Senza dimora e salute mentale: il progetto Re Care a Palermo


Nel momento in cui, finalmente, decidiamo di impegnarci davvero, si mette in moto anche la Provvidenza. Ogni sorta di eventi interviene in nostro favore, situazioni che altrimenti non si sarebbero mai verificate, coincidenze inaspettate, incontri e aiuti materiali che non ci saremmo mai sognati di poter trovare.

Johann Wolfgang Von Goethe

 

‘Re Care: Ri-Costruire Salute e Cura’ è un progetto quadriennale, finanziato da Fondazione Con il Sud all’interno del Bando Socio-Sanitario 2020. Il progetto affronta la questione della salute, nel senso composito e plurimo proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ponendo il focus dell’intervento sulla dimensione della salute mentale delle persone senza dimora in una prospettiva bio-psico-sociale. L’approccio proposto ha richiesto il coinvolgimento di una pluralità di partners presenti nel territorio che hanno permesso di dare forma, contenuto e senso all’idea progettuale. Trattasi di una pluralità di attori le cui connessioni sono utili a rafforzare il care network tra pubblico e privato sociale: fio.PSD (Federazione Italiana Organismi per le persone senza dimora), Fondazione San Giuseppe dei Falegnami e Cooperativa La Panormitana (bracci operativi della Caritas diocesana di Palermo), Dipartimento di Salute Mentale di Palermo, Comune di Palermo, Città Metropolitana di Palermo, Dipartimento di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Università degli Studi di Palermo, Centro Astalli, Associazione di promozione sociale Nahuel.

La motivazione che ha orientato la scelta del focus verso la salute è espressione di un ragionamento tra i partners sui fattori ostacolanti l’accesso alle cure da parte delle persone senza dimora presenti nei distretti socio-sanitari 42 e 36 in Sicilia.

Nodi problematici e tentativi per dipanarli: finalità e obiettivi

Il primo punto problematico che il progetto tenta di superare è legato, da una parte, alla constatazione che le persone senza dimora portatrici di disagio psichico difficilmente accedono ai servizi per la salute mentale e, dall’altra, all’obiettivo che il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) di Palermo, con i Centri di Salute Mentale, ha espresso da tempo la volontà di raggiungere tali persone. Il DSM non ha un servizio mobile su strada destinato all’intercettazione e all’intervento rivolto alle persone senza dimora e, ancora di più, è assente il collegamento tra i CSM e le realtà del territorio che si occupano di tale marginalità grave. Inoltre, gli operatori dei Poli di accoglienza, ossia delle strutture San Carlo, Centro Astalli e Centro Agape, hanno evidenziano la necessità di relazione con i CSM. In ultimo è da evidenziare che esiste una buona pratica sperimentata nel tempo di un modello di presa in carico comunitaria, frutto della collaborazione tra Caritas diocesana e DSM (citata in una circolare regionale come buona pratica di lavoro di integrazione e di comunità).

Dalla rilevazione dei bisogni, ma anche delle risorse territoriali si è passati alla co-costruzione di una progettualità sintetizzabile in 3 grandi blocchi di azioni interconnesse e trasversali:

  • integrazione sociosanitaria;
  • modello di presa in carico comunitaria;
  • percorsi di promozione culturale, di giusta informazione e sensibilizzazione.

‘Re Care: Ri-Costruire Salute e Cura’ ha l’ambizione di rivedere gli ingranaggi di un approccio sociosanitario inceppato, tentando di ridefinire un percorso operativo chiaro basato sull’integrazione delle competenze degli operatori coinvolti, sulla condivisione di un pensiero comune e su un approccio alla presa in carico sociosanitaria della persona senza dimora. Si sonoposte le basi affinché ciò che era condiviso e di appartenenza in senso ideologico potesse trovare realizzazione con la partecipazione e il cambio di passo di tutti i partners all’interno di un contesto comunitario chiaro.

All’interno del progetto la presa in carico sociosanitaria della persona senza dimora ha significato l’assunzione della domanda di cura del soggetto, nei suoi molteplici aspetti, a partire dal suo contesto di appartenenza: ciò ha significato un lavoro di cura nella dimensione umana, relazione, sociale e medica.

