La povertà intergenerazionale


A cura di Vera Pellegrino | 19 Gennaio 2023

Premessa metodologica

L’incremento delle persone in povertà cronica o intermittente nei Centri di Ascolto Caritas, nonché il rallentamento della mobilità sociale, così come la presenza di fenomeni quasi strutturali come la povertà educativa, la precarizzazione del lavoro e la povertà familiare, rivelano la presenza di una intergenerazionalità della povertà che si quantifica in circa 6 persone su 10 tra i beneficiari dei servizi Caritas1. Per approfondire il tema è stata condotta una ricerca qualitativa allo scopo di indagare la percezione dell’ereditarietà della povertà, di tracciare una mappa di fattori che alimentano la trasmissibilità, definire approcci per affrontare i casi specifici. La ricerca ha sostanzialmente previsto due fasi: sono stati realizzati 5 focus group con operatori sociali di enti pubblici, Terzo Settore, Caritas e sono stati condotti 30 colloqui in profondità con beneficiari dei servizi Caritas e con operatori e volontari dei servizi Caritas. Nell’indagine sono state coinvolte le diocesi di Torino, Verona, Pisa, Reggio Calabra, Iglesias e Cagliari.  

Le dimensioni della povertà intergenerazionale

Gli operatori sociali hanno descritto la povertà ereditaria con una parola evocativa, restituendo una narrazione quasi priva di speranza.  Ne deriva una connotazione fortemente negativa, metaforicamente rappresentata con immagini quali la “gabbia”, il “muro” ovvero una situazione da cui non è possibile uscire, una condizione ineluttabile, una sorta di condanna. Si possono individuare due dimensioni prevalenti: sociale e soggettiva. Le parole evocative citate dagli operatori afferenti alla dimensione sociale fanno riferimento alla complessità della società che si è irrigidita e non riesce più a garantire le stesse opportunità di accesso ai servizi e agli strumenti utili per migliorare la condizione sociale originaria. La dimensione soggettiva riguarda, invece, le caratteristiche individuali (bassa autostima, sfiducia, apatia, ecc.), come se si ereditassero gli stili e i comportamenti, che poi sono difficilmente modificabili. In particolare torna frequentemente l’idea che si acquisiscano atteggiamenti che sfociano in un approccio assistenzialista, limitando l’autodeterminazione e la dipendenza dal sistema.  

Fig. 1 – Le parole più citate dagli operatori sociali per definire la povertà intergenerazionale

   I fattori determinanti che alimentano la povertà intergenerazionale, così come riportato dalla letteratura, sono la povertà educativa, la povertà lavorativa e la povertà economica. La maggior parte delle persone intervistate (i ¾ delle persone intervistate) hanno conseguito un basso titolo di studio (medie inferiori e medie) e lo stesso vale per la quasi totalità dei loro genitori. Nella scelta di abbandono degli studi, oltre alla necessità di dover lavorare a causa della precarietà economica del nucleo familiare, è stata certamente rilevante l’influenza della famiglia   che spesso non incoraggia i figli perché non dà abbastanza valore allo studio, come strumento essenziale nella loro vita per costruirsi un futuro migliore. Come è successo a G. che coltivava il desiderio di diventare una cuoca, di frequentare l’istituto alberghiero ma la sua famiglia l’ha scoraggiata, il suo sogno si è infranto condizionando il corso della sua vita: ha lavorato solo saltuariamente nel settore delle pulizie domestiche e non è mai riuscita a trovare la forza di ricominciare a studiare.  

“Mi piacerebbe (riprendere gli studi) ma ho talmente tanto da fare in famiglia perché c’è da fare e non riuscirei con la testa.” (donna, Cagliari)

  Rispetto al percorso scolastico si individuano, dunque, due tipologie di vissuti:

  • i disillusi: coloro che hanno dovuto accantonare i loro sogni rispetto alla realizzazione personale;
  • gli inadeguati: coloro che hanno vissuto un percorso scolastico costellato di insuccessi con difficoltà di tipo cognitivo e comportamentale.

