Il modo ed i tempi con i quali sono stati definiti: i LEA nel 2001 e poi aggiornati soltanto dopo ben 16 anni nel 20172. I LEPS con un susseguirsi caotico di norme, con la conseguenza di un loro quadro attuale disorganico e frammentato3.
  • Nel testo citato della Costituzione si dispone che i LEP “…devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, e dunque che l’offerta di questi livelli di prestazioni debba essere presente in ugual modo per i cittadini di tutta Italia. Ma uno dei noti problemi attuali consiste nella rilevantissima differenza delle prestazioni sanitarie e socioassistenziali nelle diverse Regioni. Cosicché di fatto le offerte per i cittadini, soprattutto negli interventi per la non autosufficienza sono di fatto solo “livelli essenziali locali”. Peraltro un percorso per introdurre livelli essenziali più uniformi non dovrebbe essere vissuto come attentato all’autonomia regionale, o svilimento della programmazione locale (come invece spesso accade), a meno che si rinunci a priori ad avere LEP nazionali; ma è questo che vuol ottenere chi spinge per un forte regionalismo differenziato?4
  • Nel testo costituzionale ha grande rilievo la disposizione secondo la quale i LEP sono “…concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti”. E’ vero che l’uso delle parole “concernenti i diritti civili e sociali” di per sé non identifica in modo assoluto i LEP come diritti esigibili perfetti. Ma “garantiti” in italiano ha un significato molto preciso, di fruibilità certa e non ipotetica; e sono “diritti civili e sociali” quelli che vanno “garantiti”. Dunque la Costituzione crea una relazione molto stretta tra livelli essenziali delle prestazioni – loro natura di diritti – garanzia di esigibilità.
  • Nella storia dei LEA e dei LIVEAS non sono mancati problemi nella coerenza tra i livelli di prestazioni previsti e la corrispondente dotazione di risorse finanziarie ai governi locali che devono attuarli (Regioni, Aziende sanitarie, Comuni e loro organismi associativi), il che ha costretto spesso i servizi locali (specialmente sociosanitari dedicati alla disabilità e non autosufficienza) a razionare le prestazioni, sino ad introdurre lunghe liste d’attesa.

Alla luce di queste due ultime criticità riprendiamo la domanda del titolo di questa nota proponendo alcune riflessioni.

I LEA e i LEPS sono “strani diritti” in quanto “finanziariamente condizionati

L’esigibilità dei diritti dei LEA è dipendente dalle risorse disponibili per soddisfarli (come prevede l’art. 1 del D. Lgs. 229/1999), è ciò implica per il cittadino limiti nella possibilità di ricevere ciò che i livelli essenziali prevedono. Questa natura di “diritti finanziariamente condizionati”:

  • deriva dalla necessità di legare l’erogazione di interventi pubblici alle disponibilità finanziarie, evitando che la legge enunci interventi da garantire per i quali non sia poi possibile disporre di risorse reali;
  • ma apre una contraddizione fondamentale: se un intervento è un “diritto esigibile”, sino a che punto deve esistere la discrezionalità delle Amministrazioni che lo forniscono nel decidere che in quel momento l’intervento non è attuabile perché mancano le risorse? Ossia esiste almeno un “nucleo essenziale” dei diritti enunciati nei LEA del quale va comunque sempre garantita al cittadino la fruibilità?

La natura di “diritti finanziariamente condizionati” presenta problemi ulteriori per quanto riguarda i LEPS:

  • contrariamente a questo previsto per il sistema sanitario (dove il Fondo Sanitario copre l’intera spesa del sistema), la legge 328/2000 ha previsto che il Fondo Nazionale per i servizi sociali costituisce solo parte del finanziamento del sistema. La parte residua (e più consistente) va reperita nelle risorse proprie degli Enti Locali, che sono oggetto delle ricorrenti manovre correttive della finanza pubblica, molto variabili nel tempo; e sono risorse il cui utilizzo cambia in base a scelte solo locali (di Regioni e/o Comuni).
  • Che si debbano definire i LEPS in modo subordinato alle risorse finanziarie disponibili è previsto nella legge 328/2000 all’art. 22, c. 2, ed all’art. 20, c. 4 (che prescrive la definizione dei livelli essenziali contestualmente a quella delle risorse da assegnare al Fondo Nazionale per le politiche sociali).

