3.2. Cogliere la finestra di opportunità


Paolo Peduzzi | 28 Luglio 2020

Nel suo contributo su Welforum.it, Bruno Dente ha espresso l’opinione che “l’attuale pandemia rappresenta una finestra di opportunità” per “riequilibrare l’organizzazione sanitaria …attraverso la costruzione di forti reti territoriali”, e in particolare per un ripensamento dei compiti e dell’organizzazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di famiglia.

Condivido tale opinione, consapevole che in particolare “Un mutamento di paradigma come quello sopra delineato non può prescindere da un totale ripensamento delle loro funzioni, del loro sistema di remunerazione e, soprattutto, della loro organizzazione”.

Condivido anche l’affermazione che “modificare radicalmente le modalità di lavoro di un vasto numero di professionisti è un’operazione che richiede chiarezza di visione, grande determinazione e un orizzonte temporale adeguato”.

 

La scorciatoia dietro l’angolo, espressa da alcuni contributi apparsi sulla stampa in questi giorni, è di ricondurre i medici di medicina generale direttamente alle dipendenze del SSN, ritenendo che il difetto sia nel loro livello di autonomia.

 

Sicuramente l’attuale Accordo Collettivo Nazionale che lega i medici di medicina generale al SSN, scritto nella sostanza 40 anni fa, non risponde più alle attuali esigenze di un’assistenza primaria in grado di assumersi il ruolo e le responsabilità proprie di un contesto epidemiologico complesso, ma la soluzione della dipendenza diretta dei medici di medicina generale dal SSN non tiene conto dei processi di evoluzione della medicina generale avvenuti in questi decenni, sia per quanto attiene lo sviluppo di una specifica disciplina professionale che per quanto attiene lo sviluppo di un’autonoma organizzazione in rapporto al crescere della complessità della patologia dei propri assistiti.

In particolare, risulta ormai superato il ruolo di semplice gatekeeper, ovvero punto di ingresso al servizio sanitario e selezione per l’accesso e la presa in carico da parte della medicina specialistica, mentre si è progressivamente delineato un ruolo autonomo di diagnosi e presa in carico della quota prevalente delle patologie che possono trovare una risposta efficace nell’ambito dell’assistenza primaria.

Assistenza primaria che, come delineata anche dai documenti dell’OMS e della Commissione Europea1, deve essere in grado di:

  • fondare la propria attività sulla libera scelta e il rapporto di fiducia con gli assistiti, assicurando loro un ruolo attivo nei percorsi di diagnosi, cura e assistenza;
  • assumere la responsabilità della popolazione assistita, assicurando la promozione della salute e la prevenzione delle malattie e garantendo l’accesso alla consulenza e all’erogazione diretta di prestazioni di diagnosi e cura e assistenza, orientando la pratica professionale alla medicina basata sull’evidenza;
  • offrire interventi coerenti tra i diversi professionisti che compongono il team di assistenza primaria, assicurando la continuità del percorso di cura e la collaborazione con gli altri livelli di assistenza, condividendo con i servizi specialistici di riferimento le procedure per approfondimenti diagnostici, consulenza, supervisione, passaggio in cura.

 

Da molti anni è in atto un percorso di crescita professionale e organizzativa della medicina generale, che ha trovato nelle singole regioni e aziende sanitarie locali modalità di espressione diverse, adattandosi ai contesti locali, utilizzando i limitati spazi di autonomia previsti dagli Accordi Collettivi Nazionali.

D’altra parte i vincoli in essere previsti dagli stessi Accordi, se hanno garantito nel tempo un’organizzazione omogenea della medicina generale su tutto il territorio nazionale, hanno rappresentato negli ultimi anni un freno allo sviluppo di una sua autonomia organizzativa e quindi alle potenzialità di crescita di ruolo delle cure primarie.  In particolare le norme per il riordino dell’assistenza territoriale del decreto legge “Balduzzi” (2012), pur avendo rappresentato un tentativo di indirizzare l’assistenza territoriale verso modelli più avanzati, prevedendo le “unità complesse di cure primarie”, hanno inciso in modo limitato sullo sviluppo organizzativo della medicina generale.