Nella terza generazione delle persone in povertà intergenerazionale, i figli dei beneficiari ascoltati, si registra un’alta incidenza di disagi come l’iperattività o vari problemi cognitivi e comportamentali. È noto quanto l’ambiente influenzi il bambino e che tra i fattori di rischio si annoverano anche gravi forme di povertà, continue tensioni dei genitori, contesti violenti, ecc. Sembra quasi che si erediti questa gamma di problemi, come è accaduto a S., iperattivo a scuola e i cui figli oggi hanno problemi comportamentali e di apprendimento, tanto da avere tutti un insegnante di sostegno.   La povertà educativa condiziona l’accesso al lavoro, limitando le possibilità ad occupazioni poco specializzate, che, spesso, non consentono di raggiungere una vera autonomia economica e un’autorealizzazione. Gli intervistati sono prevalentemente disoccupati; c’è chi ha perso il lavoro, chi non vuole perdere il reddito di cittadinanza, chi non riesce a conciliare lavoro e famiglia. Ci sono, inoltre, i working poor ovvero coloro che lavorano ma con compensi non adeguati al mantenimento dignitoso della famiglia oppure lavoratori in nero o con una forte precarietà. Tuttavia operatori e beneficiari affermano che ci sono persone che non hanno accettato offerte di lavoretti saltuari o di tirocini lavorativi; alcuni si sono dimessi da lavori con contratto a tempo indeterminato per motivi che apparentemente non sembrano particolarmente gravi (distanza del luogo di lavoro, malattie non certificate, ecc.). Il tema del lavoro appare, dunque, particolarmente complesso perché se da un lato, specie al Sud, ci sono tassi di disoccupazione piuttosto alti, è anche vero che negli ultimi anni nel Paese sono aumentate le opportunità di inserimento lavorativo attraverso politiche del lavoro mirate.  

A volte ti sfruttano anche nel senso che non ti danno ciò che tu lavori, ti pagano poco, non ti danno quello che c’è sul contratto o ti pagano in nero e ti pagano quelle 30-35 euro e stai tutto il giorno.” (donna, Cagliari)

  Affrontare il lavoro inteso come disoccupazione e quindi inserimento lavorativo, fondamentale per contrastare la povertà in generale e ancor più la povertà intergenerazionale, sembra che non sia più sufficiente, appare cruciale considerare più approfonditamente il tema dal punto di vista valoriale. È come se le persone non investissero sul lavoro perché non credono nella possibilità di realizzarsi e, al contempo, di costruirsi una vita migliore.   Oltre ai fattori determinanti per la trasmissione della povertà, dalla nostra indagine emergono altri elementi che la alimentano che si possono sintetizza in due macroaree: fattori psicologici e una più ampia di fattori socio-culturali. Tra i fattori socio-culturali, emerge, il tema della territorialità intesa come la difficoltà di uscire da quartieri-ghetto che condizionano l’evoluzione della vita degli abitanti: si frequentano sempre le stesse persone e le stesse reti relazionali ed è difficile avere punti di riferimenti esterni che possano dare testimonianza di altri percorsi di vita. L’ereditarietà, infatti, è sia verticale, di padre in figlio, sia orizzontale cioè si tramette attraverso il gruppo di riferimento. All’area dei fattori psicologici appartiene il tema della sfiducia nelle istituzioni, nella comunità, negli altri. È una tendenza generale ma nelle persone in situazione di disagio persistente è molto forte e affonda le radici nella povertà culturale nella mancanza di conoscenza basilari (ad esempio rispetto alla democrazia, all’accesso ai servizi, alla consapevolezza dei propri diritti, ecc.) Si fa riferimento poi ad un atteggiamento di sfiducia nel futuro e nelle possibilità di riscatto, ad una sorta di apatia. Va tuttavia precisato che si tratta di atteggiamenti generati dalla povertà e non sono causa della condizione di disagio, come talvolta viene affermato da alcuni operatori. La sfiducia, l’apatia, talvolta, non consentono di affrontare attivamente i problemi e facilitano uno stile di vita passivo, basato sull’assistenzialismo. In particolare gli operatori ci raccontano di persone che vivono progettando la loro vita e il loro futuro in base agli aiuti che possono ricevere dallo Stato, dalla Caritas, da altri enti del terzo settore. Figure di uomini e donne che la mattina escono e girano per prendere gli aiuti che trovano, accontentandosi e adattandosi alle situazioni. Alcuni operatori evidenziano però che l’assistenzialismo è una conseguenza di un sistema che, talvolta, propone misure dettate dalle emergenze che si susseguono e non consentono di strutturare percorsi e strumenti che richiedono più tempo ma che potrebbero forse garantire maggiore efficacia.  

Fig. 2 Gli elementi che alimentano la povertà intergenerazionale

  

Come arrestare la trasmissione della povertà intergenerazionale?

