Dimissioni protette: ospedale chiama territorio


Sergio Pasquinelli | 11 Ottobre 2023

I bisogni di assistenza non sempre si esauriscono dopo un ricovero ospedaliero.

Una volta superata la fase acuta della malattia, un paziente fragile ha il diritto di continuare a ricevere assistenza (sanitaria e sociale) anche fuori dall’ospedale se al momento della dimissione presenta disabilità, ha difficoltà a badare a sé stesso, ha necessità di medicazioni, riabilitazione e monitoraggio periodico.

Si parla in questi casi di «dimissione protetta», garantita con interventi di intensità diversa: primariamente cure domiciliari (mediche, infermieristiche, sociali), ricovero in Rsa, cure palliative in hospice o a casa, cure riabilitative e intermedie presso strutture specializzate. L’ospedale dove il paziente è ricoverato valuta il grado di autonomia cognitiva e funzionale del paziente, i suoi bisogni sociali e sanitari, e si mette in contatto con i servizi del territorio, il medico di base, la famiglia dove presente, per organizzare un ritorno a casa accompagnato.

Un LEPS

Di dimissioni protette si parla da almeno vent’anni. Recentemente esse sono diventate un LEPS, ossia un Livello essenziale di prestazione sociale. Come tale andrebbe garantito su tutto il territorio italiano, da tutti i Comuni, singoli e associati, in stretto raccordo con le Asl. Lo sono a partire dalla legge 234, articolo 1, comma 170, del 2021.

Il “Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023” ne definisce contenuti, obiettivi, modalità di accesso, professioni coinvolte, destinatari (pag. 59 e successive). Riguardo quest’ultimo punto, i destinatari, il Piano li limita alle persone anziane: un aspetto discutibile in quanto le dimissioni protette non dovrebbero avere limiti di età, ma lo scopo di sostenere situazioni fragili, croniche, comunque complesse, che attraversano diverse fasi della vita. La Missione 5 del Pnrr, Componente 2, Linea 1.1.3 “Rafforzamento dei servizi sociali a favore della domiciliarità”, ne finanzia lo sviluppo e l’applicazione nei territori (e sono molti) che si sono candidati su questa linea di finanziamento.

Interessante richiamare i risultati attesi, particolarmente ambiziosi, che emergono da questi documenti. Tre in particolare:

  1. contribuire a ridurre il numero dei ricoveri reiterati presso i presidi ospedalieri;
  2. favorire il decongestionamento dei Pronto Soccorso liberando risorse economiche, professionali e strumentali che possono essere utilizzate per la risposta al bisogno assistenziale delle persone fragili, contribuendo a rendere più efficiente ed efficace la spesa sanitaria a partire da quella ospedaliera;
  3. rafforzare la coesione e l’inclusione sociale delle persone fragili e anziane nella vita della comunità di appartenenza.

La realtà dei fatti

La continuità di assistenza dall’ospedale al territorio fino al domicilio è anche un diritto incluso nei Lea (i Livelli essenziali di assistenza della sanità), che però rimane ampiamente incompiuto. Di fatto abbiamo informazioni molto limitate su quante dimissioni protette vengono effettivamente realizzate, con che tempi e modalità. Dati e opinioni raccolte da un insieme di fonti territoriali ci restituiscono una realtà ancora limitata in termini di numeri, estremamente disomogenea, sicuramente più arretrata nel Sud Italia. Le difficoltà sono antiche, e riguardano il nodo dell’integrazione sociosanitaria, ampiamente irrisolto nel nostro Paese. La nuova Commissione di monitoraggio dei LEPS insediatasi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali fornirà, ci si augura in tempi ragionevoli, un quadro nazionale completo con dati certi.

Dopo l’emergenza Covid si è cercato di irrobustire la sanità territoriale, con esiti ancora a dir poco incerti. Il Pnrr ha puntato molto, oltre che sulle Case della Comunità, sulle Centrali Operative Territoriali (COT), inizialmente previste nel numero di seicento, successivamente ridotte a 524, da realizzarsi entro il 2024. Si tratta di “un modello organizzativo che svolge una funzione di coordinamento della presa in carico della persona e raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali: attività territoriali, sanitarie e sociosanitarie, ospedaliere e dialoga con la rete dell’emergenza-urgenza”1. Per le dimissioni protette, le COT dovrebbero avere un ruolo cruciale. In gergo, centri di transitional care deputati a fare incontrare la domanda di assistenza con le relative disponibilità, pubbliche o private.

Il monitoraggio della Missione 6 del Pnrr svolto dalla Fondazione Openpolis registra il fatto che siamo fermi al 50% nella realizzazione degli obiettivi su questa linea di attività. Una situazione ancora molto arretrata (non è detto peraltro che una COT “realizzata” sia effettivamente e pienamente operante) che fa il paio con le grandi difficoltà applicative che incontra il DM 77/2022, il Decreto del Ministero della Sanità che doveva dare una svolta alla sanità di territorio, con al centro le “Case della Comunità”2.

Molte esperienze territoriali ci dicono che il fulcro di un buon sistema di dimissioni protette sta nella costituzione di una governance di sistema, che lavori sulla convergenza tra enti, soggetti e professioni diverse: essenzialmente che costruisca un’alleanza tra ospedale, medicina di base, servizi sociali e famiglie, come visualizzato nel grafico. Senza accordi, regolamenti, protocolli di intesa, che costruiscono le basi di questa alleanza, a livello di Ambiti territoriali e di Distretti, il rischio è quello di rimanere su un piano rimane aleatorio e volatile.

Non un tema marginale

A fronte dei giganteschi problemi che sta attraversando la sanità pubblica nel nostro Paese, problemi anzitutto di accessibilità e di equità, occuparsi di dimissioni protette potrebbe sembrare un’attenzione marginale, l’immagine dell’orchestrina che suona sul Titanic che affonda. Ma non è così.

Le dimissioni protette sono un elemento qualificante una sanità davvero di prossimità, uno fra i molti, certo, ma non meno importante di diversi altri. Tanto più diffuse e coordinate saranno, quanto più gli stessi servizi sapranno ridurre l’imprevisto. Tutelare le dimissioni dall’ospedale vuol dire evitare alle famiglie le pene di un welfare fai-da-te, attraverso la protezione di una rete di servizi che si occupa del benessere collettivo. Per essere efficaci occorrono territori adeguatamente dotati di servizi, aperti, attrezzati all’emergenza. In tanti casi si tratta ancora di un obiettivo da raggiungere.

  1. Si veda il quaderno curato da Franco Pesaresi qui.
  2. Ne ho parlato qui.