Solidità del sistema WISE e politiche di sostegno


Gianfranco Marocchi | 21 Agosto 2023

Questo articolo è frutto del lavoro di ricerca svolto dall’autore per incarico del Consorzio Nazionale Idee in Rete nell’ambito del progetto Europeo B-WISE. Il report completo è disponibile a questo indirizzo. È stato inoltre pubblicato in lingua italiana e con adattamenti al contesto nazionale questo articolo sulla rivista Impresa Sociale, che tratta in modo più ampio i temi qui sinteticamente proposti.

Nell’articolo si utilizza il termine “WISE” (Work Integration Social Enterprises), comunemente utilizzato in ambito comunitario, per indicare le Imprese Sociali di inserimento lavorativo e quindi, prendendo ad esempio il contesto italiano, le cooperative sociali di inserimento lavorativo.

 

La genesi della riflessione qui presentata è un tipico caso di serendipity. In un precedente articolo si sono individuati tre modelli di WISE – WISE produttive, WISE sociali, WISE formative – e, nel valutare la pregnanza di tale modello nei diversi stati europei, si è riscontrata un’anomalia: la tripartizione regge nella gran parte dei paesi, ma incontra difficoltà laddove il supporto alle WISE è maggiore. Come mai?

Per comprendere questo dato inatteso si è sviluppata una riflessione che ha investito la relazione tra due elementi:

  1. le politiche di sostegno alle WISE
  2. il grado di sviluppo dell’ecosistema WISE in ciascun Paese

Le politiche di sostegno

Esaminare in forma comparata il livello di sostegno accordato alle WISE pone sicuramente di fronte a difficoltà non facilmente superabili, dal momento che si tratta di confrontare modelli di intervento nazionali tra loro molto diversi, che possono comprendere:

  • sovvenzioni dello Stato o degli enti locali in forma di contributi in conto esercizio;
  • diminuzione del costo del lavoro del personale svantaggiato, degli operatori dell’inserimento lavorativo o di altre figure nella WISE;
  • forme di remunerazione del lavoro sociale, variamente configurate, ad esempio con il rimborso del costo del lavoro degli operatori dell’inserimento lavorativo o con sussidi o “rette” basate sul numero di lavoratori svantaggiati inseriti;
  • benefici fiscali specificamente legati all’inserimento lavorativo o allo status di WISE, che non generano entrate aggiuntive, ma minori spese, che però hanno lo stesso risultato sul conto economico delle WISE;
  • prestiti a tasso agevolato;
  • contributi per investimenti o progetti specifici o altre voci, giustificati dalla natura di WISE dell’ente;

Tutto ciò, senza considerare ulteriori benefici derivanti da supporti da parte di soggetti privati, compresa la filantropia istituzionale. Ora, come comparare queste forme di sostegno così diverse tra loro?

Stante l’estrema varietà delle misure adottate, diventerebbe troppo dispendioso studiare direttamente l’impatto di ciascuna di queste diverse politiche; si è pertanto scelto di agire con una strategia residuale, “per differenza” semplificando il complesso quadro sopra richiamato in una unica domanda: qual è la quota dei ricavi derivanti dalla vendita di beni o servizi prodotti dalla WISE? Specificando, si intende, che i “ricavi delle vendite” sono ad esempio i ricavi derivanti da servizi di pulizia o ambientali, da un bene venduto in un negozio, da pasti forniti attraverso il catering o un ristorante, e così via; ciò che residua, sono di conseguenza proventi che non derivano dalla vendita di beni e servizi, ma da varie e composite forme di supporto a vario titolo godute a riconoscimento del lavoro sociale svolto dalla WISE.

Da questo quadro, nei casi studiati emerge una chiara distinzione tra:

  • Paesi in cui le WISE beneficiano di un sostegno significativo (ad esempio, Austria, Belgio, Francia, Paesi Bassi, Spagna e probabilmente Polonia, anche se i dati sono carenti); in questi Paesi, i redditi derivanti da attività diverse dalla vendita di beni e servizi a clienti privati o pubblici variano nei casi studiati solitamente dal 20% al 50%.
  • Paesi in cui tale regime di sostegno è inesistente o comunque molto limitato (ad esempio, Bulgaria, Croazia, Grecia, Italia, Lettonia, Romania e probabilmente Slovenia, anche se questo caso andrebbe approfondito e valutato). Questo gruppo comprende diverse situazioni, che vanno dai casi in cui vi è una completa assenza di sostegno ai casi in cui esistono forme di sostegno limitate, ma non trascurabili; consideriamo tali i casi in cui la quota di risorse apportate alle WISE da fonti diverse dalla vendita di beni e servizi (e quindi riconducibili direttamente o indirettamente al riconoscimento del lavoro di inserimento lavorativo) non supera il 20%.

L’Italia è inserita in questo secondo gruppo in quanto l’unico beneficio economico stabile e diffuso di cui le WISE godono è rappresentato dalla fiscalizzazione degli oneri sociali; tale misura riduce di più di un terzo il costo del lavoro delle persone svantaggiate ufficialmente riconosciute (circa il 30% dei lavoratori totali), essendo il costo del lavoro una componente che oscilla generalmente tra il 50% e l’80% del totale dei costi, generando così nella maggior parte dei casi un beneficio equivalente ad un contributo di importo variabile tra il 5% e il 10% del fatturato.

