Dieci punti per rilanciare le WISE e l’integrazione lavorativa


Gianfranco Marocchi | 5 Settembre 2023

Questo articolo è frutto del lavoro di ricerca svolto dall’autore per incarico del Consorzio Nazionale Idee in Rete nell’ambito del progetto Europeo B-WISE. Il report completo è disponibile a questo indirizzo. È stato inoltre pubblicato in lingua italiana e con adattamenti al contesto nazionale questo articolo sulla rivista Impresa Sociale, che tratta in modo più ampio i temi qui sinteticamente proposti.

Nell’articolo si utilizza il termine “WISE” (Work Integration Social Enterprises), comunemente utilizzato in ambito comunitario, per indicare le Imprese Sociali di inserimento lavorativo e quindi, prendendo ad esempio il contesto italiano, le cooperative sociali di inserimento lavorativo.

 

Questo articolo rappresenta il capitolo conclusivo del percorso di riflessione sviluppato in questo Punto. Dopo avere analizzato il sistema delle Imprese Sociali di Integrazione Lavorativa (WISE) in Europa si sono comparate le politiche di sostegno alle WISE e il livello di sviluppo del sistema WISE nei diversi Paesi europei. L’Italia si è posizionata a metà classifica, ma all’interno di una tendenza molto chiara di arretramento: da paese che inventò l’inserimento lavorativo, a contesto in cui le WISE sopravvivono tra mille difficoltà in modo un po’ affannato (vedi questo articolo). A fronte di tale situazione, cosa può fare il nostro Paese? Come sostenere il grande patrimonio costituito dalle WISE italiane per rilanciare un sistema imprenditoriale solido e un inserimento lavorativo di qualità?

Un primo insieme di risposte riguarda aspetti culturali e relativi alla narrazione e autorappresentazione del fenomeno; fanno parte di questo ambito:

  • una maggiore attenzione e parsimonia nella scelta di rappresentare il fenomeno attraverso le eccellenze; è vero che dalle buone prassi vi è molto da imparare (e va fatto), ma bisogna evitare che questo porti a pensare che tutte le WISE sono simili alle eccellenze (ci porta a non vedere le questioni aperte) o che possano esserlo con poco sforzo (ha un effetto in ultima analisi scoraggiante sui non eccellenti). Al contrario, va promossa una visione e una narrazione che abbiano al centro una strategia di rilancio e consolidamento del fenomeno dell’inserimento lavorativo nel suo complesso;
  • l’elaborazione di una visione equilibrata del fenomeno delle WISE italiane, evitando due rischi narrativi contrapposti: l’uno, di dare spazio a letture catastrofistiche e depressive che vedono le WISE italiane sull’orlo del tracollo, dimenticando che si tratta di un insieme di migliaia di imprese capaci di superare in questi quindici anni crisi economiche devastanti e di costruire un modello di sviluppo inclusivo di cui beneficiano decine di migliaia di persone, rappresentando quindi un patrimonio prezioso per il nostro Paese; l’altro, quello di ritenere rischiosa e svalutante ogni analisi – come quella qui proposta – che metta in luce anche le aree di criticità, spinti dalla parola d’ordine che “tutto va per il meglio” e che le WISE siano comunque in grado di assicurare con forze proprie il “doppio prodotto” imprenditoriale e sociale;
  • una collocazione equilibrata delle tante strategie in questi anni oggetto di discussione in tema di rafforzamento delle WISE, dalla scelta di puntare maggiormente sul mercato privato alle prospettive di inserimento lavorativo ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 276/2003, dalle joint venture con imprese for profit alle relazioni con la finanza di impatto, e via dicendo. Queste e molte altre strategie non sono oggetto di discussione di merito nel presente contributo e possono senz’altro contenere elementi positivi per talune WISE e pertanto, laddove si ritengano utili, è ragionevole citarle entro piani di sviluppo di WISE, iniziative formative o culturali, ecc.; la deriva che va però evitata è quella di ritenere che tali ricette possano (laddove auspicabili) consentire alle WISE di estrarre in modo stabile dalle attività produttive una quota di risorse tale da consentire contemporaneamente la remunerazione delle funzioni di inserimento lavorativo e la sostenibilità economica di medio periodo.