L’indagine ha permesso di individuare alcuni elementi per costruire approcci efficaci al fine di contrastare la povertà intergenerazionale. Innanzitutto, appare evidente che in questi casi di povertà transgenerazionale, quindi incancrenita, non sembrano sufficienti solo le politiche sociali in essere per quanto indispensabili nel percorso verso l’autonomia. Dall’analisi si sono rivelate azioni efficaci quelle che ruotano intorno a tre verbi accomunate dal filo rosso della relazione: ascoltare, accompagnare, dare fiducia alle persone. Una relazione che sia capace di dare speranza, fiducia, che lenisca la solitudine, capace di dare sguardi diversi e sostegno per affrontare le difficoltà quotidiane. Azioni che avviano un processo di cambiamento di vita per spezzare la catena della trasmissione della povertà. Tuttavia non è scontato e non sempre possibile: spesso si è travolti dall’emergenza della quotidianità, della soddisfazione dei bisogni materiali, dalle difficoltà di approccio con le persone che non permette di dedicare tempo, spazio. Nelle storie con esito positivo di riscatto o almeno di miglioramento delle condizioni socio-economiche è stato necessario mettere in campo accompagnamenti costanti e duratori, prevedere un tempo lungo. Funzionali sono state le attività di sviluppo di comunità per attivare una sorta di sostegno comunitaria, non delegato solo agli operatori e al contempo si abbia modo di costruire nuove relazioni. Dalle storie emerge quanto sia importante nella strada verso l’autonomia e nel cammino verso l’acquisizione di consapevolezza delle proprie risorse, avere la possibilità di partecipare più attivamente alla vita sociale della comunità. In alcuni casi, avere avuto la possibilità di mettersi a disposizione della comunità per aiutare i meno fortunati o la comunità in generale, ha permesso di rileggere l’esperienza di povertà e di difficoltà vissuta sulla propria pelle, di metterla a servizio degli altri, di dare dignità a vissuti, a traumi che nemmeno si ha il coraggio di guardare, di rendere generativa la povertà, di essere portatori di speranza per chi si trova in condizioni di difficoltà. Infine, per contrastare la povertà ereditaria sono stati individuate alcune possibili piste di lavoro: supportare le famiglie attivandosi per fornire punti di riferimento alternativi e sostegno a lungo termine; favorire spazi di incontro in luoghi diversi dal quartiere di appartenenza per offrire la possibilità di confrontarsi, di conoscere, di acquisire consapevolezza sui propri diritti; sperimentare delle prese in carico ad hoc che valorizzino la relazione di fiducia e il sostegno nel tempo; attivare le comunità per animare in termini di corresponsabilità e di inclusione; intervenire in modo specifico e mirato nella lotta contro la povertà educativa;  supportare gli operatori e i volontari che quotidianamente incontrano la povertà intergenerazionale e si confrontano con la frustrazione di gestire casi complessi, e chiedono maggiore cura di chi si prende cura, più formazione sul tema e sostegno nella lettura dei casi specifici per rigenerare la “speranza creativa” la capacità di attivare la creatività nel supporto alle persone in povertà, una creatività applicata nei modelli di sostegno, nell’erogazione dei servizi, nelle politiche sociali, negli strumenti che dovrebbero passare più frequentemente dal concetto di bellezza, da linguaggi diversi, capace di ritrovare temi quali il riscatto sociale, il bene comune, la coesione sociale.

  1. L’anello debole. Rapporto 2022 su povertà ed esclusione sociale in Italia, Caritas Italiana 2022

Commenti

Buongiorno,
ho letto con vivo interesse l’articolo “la povertà intergenerazionale”. Lavorando da oltre vent’anni in un servizio sociale di territorio, riscontro oggi la necessità di prendere in carico situazioni di minori i cui genitori – anni addietro – erano a loro volta in carico ai servizi. Ho seguito la situazione di un’anziana il cui figlio era seguito dai servizi, quindi la figlia del figlio, e ora la neonata, “bisnipote” dell’anziana. Quattro generazioni … e agli atti dei nostri archivi, interessantissima documentazione sulla storia famigliare. Chiedo cortesemente se sia possibile avere ulteriore documentazione relativa a questa importante ricerca da Voi condotta, o eventuale altro materiale relativo a questa tematica di disagio sociale che si perpetua nel tempo. Grazie per l’attenzione. Cordiali saluti.

Gentile Evelyn,
grazie per il suo commento. Troverà altri articoli sul tema su questo stesso sito. Può fare una ricerca tramite parole chiave. In particolare, l’articolo da lei segnalato fa parte di una raccolta (che stiamo via via pubblicando) tratto dal recente rapporto Caritas:
“L’anello debole, il XXI Rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale”. Gli articoli, una volta pubblicati tutti, verranno raccolti in un nuovo Punto di Welforum. Trova più materiale e l’intero rappoporto sul sito della Caritas:
https://www.caritas.it/presentazione-del-rapporto-2022-su-poverta-ed-esclusione-sociale-in-italia/