Sebbene sia un elemento più difficile da valutare con una equivalente percentuale, va anche considerato che un ricorso intensivo e diffuso ai “contratti riservati” – affidamenti di commesse di lavoro riservate alle WISE da parte di enti pubblici – ha di fatto risultati simili a quelli del sostegno economico. I contratti riservati – nel nostro Paese sono tali le convenzioni ex articolo 5 della 381/1991, che hanno anzi rappresentato negli scorsi decenni un riferimento per il continente europeo, nonché gli affidamenti ex art. 112 del d.lgs. 50/2016 (si rimanda a questo articolo per approfondimenti e comparazioni tra i diversi strumenti), confermati anche dal nuovo Codice dei contratti pubblici in via di pubblicazione nel momento in cui questo articolo viene redatto – sono a tutti gli effetti da includere nelle “vendite di beni e servizi”, per almeno due motivi:

  • garantisce spesso di fatto l’eliminazione dagli aspetti più aspri (e deleteri) della concorrenza di mercato (anche se talvolta non sono assenti elementi di competizione tra WISE), sollevando le WISE dall’impegnarsi in feroci competizioni al ribasso;
  • offre un orizzonte temporale certo per il ritorno sull’investimento, dando una relativa sicurezza che consente di pianificare gli investimenti e quindi rafforzare la WISE.

Nella storia dello sviluppo delle WISE in alcuni Paesi (ad esempio, Italia), questa seconda forma di sostegno è stata più rilevante del sostegno economico diretto; ma, quantomeno nelle fasi in cui ha inciso in modo significativo sui fatturati, ha avuto la medesima funzione di supporto allo sviluppo di un solido ecosistema WISE.

Lo sviluppo del sistema WISE

La seconda variabile considerata è la rilevanza del fenomeno WISE in ciascun Paese. Ancora una volta, pur nella consapevolezza del carattere semplificatorio di questa distinzione e della presenza di casi intermedi, si possono identificare abbastanza nitidamente due polarizzazioni, corrispondenti a Paesi con un sistema WISE forte e Paesi con un sistema WISE debole. 

Nei sistemi WISE nazionali deboli ci sono solo poche decine di WISE e le persone svantaggiate assunte sono poche centinaia. I fatturati sono generalmente minimi (nell’ordine di poche decine di migliaia di euro fino, in pochi casi, a qualche centinaio di migliaia di euro), spesso con la presenza di molti lavoratori svantaggiati in una WISE, circostanza da cui deriva una quota di remunerazione pro capite necessariamente assai limitata; la struttura aziendale è debole, il gruppo dirigente è lo stesso da decenni perché diventa difficile trovare sostituti, e, in generale, il gruppo di lavoro è composto o da una “vecchia guardia” fortemente motivata ma un po’ stanca o da giovani che fuggono alla prima occasione. D’altra parte, in sistemi nazionali di WISE forti, troviamo migliaia di WISE, decine di migliaia di lavoratori svantaggiati e di altri lavoratori. Sebbene anche in questi Paesi ci siano WISE (magari molto dinamiche) di piccole dimensioni, è anche facile trovare, in diverse parti del Paese, WISE con fatturati di diversi milioni di euro, investimenti consistenti, alti livelli tecnologici, team di alta qualità – la WISE è considerata attrattiva per professionisti e giovani generazioni – e remunerazioni contrattuali piene a lavoratori svantaggiati e altri operatori, inserimento lavorativo di qualità.

Naturalmente, questa classificazione richiederebbe l’introduzione di variabili più raffinate, ad esempio confronti con la dimensione della popolazione, con la numerosità della popolazione target o con il costo della vita di ciascun Paese. Ma, in sede di prima analisi, una presenza di differenze come quelle sopra evidenziate non lascia molti dubbi sull’identificazione dei sistemi WISE forti e deboli. Questo non deve assolutamente essere considerato un giudizio di valore sulla capacità o incapacità delle persone coinvolte. Al di là delle differenze dimensionali, è facile trovare in tutti i Paesi persone che spendono tutte le loro energie e le loro vite con impegno e dedizione per migliorare la condizione delle persone svantaggiate. Ma questo non esime dal notare che le differenze esistono e sono significative.

Il risultato

Confrontando queste due variabili, l’esito è quello di una evidente corrispondenza, nitida e diretta, tra Paesi con politiche di supporto all’inserimento lavorativo sviluppate e sistemi nazionali WISE forti; e quindi, tra sistemi nazionali con politiche di sostegno all’inserimento lavorativo minime o inesistenti e un sistema WISE nazionale debole.

La posizione precisa di ciascun Paese all’interno di un quadrante è casuale; una versione più precisa di questo grafico richiederebbe un’analisi più approfondita. L’esatta collocazione di Polonia e Slovenia va approfondita con la raccolta di ulteriori dati.