Queste sono tra le ragioni che hanno prodotto un modello di welfare dei servizi sociali (socio assistenziali e sociosanitari in particolare) che rispetto al tema della esigibilità dei diritti propone al momento di fatto “diritti condizionati” e non assoluti e perfetti, ed in particolare molto soggetti alle scelte locali (regionali e comunali) che diventano quelle realmente decisive per dare concretezza alle offerte proposte al cittadino.

È utile fare due esempi concreti di che cosa implica per i cittadini il fatto che l’esigibilità delle prestazioni è subordinata alla disponibilità delle risorse degli Enti che le devono erogare:

 1) Se una famiglia richiede l’inserimento in una struttura residenziale (RSA) di un anziano non autosufficiente, il posto letto in RSA:

  • può essere un posto per il quale è previsto che l’ASL paghi metà della retta (la “quota sanitaria” in posti convenzionati con l’ASL). E se l’utente non è in grado di pagare l’altra metà (la cosiddetta “quota alberghiera”) la paga in tutto o in parte l’Ente gestore dei servizi sociali (Comuni singoli o associati);
  • ma l’ASL (pur in presenza di posti letto liberi) può non avere disponibilità per pagare la parte di retta a suo carico, e dunque colloca l’utente in lista d’attesa. E lo stesso può accadere per l’Ente gestore dei servizi sociali, con l’effetto che l’utente aspetta per ricevere questo intervento (la cosiddetta “integrazione retta” a carico dei Comuni);
  • e dunque se è indilazionabile un inserimento in RSA l’intero costo (quota sanitaria e alberghiera) deve essere pagato dall’utente/famiglia, in attesa delle risorse pubbliche.

2) Se una famiglia richiede un supporto per mantenere a domicilio (con assistenza sociosanitaria domiciliare) un anziano non autosufficiente o un disabile:

  • l’ASL può non avere disponibilità per spendere a questo scopo, e lo stesso può accadere per l’Ente gestore dei servizi sociali, e dunque i loro servizi collocano l’utente in lista d’attesa, con l’effetto che l’utente aspetta (e molto) per ricevere questo intervento.
  • e dunque se è indispensabile attivare una assistenza domiciliare sociosanitaria l’intero costo deve essere pagato dall’utente/famiglia, che deve anche cercarsi gli assistenti familiari, in attesa delle risorse pubbliche.

Ma non è sempre così

Naturalmente, anche al di là di quanto è previsto nell’ordinamento, si potrebbe pensare:

  • che sia ovvio che le prestazioni offerte debbano essere compatibili con le risorse, altrimenti si definirebbero in modo demagogico diritti solo virtuali, che poi non è concretamente possibile soddisfare se le prestazioni sono irrealizzabili;
  • che quindi tutto il welfare pubblico funziona secondo questo criterio, ossia tutte le prestazioni sono sempre fruibili soltanto se le risorse lo consentono.

Ma queste due possibili obiezioni non trovano riscontro nella realtà. Occorre infatti ricordare che nel welfare pubblico vi sono molte prestazioni che già hanno natura di diritto soggettivo perfetto pienamente esigibile ovunque, per le quali dunque le Amministrazioni non possono dilazionare o evitare l’intervento motivando con la scarsità di risorse quando i cittadini che ne hanno i requisiti. Ad esempio:

  • le prestazioni di integrazione del reddito erogate dall’INPS come l’assegno sociale, le maggiorazioni delle pensioni e le loro integrazioni al minimo (che nel loro insieme costituiscono di gran lunga la maggior spesa pubblica contro la povertà), oppure gli assegni a famiglie povere con nuovi nati (istruiti dai Comuni ed erogati dall’INPS), o l’assegno unico e universale per i figli a carico, o le riduzioni tariffarie sull’energia elettrica e sul gas connesse all’ISEE;
  • si potrebbe obiettare che trattandosi nei casi citati di semplici trasferimenti in denaro è più facile prevedere l’erogazione senza dilazioni o dinieghi. Ma nel welfare esistono molti altri interventi con natura di diritto esigibile che non consistono solo in trasferimenti monetari bensì in servizi, come la fruibilità della scuola dell’obbligo al momento del suo inizio (e non all’esaurimento di una lista d’attesa), oppure gli interventi degli Enti gestori dei servizi sociali nei casi di rischio o pregiudizio per i minori. O in ambito sanitario il diritto ad avere un medico di medicina generale, le vaccinazioni obbligatorie, un ricovero ospedaliero urgente. Se le amministrazioni rispondono a queste richieste del cittadino negandole con la motivazione di non avere risorse sufficienti, basta un ricorso (e non necessariamente tramite la magistratura) per ottenere l’intervento.