Il Modello

Il progetto ha portato alla definizione di un modello di intervento composito, in cui è possibile identificare diversi interventi:

  • Aggancio della persona che si realizza attraverso le unità di strada, già presenti sul territorio e messe a sistema, o tramite i quattro nuovi presidi territoriali, urbani ed extra urbani, ricadenti nei due distretti sociosanitari;
  • Segnalazione al Dipartimento di Salute Mentale. È stata creata una equipe multidisciplinare all’interno del DSM anche con funzione di coordinamento per la presa in carico delle persone senza dimora. Alla valutazione clinica e sociale, che vede l’apporto congiunto dell’equipe sociosanitaria del progetto, segue l’elaborazione del Progetto Terapeutico Individualizzato. Il PTI prevede l’integrazione di aspetti medico-sanitari, sociali, riabilitativi a forte valenza relazionale e comunitaria. Condizione necessaria, in tale fase, è l’accettazione consapevole da parte della persona di essere accompagnata; ciò presuppone nella persona la consapevolezza di un disagio personale, il riconoscimento della necessità di aiuto e l’accettazione di un percorso di cura. Ogni persona presa in carico può raggiungere tale consapevolezza in tempi e con supporti diversi da parte di tutta l’equipe;
  • Ad integrazione delle attività interne al sistema sanitario (centri diurni, gruppi terapeutici, ecc.) sono stati definiti importanti aspetti della riabilitazione in contesti relazionali comunitari, esterni al sistema sanitario, dove la persona può sperimentare competenze oscurate dalle condizioni di vita, dalla malattia, dalla marginalità; scoprire nuove abilità frutto di una messa in gioco importante tanto del paziente quanto di chi lo supporta in questo percorso. Tutto ciò ha una importanza terapeutica di cura e di salute rilevante. L’impegno settimanale chiede un ri-orientamento del tempo, una riorganizzazione di spazi, definisce un ritmo improntato alla costanza e alla responsabilità. Al contempo, il contesto riconosce e scopre nella persona senza dimora una risorsa;
  • Altro snodo importante del modello è l’orientamento lavorativo, attraverso l’attivazione di tirocini formativi e la presenza di peer, come esperti motivanti, che seguono la persona all’interno del progetto;
  • La dimora è garantita attraverso diversi livelli: una bassa soglia garantita dal POC attraverso i poli diurni e notturni per l’accoglienza di soggetti fragili in povertà sociosanitaria; un appartamento in condivisione per 3 persone in autogestione all’interno del progetto; un’ulteriore autonomia abitativa successiva alla conclusione del progetto, a garanzia della sostenibilità del modello prodotto.

L’integrazione sociosanitaria

La gestione del progetto, dalla cura dei beneficiari, alla facilitazione della rete pubblico-privato non è semplice e l’integrazione sociosanitaria è la scommessa più impegnativa. Nonostante siano trascorsi 23 anni dalla Legge 328/2000, che ha dato indicazione per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, la riflessione sull’integrazione sociosanitaria e sulle strategie da attuare è quanto mai attuale e doverosa.

Una rapida riflessione consente di identificare alcune possibili ragioni e motivazioni. L’integrazione è un fenomeno mutabile che risente del tempo storico (emergenze, calamità naturali, ecc.) in cui viene realizzata. Si pensi alle ripercussioni che ha innescato la diffusione della pandemia Covid-19 sui protocolli sanitari. La consapevolezza di salute delle persone e della comunità, ma anche la loro richiesta di cura non sono condizioni stabili, bensì si modificano nel tempo. Utopisticamente, si potrebbe affermare che l’integrazione sociosanitaria non è mai raggiungibile in senso assoluto perché in continua evoluzione. In altra battuta lo stesso modello che stiamo imbastendo secondo fine sartoria sociosanitaria, andrà rivisto e rimodulato: l’integrazione è tale se risponde plasticamente al tempo in cui deve realizzarsi. Ci sono, tuttavia, dei principi che dovrebbero orientarne il suo raggiungimento, per evitare, di contro, fraintendimenti. Una delle possibili distorsioni applicative del concetto di integrazione potrebbe verificarsi quando si ha un’idea di salute monodimensionale, in cui gli approcci che dovrebbero concorrere al benessere sistemico della persona, si affiancano. In questo caso siamo di fronte ad una dinamica per chiamata successiva, che si realizza quando un servizio esaurisce le proprie competenze di intervento, ma non essendo in grado di trattare sufficientemente il bisogno manifesto ed accertato, interpella un altro servizio, un ente, il Terzo settore. Tale modalità non risponde a una reale e strutturata integrazione. L’integrazione non è affiancamento, non avviene in modo sequenziale, l’integrazione è sistema in cui il tutto è più della somma delle singole parti. La distorsione consiste nel pensare in modo consecutivo e non complementare.