Ma, al di là di quanto sopra richiamato, si tratta di ragionare quali direzioni provare ad imprimere alle politiche, affinché quanto auspicato in questo contributo possa realizzarsi; di capire come quindi sia possibile tracciare un percorso che, partendo da un adeguato riconoscimento del ruolo delle WISE, porti a dispositivi che sostengano adeguatamente la loro capacità di inserire al lavoro persone svantaggiate; e si tratta di farlo nell’ambito del nostro sistema normativo, facendo leva sui punti in cui può presentare affinità con i contenuti qui proposti.

  1. La prima indicazione è la più scontata, ma è assolutamente prioritaria a partire dalla tradizione normativa del nostro Paese. Gli affidamenti riservati e le convenzioni ai sensi dell’art. 5 della legge 381/1991 e poi i contratti riservati hanno costituito un canale potente di crescita e consolidamento delle WISE nel corso dei decenni. Ancora oggi, molte tra le WISE che giustamente consideriamo eccellenti possono contare su una parte non secondaria di fatturato proveniente da queste forme contrattuali; e comunque non sarebbe difficile individuare, in un confronto tra i diversi territori del Paese, una relazione tra applicazione consistente (anche in anni remoti) degli appalti riservati e lo sviluppo del sistema WISE territoriale. Dal momento che le normative italiane sono assolutamente adeguate sul tema, l’unico motivo per non utilizzarle è l’insipienza politica, in primo luogo delle amministrazioni locali. Dal punto di vista delle azioni di rappresentanza, questa “via italiana al sostegno delle WISE”, il cui effetto è, come si è visto, comparabile agli interventi sul conto economico in uso in altri Paesi, va considerata prioritaria. È invece non fondata (al di fuori di specifici casi di eccellenza) l’ipotesi che un atteggiamento maggiormente dinamico sul mercato (che è comunque di per sé assolutamente auspicabile e va pertanto incoraggiato) possa sostituire l’impatto di un ente pubblico che dimentica le opportunità date dagli affidamenti riservati.
  2. La seconda indicazione è quella di investire nel rilanciare le WISE all’interno degli strumenti di amministrazione condivisa di cui all’art. 55 del Codice del Terzo settore. Le WISE sono oggi (immotivatamente) del tutto marginali nelle esperienze di coprogrammazione e di coprogettazione, mentre le azioni di integrazione lavorativa dei soggetti deboli possono/debbono a tutti gli effetti essere oggetto di uno sforzo congiunto dei soggetti di interesse generale, pubblici e di terzo settore, che operano sul territorio. Il contesto di una coprogrammazione può ragionevolmente essere il luogo ove emerge con forza l’esigenza di rilancio degli affidamenti riservati.
  3. La terza indicazione riguarda le grandi politiche di integrazione lavorativa nel nostro Paese. Già si è sottolineato come – anche in questo caso per insipienza della politica – le WISE siano rimaste marginali nelle grandi politiche che l’Italia ha adottato a tutela delle persone escluse dal mercato del lavoro: Garanzia Giovani, azioni di inclusione connesse alle misure di contrasto alla povertà, PNRR. Anche su questo va concentrata l’azione politica delle WISE. Questo richiede, d’altra parte, una maturazione delle strategie delle WISE italiane, la cui cultura è ancora troppo legata a retaggi “riparativi”, che le portano a concepirsi come porti sicuri di ultima istanza rispetto a forme di disagio molto marcato, piuttosto che come soggetti attivi e propositivi rispetto alle grandi sfide inclusive del mercato del lavoro. Ciò che le WISE già oggi fanno è altamente positivo, ma viene collocato – e, a ben vedere, ristretto, recintato – in una narrazione lacrimosa cara ai media – il tossicodipendente redento, il detenuto pentito, il disabile produttivo – ma marginale rispetto al complesso dei fenomeni di esclusione lavorativa (che riguarda a pieno titolo, per riprendere i temi di cui sopra, anche i NEET, le famiglie in condizione di povertà, ecc.). La narrazione delle WISE italiane potrebbe essere: noi che abbiamo dimostrato la possibilità di fare impresa anche integrando persone con forme di svantaggio molto marcate, siamo, grazie a questa esperienza maturata, soggetto in grado di contribuire ai più ampi problemi di esclusione dal mondo del lavoro; ma questo, onestamente, non è stato un tema così percorso anche dalle stesse WISE italiane. Probabilmente anche l’annosa questione delle categorie di svantaggio, ancora definite da una legge di oltre trent’anni fa in un mondo profondamente cambiato, potrebbe collocarsi più appropriatamente in questo diverso ragionamento, piuttosto che in un approccio teso ad individuare altre categorie altrettanto o più emarginate rispetto a quelle individuate nel 1991.
