Pavimenti appiccicosi


Federica De Lauso | 9 Febbraio 2023

Il raggio della mobilità sociale oggi risulta più corto rispetto al passato e sembra funzionare prevalentemente per chi proviene da famiglie di classe media e superiore. Per chi nasce in famiglie collocate in posizioni di svantaggio si registrano, al contrario, scarse possibilità di ascesa sociale. Questo perché crescono i coefficienti concorrenziali medi delle classi poste agli estremi della scala sociale (le più benestanti e le più povere) che misurano la propensione all’immobilità in quella stessa classe di origine; risulta quindi sempre più improbabile per chi nasce alle vette della stratificazione sociale perdere i propri privilegi, al contrario chi parte dalle retrovie della società trova sempre più irrealizzabili le sue prospettive di miglioramento1. Siamo di fronte, dunque, ad un processo di polarizzazione della società in termini di reddito, ricchezza e opportunità. Questo rafforzamento delle disuguaglianze e dell’ereditarietà è stato efficacemente sintetizzato nelle metafore dei sticky grounds (“pavimenti appiccicosi”), e dei sticky ceilings (“soffitti appiccicosi”)2.

Soffermarsi sul tema della mobilità, oggi più che mai, significa richiamare i principi dell’uguaglianza e della giustizia sociale su cui si fondano le nostre società democratiche. I dati sulla mobilità, infatti, fanno luce sulla possibilità che a individui che partono da condizioni iniziali diverse –indipendenti dal loro controllo- siano date pari opportunità di successo3. La Costituzione repubblicana italiana all’articolo 3, in tal senso, ci ricorda che “è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”4.

Lo studio di Caritas Italiana

Se le classi sociali poste agli estremi tendono a trattenere i propri figli, quante probabilità esistono per i minori cresciuti in un contesto di povertà accedere, una volta adulti, a una vita agiata?  O al contrario, quanto è forte il rischio di rimanere intrappolati in percorsi di deprivazione e quindi in storie di povertà?

È proprio da questo interrogativo, che chiama in causa il tema dei diritti e dell’equità, che Caritas Italiana ha deciso di realizzare nel corso del 2022 un’indagine nazionale sul tema dell’ereditarietà della povertà, al fine di quantificare le situazioni di povertà intergenerazionale nel nostro Paese5.

Lo studio è stato condotto su un campione statistico di beneficiari Caritas, di età compresa tra i 36 e i 56 anni (nati quindi tra il 1966 e il 1986) e di cittadinanza italiana. L’indagine -realizzata da marzo a maggio 2022- ha coinvolto 1.281 assistiti secondo le linee del campionamento statistico costruito su base regionale, stratificato per età e genere e rappresentativo dell’utenza Caritas di quelle stesse caratteristiche. La finalità dell’indagine è stata quella di favorire il confronto tra la condizione degli assistiti e quella delle loro famiglie di origine attraverso tre dimensioni specifiche, le stesse utilizzate dalla letteratura sociologica per studiare il tema della mobilità: l’istruzione, la condizione occupazionale e la condizione economico-reddituale.  

Il primo ambito, l’istruzione, può dirsi uno dei principali strumenti di mobilità sociale. Essa incide infatti su diversi aspetti della vita, come il lavoro, le opportunità di carriera, il reddito, il benessere. Se è vero però che il titolo di studio può favorire l’ascesa sociale, è altrettanto vero che l’istruzione può essere a sua volta condizionata dalla situazione “di partenza”, quindi subire l’influenza delle origini sociali. I dati Caritas, in tal senso, sembrano confermarlo. Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare). E sono proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare. In particolare, tra gli assistiti Caritas nati da genitori senza alcun titolo di studio, quasi un terzo risulta avere la sola licenza elementare (tab.1). Tra i nati da genitori con licenza media inferiore circa i due terzi si sono fermati allo stesso titolo (65,3%). Al contrario, tra i figli di laureati, uno su tre (32,2%) ha ottenuto anch’esso un titolo universitario, contro lo 0% per i figli di genitori senza alcun titolo o con la sola licenza elementare. Si conferma quindi la bassa mobilità educativa che contraddistingue il nostro Paese, in linea con le rilevazioni pubbliche che ci dicono che solo l’8% dei giovani adulti con genitori che non hanno completato il ciclo di istruzione superiore ottiene un diploma universitario (contro la media Ocse del 22%)6. La scuola dell’obbligo in Italia pare quindi compensare solo in parte le differenze culturali delle famiglie di provenienza.

Tab.1-Beneficiari Caritas per anni di studio intrapresi e anni di studio dei propri genitori (%)

Anche sul fronte occupazionale emergono degli elementi di netta continuità tra genitori e figli. Più del 70% dei padri degli assistiti Caritas risulta occupato in professioni a bassa specializzazione. Per le madri è invece elevatissima l’incidenza delle casalinghe (il 63,8%), mentre tra le occupate prevalgono le basse qualifiche. Il raffronto tra le due generazioni mostra che circa un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e che il 42,8% ha invece sperimentato una mobilità discendente (soprattutto tra coloro che hanno un basso titolo di studio). Più di un terzo (36,8%) ha, invece, vissuto una mobilità ascendente in termini di qualifica professionale, anche se poi quel livello di qualifica trova sempre una corrispondenza in termini di impiego (data l’alta incidenza di disoccupati) o un adeguato inquadramento contrattuale e retributivo, vista l’alta incidenza dei lavoratori poveri tra gli assistiti Caritas.