Al fine di realizzare tale interconnessione, sono stati definiti processi e modelli organizzativi che hanno consentito di connettere servizi paradossalmente lontani dentro un percorso che parte dal pensarsi fin dall’inizio in modo composito e complesso a partire da quella singola persona. Durante la realizzazione del progetto si formalizzano accordi di collaborazione, integrando risorse già presenti, al fine di evitare inutili quanto dispendiosi duplicati. È stato, altresì, definito un percorso operativo di presa in carico, con tempi, competenze, modalità di relazione tra servizi che evita il maldestro, quanto consueto, invio delle persone da un servizio all’altro, fatto di continue ripetizioni ed esposizione a incessanti valutazioni monodimensionali. La valutazione clinica è fin dall’inizio anche sociale. L’intera azione di cura e salute proposta si centra sul modello della Community Care, volto a realizzare reti di assistenza per i membri più deboli della comunità, coinvolgendo una pluralità di soggetti in grado di operare nel contesto umano e sociale in cui le persone vivono attraverso soluzioni organizzative in grado di superare i modelli assistenziali di tipo gerarchico e prestazionale, a favore di nuovi approcci di tipo relazionale, multisettoriale e di rete che sappiano privilegiare, in un’ottica di integrazione sociosanitaria a livello territoriale e distrettuale, la realizzazione di reti di salute e di cura. In una visione proattiva, la persona senza dimora con disagio psichico non è solo, dunque, destinataria di un servizio, ma è essa stessa risorsa per la comunità. Quest’ultima, non si configura come contenitore di problematicità, ma si propone come luogo di opportunità e di responsabilità condivise.

Il modello di Community Care, inteso come “presa in carico della comunità da parte della stessa comunità”, rende possibile il transito da un’idea di comunità come luogo fisico destinatario di prestazioni sociosanitarie (territorio), ad un’immagine di comunità come “rete di relazioni sociali significative”1. In questa ottica di complessità, l’integrazione sociosanitaria non può che essere ricorsiva e rigenerativa di se stessa e dei circuiti di cura e di salute.

Percorsi di promozione culturale, di giusta informazione e sensibilizzazione

La cornice dell’intervento all’interno del progetto ‘Re Care: Ri-Costruire Salute e Cura’ è lo sviluppo del potenziale umano e intellettuale delle persone coinvolte nel progetto, al fine di creare le condizioni di un sano benessere fisico, psicologico e relazionale. Il tentativo è quello di concepire in chiave moderna il concetto di salute mentale. Già a partire dagli anni ’50, con alcune sfumature più significative nell’arco dei decenni successivi, si è tentato di specificare che la salute mentale è una condizione di benessere che consente all’essere umano il pieno sviluppo del proprio potenziale che significa appropriazione delle vite, dei corpi, delle azioni delle persone internate negli ospedali psichiatrici per finalità di cura, di sperimentazione, di inclusione2.

Oggi, la società vive in un contesto che la letteratura sul tema definisce fluido in cui le visioni dell’uomo e della donna come essere biologico, psicologico e sociale coesistono e si confrontano, cercando di fondersi in una pratica con sfumature e sottolineature diverse da paese a paese e con un enorme sforzo da parte delle istituzioni internazionali di creare delle epistemologie condivise al fine di giungere ad una definizione di salute mentale e delle relative pratiche raccomandate in cui non c’è antinomia tra malattia e salute. Si tratta di due piani diversi e, soprattutto, quello della salute è un piano che riguarda l’intera popolazione (l’analisi dei fattori di rischio, l’analisi di pratiche sociali che garantiscano uguaglianza di accesso alle opportunità, che garantiscano inclusione, promozione della salute, prevenzione e che garantiscano all’essere umano un armonico sviluppo in tutte le fasi della vita, dalla gravidanza alla senescenza)3.