  4. Ancora, vanno riprese, studiate, comunicate e sviluppate le politiche, talvolta emerse a titolo sperimentale in aree territoriali definite, tese a riconoscere e remunerare i costi dell’inserimento lavorativo, in varie forme, come ad esempio il rimborso di una quota del costo del lavoro di un operatore dell’inserimento lavorativo in corrispondenza di un certo numero di persone svantaggiate inserite. Questo può avvenire, oltre che con un rimborso diretto, con vari meccanismi complementari, potenzialmente già presenti negli istituti diffusi nel nostro Paese. Ad esempio, laddove sussiste un sistema di “dote” che il lavoratore svantaggiato può spendere per inserirsi, considerando l’inserimento in una WISE come un approdo possibile e il costo degli operatori dell’inserimento lavorativo tra quelli su cui la dote è spendibile.
  5. Il riconoscimento dell’inserimento lavorativo da parte dei sistemi di formazione professionale apre un ulteriore e complementare ambito di riflessione. Da una parte, i sistemi di certificazione delle competenze devono diventare capaci di comprendere che le WISE, pur avendo una forma di trasmissione dei saperi non convenzionale, di fatto abilitano i lavoratori svantaggiati, sia dal punto di vista delle soft skills, sia delle competenze professionali; il riconoscimento di questa circostanza può avere come conseguenze l’accesso, da parte delle WISE, a risorse stanziate per la formazione che possono contribuire a sostenere il lavoro di inserimento. D’altra parte, quanto sopra può portare a sviluppare una riflessione interna al mondo WISE che, senza perdere la propria specificità di favorire un apprendimento “in situazione”, potrebbe inserire, in forme compatibili con la propria natura (es. mezza giornata alla settimana) momenti più strutturati di rafforzamento delle competenze delle persone inserite; questo può essere fatto autonomamente, o definendo forme di collaborazione più strette con la formazione professionale.
  6. Anche il funzionamento dei Fondi interprofessionali potrebbe essere coinvolto in questa analisi. I fondi interprofessionali hanno come mission il rafforzamento delle competenze di lavoratori e lo fanno prevalentemente rendendo fruibili risorse provenienti dai lavoratori stessi. Ma se vi sono imprese che predispongono programmi specifici di sostegno a lavoratori particolarmente deboli, avrebbe senso in ottica perequativa che a ciò fossero destinate risorse aggiuntive. Esse potrebbero essere tratte, in via sperimentale, da un bando settoriale dedicato, per poi ragionare su meccanismi di finanziamento strutturali (es. quote di solidarietà tra fondi, quote aggiuntive allo 0.30% o altro).
  7. Sempre nell’ottica di strategie in cui gli interessati si sentano coinvolti, è ragionevole coinvolgere le persone svantaggiate stessein un programma di rilancio come quello qui ipotizzato: infatti, nel momento in cui non prestano solo la propria opera lavorativa, ma sono destinatarie di un’azione che le qualifica e le valorizza, diventa ragionevole chiedere un co-investimento nella propria formazione, ad esempio investendovi ore ulteriori rispetto a quelle lavorative nell’ambito di iniziative come quelle che possono scaturire dai due punti precedenti.
  8. Anche la riflessione, che sta giungendo ad esiti di rilievo, circa i budget di salute fa parte di questi ragionamenti: si sta diffondendo nelle ASL e negli enti locali un approccio all’inclusione di persone svantaggiate (primariamente nel settore della salute mentale, ma non vi sono motivi per non generalizzarlo anche ad altri ambiti) che vede l’integrazione della persona nei suoi aspetti multidimensionali, in ciò comprendendo l’integrazione lavorativa. Sono dunque da promuovere e diffondere pratiche in cui si destinino alle WISE risorse necessarie ad assicurare un inserimento lavorativo di qualità come parte di un progetto complessivo sulla persona, vincendo le possibili resistenze burocratiche.
  9. All’interno di un programma di rilancio complessivo come quello qui enunciato, avrebbe senso chiamare in causa i fondi mutualistici per lo sviluppo della cooperazione: tali fondi, alimentati dal 3% degli utili delle cooperative, hanno interesse a sostenere un’azione che qualifichi la cooperazione di inserimento lavorativo, recuperandone i tratti che le distinguono dalle altre imprese, tratti che, come si è visto, rischiano di essere oltremodo annacquati nell’attuale contesto. Insomma, potrebbe trattarsi di un contributo, interno al mondo delle WISE, per invertire il ciclo dell’impoverimento: così testimoniando l’impegno del mondo WISE su questo fronte, diventa più facile esercitare pressioni politiche su soggetti diversi.
  10. Anche la filantropia istituzionale è chiamata in causa. Forse oggi risulterebbe strano, per una fondazione, destinare risorse al rafforzamento della funzione sociale dell’inserimento lavorativo; ma, d’altra parte, laddove fosse chiarito il quadro politico qui descritto, è possibile chiamare in causa soggetti che in questi anni sono stati così importanti nella sperimentazione di azioni innovative; ed è evidente che politiche come quelle qui auspicate, prima di diventare strutturali e stabili grazie al complesso delle misure qui descritte, dovrebbero passare per fasi di sperimentazione e valutazione, cui le fondazioni potrebbero validamente contribuire.