 

Un sostegno pubblico che integri i ricavi (o abbatta i costi) in misura del 25% – 40% non fa venire meno la natura di impresa, non costituisce una perturbazione del mercato, ma determina la possibilità di sviluppare WISE solide con buona qualità imprenditoriale e sociale: con un gruppo dirigente solido, operatori dell’inserimento lavorativo che fanno il proprio mestiere non solo nei ritagli di tempo, attività formative e di presa in carico dei bisogni delle persone inserite ben strutturate, ecc.

In questi contesti, tra l’altro, anche la suddivisione in modelli discussa in questo articolo tende a sfumare: un imprenditore sociale spagnolo o olandese, che guida una WISE in cui lavorano correttamente inquadrate a libro paga centinaia di persone svantaggiate, che fattura sul mercato diversi milioni di euro (e riceve più di un terzo delle proprie risorse a riconoscimento degli interventi di inserimento lavorativo) fatica a comprendere si possa ipotizzare che una WISE “produttiva” (e loro certamente lo sono, visti i numeri come quelli sopra esemplificati) e non “formativa”, dal momento che ritengono normale che le persone svantaggiate svolgano specifiche attività formative strutturate, riconosciute e certificate; e, almeno in alcuni casi, che una WISE possa non essere anche “sociale” nel senso di farsi carico di altre problematiche della persona svantaggiata. È una tale ovvietà che, se non avvenisse, faticherebbero a considerare l’organizzazione una WISE.

In sostanza: quello che in Italia, Paese con un livello di aiuto che, abbiamo visto, si aggira intorno al 5% – 10% rispetto al fatturato, è realizzato – fatte salve alcune decine di eccellenze – “un po’ come si può”, in modo artigianale e contando sulla encomiabile disponibilità di chi alla causa dell’inserimento lavorativo dedica vita ed energie, nei Paesi con un livello di aiuto quattro o cinque volte superiore è una funzione così normale che si stenta a concepire una WISE in cui ciò possa non avvenire. Così come appare strano, in Spagna, chiedere se sono presenti nella WISE degli “operatori dell’inserimento lavorativo” dal momento che nelle WISE più diffuse (i CEE, Centros Especiales de Empleo) è del tutto normale che vi siano e il loro costo è sostenuto dalla mano pubblica in relazione al numero di persone inserite. Nulla di diverso da quanto faceva, per fare un esempio, l’Agenzia del Lavoro di Trento negli anni Novanta del secolo scorso, con risultati encomiabili verificati da ricerche indipendenti o da quanto sta avvenendo oggi nella Regione Veneto, dove si prevede un seppur modestissimo incentivo a funzioni sociali svolte dalle WISE; solo che in Italia, anziché fare tesoro di tali sperimentazioni e diffonderle, o si sono depotenziate o rimangono confinate in specifici contesti locali, mentre altri Paesi europei ne hanno fatto una leva decisiva per il sostegno delle WISE e dell’integrazione lavorativa.

La differenza tra Paesi con politiche di sostegno forti e i Paesi con politiche deboli non è solo relativo ai dati economici e occupazionali, ma anche alla qualità dell’intervento sociale e dell’organizzazione: un livello di aiuto intorno al 30% garantisce la possibilità di remunerare adeguatamente gli operatori e i dirigenti, di assicurarsi, oltre ai formatori, tecnici adeguati che governino la produzione, investimenti su tecnologie – ad esempio su tecnologie assistive che rendano più facile il lavoro delle persone con disabilità e tutto ciò, in un circolo virtuoso, funziona da catalizzatore per poter accedere ad ulteriori risorse, ad esempio dall’Europa, ben disposta a finanziare soggetti di questo tipo.

Al contrario, politiche esitanti generano – prendendo a prestito una calzante espressione di Carola Carazzone – un circolo vizioso dell’impoverimento. Non percependo quanto l’operato delle WISE sia prezioso e privilegiando obiettivi di risparmio a breve termine, le politiche non finanziano (o, con riferimento al caso italiano, de-finanziano rispetto al passato) le WISE, che di conseguenza devono contare solo sulla competizione di mercato per finanziare le funzioni di inserimento lavorativo. Alla ricerca di risorse, le WISE si pongono sul mercato in modo via via più aggressivo nella speranza di guadagnare terreno, ma l’aumento di commesse conseguite a basso costo rappresenta in realtà un nodo ulteriore del circolo vizioso: ci si accorge ben preso che le risorse non bastano e si è costretti a cercare economie – minori salari, minor supporto alle persone svantaggiate – che nel giro di alcuni anni, non appena viene meno lo sforzo straordinario di volontari e operatori ultra-motivati, deteriora la qualità dell’inserimento lavorativo. La percezione diventa a questo punto che le WISE siano soggetti di una qualche utilità sociale, ma che in fondo non facciano cose molto diverse da tante altre imprese dove lavorano ex tossicodipendenti, ex detenuti o persone con disabilità. Se così è, si conclude sul fronte delle politiche, non vi è motivo per finanziare in modo specifico le WISE o per investire su affidamenti riservati, vanno considerate alla stregua di altri operatori di mercato; e di qui il circolo vizioso ricomincia.