Su tale versante, il piano di intervento locale appare il più idoneo per sperimentare alleanze tra diversi attori, forme di governance efficaci ed efficienti e dispositivi di presa in carico dell’utente4.

In linea con gli sviluppi dell’antropologia e della sociologia sul tema, l’interesse principale si è addensato sul tema di accompagnare gli individui e, soprattutto, sulle riflessioni sul come sviluppare le forme di accompagnamento. Quindi, la cura della malattia non è da intendere come l’unica pratica di accompagnamento e probabilmente neanche la principale: per raggiungere una condizione di piena salute appare necessario integrare la cura della malattia con la condivisione di percorsi e l’individuazione di soluzioni pratiche che passano attraverso svariate opportunità fortemente individualizzate: si tratta di accompagnare gli individui, non di standardizzare le cure.

I servizi di salute mentale hanno mantenuto un’attenzione verso l’accompagnamento legata ad una visione: nessuna persona con disturbi mentali è la sua malattia. Quindi, se l’obiettivo è creare salute, oltre a curare la sua malattia bisogna occuparsi di creare opportunità di sviluppo del potenziale di ogni persona coinvolta5. Ecco perché gli strumenti con cui si opera, che sono codificati nella legislazione nazionale e regionale, si basano su un concorso dell’intera comunità ai processi di salute mentale.

Il Piano regionale è l’architrave della organizzazione dei servizi di salute mentale e identifica due sistemi: un sistema di cura e un sistema di comunità. Quest’ultimo coinvolge l’intera comunità nella realizzazione di condizioni di salute mentale, cioè non ci si affida solo alle cure del sistema sanitario ma si invoca la partecipazione dei cittadini (vengono ad esempio coinvolti studenti delle scuole superiori, studenti universitari, volontari), degli enti locali (il Comune di Palermo e la Città metropolitana di Palermo sono partner del progetto), del volontariato, del Terzo settore (sono in corso ad esempio protocolli con altri enti del Terzo settore al fine di attivare tirocini lavorativi).

Gli interventi vengono realizzati in maniera strutturata individuando gli obiettivi specifici per l’inclusione lavorativa, il tempo libero, al fine di creare condizioni di equità e di esigibilità dei diritti. In tal modo, la persona può realizzare il proprio potenziale fisico e mentale tenendo come assi portanti quello dell’abitare, del lavoro e della socializzazione. Per il buon esito dell’abitare – inteso come intervento che promuove la recovery e il rispetto dei diritti umani delle persone con difficoltà di salute mentale – è essenziale garantire che i servizi sociali e quelli di salute mentale si impegnino in collaborazioni concrete e nella condivisione di pratiche. Ciò richiede cambiamenti significativi nelle conoscenze, competenze e capacità di tutte le parti interessate e, per tal motivo, all’interno del progetto è prevista la supervisione da parte di esperti della fio.PSD all’equipe multidisciplinare.

Le numerose sperimentazioni europee sull’abitare degli ultimi vent’anni si situano in un continuum tra fedeltà assoluta al modello originario americano e la necessità di adeguarlo ai contesti locali, pur mantenendone fermi i principi. Di seguito sono delineati i principi proposti nell’Housing First Guide Europe:

  • La casa è un diritto umano;
  • L’autodeterminazione nelle scelte da parte dei beneficiari;
  • La separazione della casa dai servizi terapeutici (nel paradigma dell’Housing First si stabilisce il diritto all’abitazione senza condizioni, non si pretende alcun cambiamento o adesione a percorsi terapeutici in cambio dell’accesso alla casa);
  • L’orientamento al recupero;
  • La riduzione del danno (la scelta di questo approccio in caso di abuso di sostanze è indispensabile alla luce dei punti precedenti);
  • L’impegno attivo ma senza costrizioni;
  • La pianificazione orientata alla persona;
  • Il supporto flessibile per tutto il tempo necessario.