 

L’attuale pandemia, come sopra ricordato, richiede un cambio di paradigma che non può che passare dal superamento dei vincoli degli Accordi Collettivi Nazionali e dall’avvio di un percorso di cambiamento che parta dal riconoscimento del ruolo e dalla visione dell’assistenza primaria, e della medicina generale quale suo presidio oggi insostibuile, per rispondere alle sfide epidemiologiche, sia sul fronte della presa in carico delle patologie croniche prevalenti che sul fronte di garantire un primo livello di diagnosi, cura e assistenza delle patologie infettive emergenti.

 

Partendo dal contesto organizzativo attuale, i nodi su cui il percorso di cambiamento dovrà misurarsi attengono l’autonomia professionale e la pluralità di espressioni in cui si può configurare la loro organizzazione nel rapporto con il SSN, il rapporto tra lo sviluppo organizzativo e il mantenimento della libera scelta del cittadino, le modalità di remunerazione/finanziamento in rapporto alle caratteristiche degli assistiti, alle patologie prese in carico, alle prestazioni assicurate e ai risultati attesi e ottenuti.

Se, come gli stessi medici di medicina generale riferiscono in occasione di rilevazioni sulle loro motivazioni, l’autonomia è riconosciuta come un valore positivo nella scelta professionale, è importante evidenziare come può coniugarsi nell’ambito di un’organizzazione di professionisti e come tale organizzazione può assumere una pluralità di espressioni in rapporto al contesto locale e alla propria capacità organizzativa.

 

Un altro valore, riconosciuto come importante sia dai professionisti che dai cittadini, è il rapporto di libera scelta tra il cittadino e il medico a cui affida i propri percorsi di salute e malattia. La scommessa è come garantire il valore di tale rapporto nel contesto di un’organizzazione più evoluta dell’assistenza primaria, che prevede un lavoro di equipe tra diverse figure professionali, mediche e infermieristiche, con un’adeguato supporto di figure amministrative.

Le modalità di remunerazione dei professionisti / finanziamento dell’assistenza primaria, oggi per l’80/90% vincolato al numero di assistiti, non incentivano i professionisti a sviluppare modalità evolute di organizzazione e di erogazione delle prestazioni, che richiedono, oltre ad un surplus di impegno professionale, investimenti economici. Le modalità di finanziamento dell’assistenza primaria dovranno quindi essere profondamente riviste in rapporto al livello di organizzazione garantita, a livelli assistenziali e prestazionali assicurati e a obiettivi di salute definiti e conseguiti.

L’avvio di tale percorso, tutt’altro che semplice per il superamento di logiche conservative di categoria e di rendite di posizione acquisite, nonché per il timore di aprire la porta a cambiamenti verso la privatizzazione del nostro servizio sanitario nazionale, richiede la consapevolezza di un’opzione politica forte, accompagnata dalla volontà di investire risorse economiche per innescare e facilitare il cambiamento. Opzione politica che dovrà rappresentare l’esigenza di una discontinuità rispetto ai limiti e vincoli attuali dell’organizzazione della medicina generale, prevedendo nel merito un confronto aperto con le rappresentanze professionali dei medici e con le rappresentanze dei cittadini, e disegnare una visione del ruolo dell’assistenza primaria e dei medici di medicina generale nel contesto della rete di offerta garantita dal servizio sanitario nazionale.

 

In una cornice definita a livello nazionale e regionale, l’autonoma progettualità delle associazioni di professionisti potrà trovare lo spazio e l’opportunità per svilupparsi,  tenendo conto dei diversi contesti territoriali e delle sinergie con la rete dei servizi sociali e sanitari.

Se, come sembra anche dal contenuto dell’attuale finanziaria e dall’accesso ai fondi europei vincolati alle spese per l’emergenza sanitaria da coronavirus, il servizio sanitario disporrà di più risorse, non sarà indifferente la loro collocazione per valutare quanto la politica avrà appreso dall’andamento dell’epidemia in corso. In mancanza del mutamento di paradigma auspicato, gran parte delle risorse aggiuntive finirà a potenziare la rete dei presidi ospedalieri.

  1. Deninition of a frame of reference in relation to primary care, European Commission, 2014; Primary Care Evaluation Tool, WHO Europe, 2014