Ovviamente, tutto ciò non elimina la necessità che le WISE operino al meglio: si rafforzino come soggetti imprenditoriali, costituiscano reti tra loro e con soggetti esterni, investano, adottino tecnologie avanzate e soprattutto, secondo la loro tradizione, rafforzino sempre più il loro legame con la comunità. Ma quello che va considerato con attenzione, tanto dalle politiche, quanto dal mondo WISE, è che oggi l’introduzione dei dieci punti sopra richiamati – che si basano tutti su strumenti e prassi già esistenti nel nostro Paese, che vanno semplicemente diffusi e rafforzati – può far leva su un sistema WISE solido ed esteso: forse non (più) sviluppato come in altri Paesi, ma comunque di assoluta eccellenza e percorso da energie e risorse impensabili, che hanno consentito tra le altre cose di affrontare con resilienza i cicli di crisi economica che ci hanno accompagnato. Ma bisogna al tempo stesso essere consapevoli che l’inerzia – della politica, incapace di vedere il contributo delle WISE e delle WISE stesse, nel momento in cui si perdono in narrazioni e strategie poco pregnanti – ha al contrario come effetto l’erosione del grande patrimonio delle WISE italiane, l’innesco cicli di impoverimento, la diffusione situazioni di sconforto tra gli operatori come quelle prima richiamate, la decadenza delle condizioni di sostenibilità economica. E agire su un sistema dopo averlo degradato nel corso del tempo diventerebbe oltremodo difficile. Le proposte ci sono, è ora di mettersi in moto.


Commenti

Grazie per la riflessione e gli spunti, che, da “cooperatore sociale B” condivido totalmente; mi sembra che in questo contesto manchi del tutto, da ormai troppo tempo una azione politica in questa direzzione, che dovrebbe essere svolta dalle assocazioni di rappresentanza del movimento cooperativo