Il “dopo di noi” al vaglio della Corte dei Conti


Alceste Santuari | 8 Febbraio 2023

Con la deliberazione del 23 dicembre 2022, n. 55/2022/G, la Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, si è espressa sull’Attuazione delle misure previste dalla legge 22 giugno 2016, n. 112, volte a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare – Fondo Dopo di noi.

La relazione [inserire hyperlink alla segnalazione wf] merita qualche riflessione, in quanto esprime talune osservazioni critiche in ordine all’attuazione della legge n. 112/2016. Come è noto, nelle intenzioni del legislatore, la legge in parola aveva l’obiettivo di individuare e promuovere gli strumenti giuridici necessari a rendere esigibili i diritti contemplati nelle leggi n. 104/1992 e 328/2000. In questa prospettiva, la legge n. 112/2016, a lungo invocata dalle persone con disabilità e dai loro famigliari, costituisce il tentativo di individuare un sistema di regole certe e chiare per i progetti in tema di “durante” e “dopo di noi”1, che tra l’altro permettano di costituire vincoli, legami e networks strutturati e solidi a sostegno delle persone con disabilità, in specie quelle prive di sostegno familiare2.

La novella in parola, i cui riferimenti normativi non possono che risultare profondamente ancorati ai principi costituzionali3, a quelli espressi nelle convenzioni europee ed internazionali4, ruota intorno alla libertà e alla autodeterminazione delle persone con disabilità, che la norma si preoccupa di identificare con precisione5.

In questa cornice, la deliberazione della Corte dei Conti in parola stigmatizza alcune criticità dell’azione statuale a favore dei progetti riconducibili al “dopo” e “durante di noi”. In primis, la sezione di controllo riconosce che la legge interviene prevedendo una serie di modalità innovative e complesse, che avrebbero dovuto essere supportate da una strategia di informazione e accompagnamento dedicata, in grado di raggiungere capillarmente i potenziali beneficiari e, soprattutto, di supportarli nella comprensione del funzionamento e delle potenzialità degli strumenti resi disponibili.

In secondo luogo, la Corte dei Conti sottolinea la limitata utilizzazione degli strumenti di natura privatistica posti a disposizione dalla legge medesima, se raffrontata con la potenziale platea di destinatari.

In terzo luogo, la sezione di controllo rileva come il sovrapporsi di leggi nel tempo abbia determinato una disorganicità del tessuto normativo alla quale dovrebbero porre rimedio i decreti legislativi che il Governo dovrà adottare “per la revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità” (art. 1, comma 1, della legge n. 227/2021).

In quarto luogo, la Corte dei Conti richiama il legislatore a definire con chiarezza e puntualità i livelli essenziali delle prestazioni, soprattutto al fine di superare la frammentazione e la diseguaglianza avvertita nelle diverse Regioni.

È indubbio che – come in altri comparti del sistema di welfare – un elemento di criticità sia rappresentato dalla sovrapposizione e, talvolta, contrapposizione, tra diversi livelli istituzionali responsabili delle azioni e degli interventi, che finiscono spesso per vanificare la bontà progettuale messa in campo dai diversi attori coinvolti.

Anche l’efficace implementazione dei progetti a favore delle persone con disabilità non può che “transitare” da interventi programmatori e cooperativi tra le diverse istituzioni referenti e tra queste e i soggetti non lucrativi, che proprio la legge n. 112/2016 richiama quali soggetti protagonisti della rete territoriale a sostegno dei progetti di “presa in carico”.

I soggetti non lucrativi, a loro volta, possono farsi promotori dell’istituzione del trust per soggetti deboli. Il trust rappresenta una “triangolazione” di rapporti giuridici: il soggetto che istituisce un trust, detto “disponente” (settlor) si affida ad un altro soggetto (trustee), cui trasferisce il diritto sul bene o sui beni, con l’obbligo di amministrarli e gestirli per il/i beneficiario/i individuato/i (persona fisica, persona giuridica, enti di varia natura, altri trust, comunità).  Si tratta di un istituto giuridico che si presta ad essere impiegato per realizzare finalità solidaristiche e capace di rispondere ai bisogni di protezione delle persone con disabilità, conosciuti nel gergo comune come progetti dedicati al “dopo di noi”.

Il tema del “dopo di noi” è divenuto una costante nell’ambito dei progetti a favore delle persone con disabilità e, spesso, rischia di paralizzare il dialogo tra famiglie, servizi socio-sanitari territoriali e ed organizzazioni sociali deputate “sul campo” ad occuparsi della problematica in oggetto.

Sempre di più, esiste una consapevolezza, da parte di tutti gli attori in gioco, che il “dopo di noi” va costruito “durante noi”: i genitori ovvero le reti familiari sono chiamati ad essere protagonisti del cammino verso l’autonomia della persona con disabilità e della creazione di un sistema di opportunità e garanzie a prescindere dalla loro presenza fisica.

Il non poter avere una ragionevole sicurezza circa le varie tappe esistenziali che la persona disabile dovrà affrontare, determina nei genitori e in quanti si devono occupare del futuro delle persone con disabilità sfiducia, distacco e un rapporto fortemente ansiogeno, non più collaborativo con gli interlocutori istituzionali ovvero non profit.