Rispetto alle condizioni economiche e reddituali, risulta altissimo il livello di immobilismo: i casi di povertà intergenerazionale pesano infatti per il 59,0%; nelle Isole e nel Centro il dato risulta ancora più marcato, pari rispettivamente al 65,9% e al 64,4%. Complessivamente, quindi, quasi sei persone su 10 dei poveri incontrati risultano vivere in una condizione di deprivazione economica che si tramanda “di padre in figlio”; in particolare risultano toccati tutti coloro che nel salto di generazione non hanno sperimentato particolari forme di mobilità (ascendente) nell’istruzione e nella classe professionale. Per quattro persone su dieci, invece, si può parlare di un impoverimento rispetto alle origini; si tratta di persone che potremmo assimilare ai poveri di prima generazione, spesso uomini, con livelli di istruzione medio- alti, che di fatto hanno vissuto una mobilità discendente rispetto alla propria famiglia di provenienza (cfr. Fig. 1).

Fig. 1- Poveri intergenerazionali e di prima generazione: alcuni tratti dei profili sociali

 

Riflessioni conclusive

Secondo un recente studio OCSE dal titolo A broken social elevator? How to promote socisal mobility, per chi proviene da una famiglia povera (collocata cioè nell’ultimo decile di reddito) servono in media 4,5 generazioni per raggiungere un livello di reddito medio; in Italia si sale addirittura a 5 generazioni, dato che risulta superiore ai Paesi Scandinavi ma anche a quelli mediterranei come Spagna e Grecia, più vicini a noi anche rispetto agli standard di povertà7. Se si pensa che attualmente in Italia vivono in uno stato di povertà assoluta 1,4 milioni di bambini non si può non percepire l’urgenza di una riflessione condivisa sul tema dell’ereditarietà della povertà. Accanto al maturato interesse nei confronti delle nuove povertà è necessario prestare attenzione quindi anche a quei fattori che di fatto impediscono una reale emancipazione dal bisogno e che, anzi al contrario, rendono questo stato di svantaggio economico qualcosa che si tramanda di generazione in generazione. È importante approcciare al contrasto della povertà non in chiave puramente assistenzialistica ma puntare su quei fattori che possono e devono invertire le traiettorie di vita che sembrano in qualche modo già segnate. Non è immaginabile, certo, pensare di annullare gli effetti diretti o indiretti dell’origine sociale; ognuno di noi nasce e cresce in una famiglia che è inserita in un determinato contesto sociale, con un proprio capitale relazionale, culturale, economico che non possono dirsi neutri. Tuttavia tra i determinanti della mobilità, oltre ai fattori micro-sociali e individuali, si devono annoverare anche quelli di natura macro-sociale che chiamano in causa gli elementi economici, sociali, demografici e al contempo l’ambito delle politiche pubbliche. La mobilità, lo sappiamo, è strettamente correlata all’andamento del ciclo economico; di fatto i più alti livelli di fluidità sociale sono stati raggiunti proprio quando la nostra economia cresceva a ritmi serrati. Oggi al contrario viviamo in un tempo di bassa crescita, aggravata dagli alti livelli di inflazione. Ciononostante, determinate politiche sociali possono andare nella direzione di favorire una maggiore equità e giustizia sociale, a partire dall’istruzione e/o da approcci che mirino maggiormente all’efficienza dei meccanismi meritocratici. Le politiche pubbliche possono quindi agire su tanti fronti, primo tra tutti il contrasto delle disuguaglianze economiche. Infatti, se la mobilità tende ad essere più debole proprio nelle società dove esistono maggiori disparità di reddito, intervenire con politiche re-distributive e pre-distributive può migliorare il livello di dinamismo sociale all’interno della nostra democrazia. Un dinamismo che rafforza la coesione sociale e al contempo la stessa crescita economica.

  1. Istat, 2020, Rapporto annuale. La situazione del Paese, Capitolo 3, p. 38. 
  2. G. Zucca, F. Volpi, L. Proietti, M. Proietti, 2019, Mozione di sfiducia? Il blocco della mobilità sociale e le conseguenze sulla cultura democratica italiana. IREF, Rapporto di ricerca.
  3. Paolo Acciari, Alberto Polo, Gianluca Violante, Eppur si muove: mobilità intergenerazionale in Italia, La Voce.
  4. Luigi Cannari, Giovanni D’Alessio, Istruzione, reddito e ricchezza: la persistenza tra generazioni in Italia, Banca d’Italia.
  5. Caritas Italiana, 2022, L’anello debole, Teramo, Edizione Palumbi.
  6. OECD, Uno sguardo sull’istruzione 2016. Scheda paese.
  7. C. Saraceno, D. Benassi, E. Morlicchio, 2022, La povertà in Italia, Bologna, Il Mulino.