L’aspetto legato alla socializzazione è facilitato dal partenariato con l’Università di Palermo – Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali (DEMS) e dalla collaborazione con le scuole del territorio che favoriscono, attraverso i giovani studenti, l’azione dei processi partecipativi, dell’empowerment della comunità e del rafforzamento del ruolo della comunità negli interventi in atto. L’obiettivo, attraverso il processo di coinvolgimento dei cittadini nelle azioni di educazione sanitaria e di sensibilizzazione, è trasferire l’idea di “concepire sé stessi” come comunità. Da questo punto di vista, lo studio dei fattori che influenzano la propria salute, le traiettorie che possono modificarla, sono volte a favorire lo sviluppo di un senso di appartenenza alla propria comunità (ownership) e di incremento del capitale sociale. Tale coinvolgimento si inserisce nella strategia dell’intera idea progettuale e nel tentativo di co-costruire un processo virtuoso che trasli l’attenzione dal soddisfacimento del bisogno del singolo alla realizzazione di un sogno collettivo di benessere sociale: un ‘I Care’, un ‘mi importa’ collettivo. L’attivazione di una borsa di studio per la realizzazione di una ricerca sul tema è una delle azioni previste dal progetto e sarà realizzata dal Dipartimento di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Università degli Studi di Palermo.

In merito all’aspetto di avvicinamento al mondo del lavoro è interessante sottolineare la linea di intervento, realizzata dall’Asp di Palermo, volta a coinvolgere attraverso bando pubblico, utenti peer in uscita dai servizi, che diventino essi stessi erogatori di cura nei confronti delle persone fragili attualmente prese in carico. Tale percorso consentirà di riscoprire e consolidare abilità messe in ombra dalla patologia. Il modello di riferimento alla base di tale intervento è quello dell’addestramento alle abilità sociali (‘Social Skills Training’), raccomandato dall’OMS come uno degli elementi cardine nei progetti per la salute e il benessere. Elemento chiave per la riuscita di questi interventi è il lavoro di rete con lo scopo di potenziare gli interventi di carattere formativo, sociale, occupazionale e di garantire l’integrazione con gli uffici di servizio sociale, con gli organismi sociali e sociosanitari e con le reti di solidarietà e di mutuo-aiuto presenti nel territorio.

Le sfide da affrontare risultano, dunque, molteplici e multi-attoriali. La visione è volta verso l’integrazione sociosanitaria e socio-lavorativa con un approccio partecipativo capace di costruire servizi inclusivi e capacitanti. Alcune tra le problematiche contingenti da affrontare sono legate all’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in ambito sociale (LEPS), alla residenza anagrafica e al pronto intervento sociale. È importante per questo trovare modelli d’azione, protocolli condivisi, che permettano non solo di agire efficacemente sul bisogno, ma che consentano anche agli attori di creare un legame tra territorialità ed esercizio del potere perché l’azione congiunta pubblico-privato permette di raggiungere zone d’ombra che il diritto non sempre riesce a raggiungere e che invece la pratica territoriale illumina e identifica. È fondamentale, per l’attuazione di quanto immaginato, cambiare paradigmi, riformulare modelli, riposizionare attori abituati a lavorare in strutture ben consolidate, ma anche agire sul tessuto comunitario, favorendone le capacità di cura e il senso di corresponsabilità, e sugli attori istituzionali, aiutandoli a cedere parte del proprio spazio a favore di un’integrazione reale e attenta al punto di vista di tutti. Con questi presupposti, sarà possibile trasformare l’idea di salute e dare un volto nuovo a una comunità capace, attenta e corresponsabile.

  1. Tartaglini D. (a cura di), L’infermiere e la comunità, Carocci, Roma, 2006
  2. Fioritti, “Manifesto per la salute mentale”, convegno organizzato dalla SPI, Società Psicoanalitica Italiana, Napoli, 2021
  3. ibidem
  4. Di Rosa R. T., Tumminelli G., “Vulnerabilità sociali e diseguaglianze digitali post pandemia: l’inclusione trascurata dei migranti”, Autonomie locali e servizi sociali, 2022
  5. Fioritti, “Manifesto per la salute mentale”, convegno organizzato dalla SPI, Società Psicoanalitica Italiana, Napoli, 2021