Sono quindi già operanti (e da molto tempo) prestazioni e servizi pubblici, anche complessi e con l’impiego di risorse umane, che hanno natura di diritti pienamente esigibili. Perciò non esiste una impossibilità assoluta a garantire livelli essenziali con questa natura anche in altri LEA e LEPS, quanto un ritardo storico delle politiche italiane a questo riguardo, in particolare per gli interventi su disabili e anziani non autosufficienti.

Ma che c’entra questo con i LEA e i LEPS? C’entra perché se ci si abitua al fatto che non è possibile garantire almeno un set minimo di interventi che siano sempre esigibili, ossia almeno un “nucleo essenziale” di diritti enunciati che siano davvero garantiti, meglio sarebbe uscire dall’ipocrisia attuale e derubricare i LEP da diritti soggettivi (rango che la Costituzione oggi gli attribuisce) a più modesti “tentativi di richiesta” del cittadino, a “diritto a chiedere ma non necessariamente ad avere”. Ma così il welfare pubblico abdicherebbe alla sua principale missione di garantire un livello minimo di risposte a bisogni importanti dei più fragili.

Sul tema è tra l’altro per lo meno bizzarro rilevare che per tutte le prestazioni (sanitarie e sociosanitarie) tutti gli articoli del dPCM sui LEA (12/1/2017 n° 15) si esprimono con queste parole “Il SSN garantisce…..” . E “garantisce” ha significato inequivocabile.

Sulla “strana natura” dei diritti finanziariamente condizionati, in quanto lesivi dell’esigibilità per il cittadino, merita ricordare che vi sono sentenze del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale che dichiarano illegittime leggi regionali laddove subordinano alla disponibilità di bilancio servizi definiti essenziali. Ad esempio la nota pronuncia della Corte n. 275/2016 in tema di diritto all’istruzione di persone con disabilità5, dove la Corte sostiene che “La natura fondamentale del diritto (…) impone alla discrezionalità del legislatore un limite invalicabile nel rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati”. Perché l’equilibrio di bilancio va correttamente inteso nel senso che “(…) è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio e non l’equilibrio di questo a condizionare la doverosa erogazione delle prestazioni per realizzarlo”. E altrove la Consulta ha evidenziato che il finanziamento connesso all’erogazione dei LEA va garantito in quanto “costituzionalmente necessario6.

Tuttavia la Corte Costituzionale ha assunto sul tema anche sentenze di orientamento molto diverso, valorizzando la necessità di subordinare le prestazioni alle risorse disponibili7.

Il cuore del problema resta dunque la definizione chiara (e con effetti operativi concreti) di quale sia il nucleo essenziale delle prestazioni/diritti da garantire e da non subordinare aprioristicamente ai limiti di spesa.

Diritti a quali prestazioni?

Per molte prestazioni sociosanitarie l’offerta reale, ossia la sostanza concreta del diritto che tutela il cittadino, dipende molto dal “modo” con il quale la normativa descrive gli interventi da garantire, ossia dal fatto che siano previste quantità adeguate di intervento, e tempi certi di fruizione. Ad esempio:

  • la possibilità di far permanere al proprio domicilio un anziano non autosufficiente o un disabile, dipende dal numero di ore di assistenza domiciliare del quale può fruire (anche se l’assistenza può essere composta di più interventi). Se l’assistenza domiciliare offerta si concretizza solo in un numero limitato di ore settimanali ha efficacia assai ridotta, con l’effetto di non consentire la permanenza al domicilio, o di costringere la famiglia a impoverirsi per pagare in proprio assistenti familiari.
  • la possibilità di fruire di una collocazione in struttura residenziale per un non autosufficiente è concreta nella misura in cui l’attesa per poter entrare in una struttura non è troppo lunga. In caso contrario la famiglia deve arrabattarsi per cercare soluzioni in attesa del posto letto, od impoverirsi per pagare in proprio tutta la retta di ricovero.