Tutto questo crea tensione e non produce cambiamenti, ma chiusure, regressioni e una forzata ricerca di soluzioni individuali che spesso si rivelano inadeguate, costose e a volte del tutto negative. Da parte dei servizi, i programmi da attivare riguardano in particolare gli itinerari certi di integrazione per poter garantire la presa in carico ed esercitarla attraverso proposte di programmi individuali condivisi, definendo di volta in volta a quali risorse attingere nelle diverse tappe di integrazione. Il piano d’intervento ed ancor più la definizione di ogni modello d’intervento in favore di persone disabili dovrebbe essere condiviso con la famiglia o l’amministratore di sostegno. Inoltre, l’esercizio di tale diritto-dovere ha bisogno di essere supportato da informazioni e sostegno da parte dei servizi.

Il caso del “dopo di noi” – e cioè del futuro da vivere degnamente che deve essere assicurato in caso di assenza ovvero dopo la morte dei genitori ai disabili gravi in senso intellettivo o relazionale – richiede, inter alia, una nuova filosofia di approccio al problema. Non si tratta, invero, di prevedere ovvero di assicurare un futuro qualsiasi, bensì un futuro degno di essere vissuto anche dopo la scomparsa dei genitori: questo è, dunque, l’obiettivo di una corretta impostazione del “dopo di noi”. Un futuro da attendersi da parte dei diretti interessati e delle loro famiglie, non come frutto di provvedimenti assistenziali di carattere sporadico, bensì come conseguenza della titolarità di diritti precisamente determinati, generalmente riconosciuti, e soprattutto, concretamente rivendicabili e praticamente esigibili.

La deliberazione della Corte dei Conti in argomento raccomanda alle autorità pubbliche, nazionali, regionali e locali di sfruttare meglio le risorse previste, anche dal PNRR, per progettare, realizzare e gestire interventi, azioni e progetti che siano efficacemente ed effettivamente indirizzati al benessere di quanti si trovano in condizioni di fragilità.

A questo riguardo, si ritiene che, proprio il livello locale e zonale, possano mettere a frutto gli istituti giuridici cooperativi disciplinati dal Codice del Terzo settore, in una rinnovata dimensione di collaborazione tra responsabilità istituzionali e apporto di innovazione da parte degli Enti del Terzo settore.

  1. Con queste locuzioni ci si riferisce all’esigenza espressa dalle persone con disabilità e dalle loro famiglie di individuare percorsi, iniziative, attività e servizi “a sostegno della realizzazione di un progetto di vita della persona disabile nel presente, quindi solitamente affiancata dai genitori e da altre figure di riferimento, e in prospettiva futura, quando i familiari verranno a mancare”. C. Castegnaro, Diletta Cicoletti, Il ruolo della famiglia nella cura della persona disabile e nella costruzione del “dopo di noi”, in E. Vivaldi (a cura di), Disabilità e sussidiarietà, Bologna, il Mulino, 2012, p. 114.
  2. E ciò anche nella direzione di dare vita a strumenti giuridici che assicurino una “forma di controllo diffuso sul corretto funzionamento dei classici istituti apprestati dal codice civile per la tutela dei soggetti deboli”. Così, E. Vivaldi (a cura di), op. cit., p. 25.
  3. Preme evidenziare che gli interventi oggetto della legge medesima devono considerarsi livelli essenziali delle prestazioni nel comparto sociale, socio-sanitario e sanitario. Cfr. art. 2, comma 1. Nonostante l’art. 22, comma 2 della legge n. 328/2000 abbia individuato gli interventi che costituiscono i livelli essenziali delle prestazioni, soprattutto in ragione della successiva riforma del Titolo V della Costituzione, che ha – inter alia – attribuito alle Regioni potestà legislativa esclusiva in materia di assistenza e concorrente in materia sanitaria, si ritiene che allo stato non esista un elenco positivo di livelli essenziali delle prestazioni sociali, così come invece è per le prestazioni sanitarie (Lea). Pertanto, l’art. 2, comma 2 della legge n. 112/2016 ha previsto che nelle more del completamento del procedimento di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni  di  cui  all’articolo  13  del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (recante “Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, nda), il Ministro  del  lavoro  e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia  e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata  di  cui all’articolo 8 del  decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n.  281, definisce con proprio decreto, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli obiettivi di servizio per le prestazioni da erogare ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, nei limiti delle risorse disponibili a valere sul Fondo di cui all’articolo 3.” In argomento, E. Rossi, I diritti sociali nella prospettiva della sussidiarietà verticale e circolare, in E. Vivaldi (a cura di), op. cit., pp. 29 ss.
  4. Così recita l’art. 1, comma 1: “La presente legge, in attuazione dei principi stabiliti dagli articoli 2, 3, 30, 32 e 38 della Costituzione, dagli articoli 24 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dagli articoli 3 e 19, con particolare riferimento al comma 1, lettera a), della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, é volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità.”
  5. I beneficiari delle misure di cui alla legge n. 112 sono individuati nell’art. 1, comma 2 nelle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale nonché in vista del venir meno del sostegno familiare (…).” Dal novero dei beneficiari sono, dunque, esclusi gli anziani non autosufficienti e le persone con una disabilità non riconosciuta come “grave”. Il riferimento è alla gravità come definita dalla legge 104/1992 (art. 3, comma 3), criterio che si potrebbe ritenere superato laddove il riferimento deve essere la Convenzione ONU sopra richiamata, ma che, ad oggi, costituisce ancora uno dei pochi riferimenti normativi disponibili. A ciò, tuttavia, deve aggiungersi che al fine di essere ammessi a fruire le misure economiche ed organizzative previste dalla norma in argomento occorre che i beneficiari non abbiano i genitori ovvero che qualora in vita essi non siano in grado di assistere adeguatamente i propri figli.