2. Le risorse per i servizi sanitari territoriali


Emanuele Ranci Ortigosa | 28 Luglio 2020

Una delle difficoltà, o scuse, ricorrenti negli anni non solo per non fare varie riforme, ma anche specificamente per sottrarre risorse alla sanità, è stata la lamentazione sulla mancanza delle risorse.

Affrontiamo allora questo possibile ostacolo con interventi di noti economisti della sanità (Mapelli, Bordignon, Turati) che mostrano cosa si è fatto delle risorse per la sanità negli ultimi anni e quale è l’attuale disponibilità, considerando anche i decreti legati all’emergenza (Pelliccia, Peduzzi).

 

Analizzando l’evoluzione della spesa sanitaria negli ultimi trent’anni, Mapelli rileva che si è profondamente modificato il paradigma delle funzioni di spesa e che in questo periodo si è verificata una consistente riallocazione di risorse dall’area ospedaliera verso quella territoriale.

“Se questo è vero a livello nazionale o di qualche area geografica (nord-est), non può invece dirsi realizzato in diverse regioni. Nel Mezzogiorno le tradizionali funzioni di spesa (farmaci, riabilitazione, integrativa) assorbono ancora troppi fondi, a scapito dell’assistenza socio-sanitaria. Nell’area del nord-ovest (in particolare in Lombardia) la medicina di base è sottodimensionata, anche se vi è molta attenzione all’assistenza socio-sanitaria. Nel centro Italia si è investito meno che altrove nell’assistenza territoriale e prevale ancora il modello tradizionale, seppure vi sia una nuova attenzione verso il socio-sanitario. La strada del riequilibrio tra le regioni e tra le funzioni di spesa è stata imboccata, ma va proseguita.”

 

Dopo anni di sottofinanziamento, ora le risorse ci sono e ancor più ci saranno. Ad assicurare le necessarie risorse finanziarie soccorrono anche in misura determinante i fondi europei, e in particolare potrebbero concorrere quelli del Mes, destinati proprio alla sanità e al contrasto degli effetti diretti e indiretti del coronavirus, che sarebbe veramente ingiustificato e autolesionista non utilizzare1. Attualmente la sfida più che sulla entità delle risorse potenzialmente disponibili, è allora sulla capacità di spenderle efficacemente entro strategie di trasformazione adeguatamente declinate e percorse.

 

Osservano Bordignon e Turati:

Trovarsi a spendere all’improvviso fino al trenta per cento in più senza buttare i quattrini non è affatto banale; ed è bene cominciare ad avanzare qualche idea e calcolare quanti soldi ci servono per realizzarla. Una prima linea di riflessione riguarda ovviamente le cure territoriali. L’evidenza ci dice che l’impatto del Covid-19 è stato decisamente meno drammatico laddove le regioni sono riuscite a curare i pazienti sul territorio, evitando l’accesso agli ospedali… Da questo punto di vista, un attore cruciale sono i medici di base. Al momento (consuntivo 2018), l’intera medicina convenzionata costa tra i 6 e i 7 miliardi all’anno. Raddoppiare il numero di medici di base costerebbe quindi un sesto circa dei famosi 36 miliardi.”

 

Aumentare il numero dei medici di base a regime è sensato, ma è necessario investire di più nella loro formazione, come sottolinea nel suo articolo anche Maciocco. Bordignon e Turati scrivono che occorre identificare:

una nuova figura che davvero sappia “prendere in carico” i pazienti e gestirne i percorsi di cura. Questo chiama in causa investimenti nelle università, in particolare nelle Facoltà di Medicina e Chirurgia, che devono prima definire i percorsi formativi per una nuova specializzazione in Medicina territoriale che possa formare queste nuove figure, se necessario rafforzando il corpo accademico preposto. Se le università fossero rapide nel definire il progetto, si potrebbe cominciare già con l’Anno Accademico 2021-2022: immaginare di aggiungere 1000 borse di specializzazione per queste figure (un numero importante, se si pensa che al momento le borse di specializzazione sono solo 8000) vorrebbe dire spendere all’anno circa 20 milioni dei 36 miliardi di euro del MES, che diventerebbero 60 milioni quando – dopo qualche anno – gli specializzandi completeranno la loro formazione.”

 

L’attuale disponibilità di finanziamenti viene analizzata nell’articolo sui “Fondi per l’emergenza”, da Pelliccia che rileva:

“(…) nel ripercorrere gli interventi straordinari è emersa un’attenzione, specialmente a partire dalla Fase Due, al territorio, ma esistono tuttavia ampi margini di miglioramento per ridurre la frammentarietà anche delle fonti ordinarie, rendere le misure straordinarie più coordinate con quelle ordinarie e per dare ai finanziamenti maggiore sistematicità.”

 

Molto dipenderà quindi dai futuri provvedimenti attuativi, dai loro indirizzi, da quanto verrà demandato alla discrezionalità locale, e con quali indirizzi e vincoli.

Le conclusioni dell’ultimo incontro dei capi di stato e di governo dell’Unione europea ci rassicurano ulteriormente che le risorse ci saranno e che di esse potrà largamente beneficiare l’Italia. Arriveranno molto probabilmente solo nel 2021, ed è per questo che buonsenso e improcrastinabili urgenze sollecitano l’utilizzo tempestivo anche dei finanziamenti del Mes, più rapidamente disponibili e dedicati specificamente agli effetti diretti e indiretti della pandemia, e in particolare a quelli subiti dal sistema sanitario, per metterlo in grado di affrontare in modo più adeguato tanto le normali patologie che un ritorno epidemico.

Certo il Mes pone delle condizioni, e pure il Recovery Fund le pone. Perché nessuna erogazione, ne a fondo perduto ne a prestito con interessi, è una regalia senza alcuna condizione. E questo oltre che logico è anche opportuno, se la condizione non è una vessazione imposta ma si limita a richiedere e verificare che si operi per realizzare quello che si è concordato, quello per cui il finanziamento viene erogato. È comprensibile che i nostri interlocutori a livello europeo, e anche di Stati dell’Unione, vogliano assicurarsi che le consistenti risorse erogate al nostro paese vengano investite proficuamente su quello per cui sono date. In un paese come il nostro, esposto a rischi di accentuate discontinuità politiche e che comunque presenta criticità, lentezze e debolezze tanto nelle scelte di governo come nella loro gestione attuativa, questo vincolo rappresenta anche un sostegno per chi vuole effettivamente cogliere questa straordinaria opportunità per realizzare riforme, cambiamenti, sviluppo. In primi luogo proprio sul sistema sanitario, direttamente coinvolto dalla pandemia.

  1. In merito all’utilizzo dei fondi del Mes e ai rischi che questo comporterebbe, vedi: Per chi avesse ancora dubbi sul MES, di Piero De Luca, segnalato su welforum.it, 13 luglio 2020.