I  due esempi illustrano come la definizione di livelli essenziali di prestazioni da garantire (e che il cittadino possa esigere come diritto) è in questo tipo di interventi molto legata alla contestuale definizione sia del volume degli interventi da garantire, sia dei tempi massimi entro i quali l’offerta diviene davvero fruibile.

Sul punto i LEA del 2017 espongono alcuni vincoli su prestazioni sanitarie da garantire precisando sia tempi massimi (ad esempio la presa in carico dei nuovi nati entro il primo mese di vita), sia volumi certi (continuità assistenziale dell’assistenza sanitaria di base per l’intera giornata tutti i giorni della settimana, strutture semiresidenziali per persone con disturbi mentali e con dipendenze patologiche “…attive almeno 6 ore al giorno per almeno 5 giorni la settimana”). Ma mancano analoghi standard su tutte le prestazioni per i non autosufficienti, da rispettare in ogni Regione come nucleo di diritti. Con la conseguenza di rendere i LEA una mera elencazione di interventi, senza dare sostanza concreta a un minimo tangibile e identificabile di prestazioni da assicurare. Un po’ come se il livello essenziale “istruzione obbligatoria” fosse considerato ugualmente garantito in territori  che prevedano un mese di scuola all’anno oppure solo 9 mesi; o come se il livello essenziale “accesso al medico di medicina generale” fosse comunque ottemperato quando il medico riceve i pazienti un solo giorno alla settimana oppure tutti i giorni.

In conclusione

È molto importante tentare di muovere verso l’eliminazione/riduzione del paradosso dei “diritti finanziariamente condizionati”, almeno  entro:

  • il complesso lavoro in corso per definire i livelli essenziali delle prestazioni come premessa per la crescita dell’autonomia delle Regioni8.
  • i decreti delegati da emanare per attuare le leggi delega di riforma sulla disabilità (22/12/2021, n. 227) e sugli anziani (23/3/2023, n. 33), visto che contengono esplicite indicazioni per un riordino anche dei LEA e LEPS;

È inoltre auspicabile che vengano assunte sentenze in sede giurisdizionale sulla esigibilità di un set di diritti esigibile dei LEP, LEA, LEPS, in particolare sul gravissimo problema della lungoassistenza domiciliare carente per non autosufficienti ed ai disabili.

In caso contrario la costruzione dei LEA, LEPS e LEP in genere rischia di produrre un impianto lontano dal disposto costituzionale, e soprattutto poco utile per dare sostanza ai diritti dei cittadini ed ai doveri delle amministrazioni, mentre questa ossatura fondamentale nel welfare è cruciale, anche per superare le irragionevoli differenze attuali nei diritti di accesso a diversi settori dei servizi pubblici.

  1. Con la legge costituzionale 18/10/2021 n° 3 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”.
  2. Con il dPCM 12/1/2017 n° 15, che ha sostituito il dPCM 29/11/2001. Mentre l’aggiornamento dei LEA era previsto come procedura corrente
  3. Sul tema si veda l’articolo di Franco Pesaresi: Parte I e Parte II. E l’articolo di Michelangelo Caiolfa: Parte I e Parte II.
  4. E lo vuole intenzionalmente o sarà un inevitabile effetto non desiderato? Sul tema si veda l’articolo di Maurizio Motta pubblicato su welforum.it
  5. Una sintesi delle motivazioni di questa sentenza è consultabile qui.
  6. Sentenze n. 62 del 2020.
  7. Si veda ad esempio qui. Un’analisi del bilanciamento tra la garanzia dei diritti sociali e la sostenibile gestione delle risorse finanziarie nelle sentenze della Corte Costituzionale è anche in Caterina Di Costanzo, maggio 2021.
  8. Un interessante articolo sui lavori del Comitato tecnico attivato allo scopo riguarda l’audizione del suo presidente (il prof. S. Cassese) nel settembre 2023 nella 1° Commissione permanente del Senato).