Il ruolo delle professioni sociali nell’emergenza Coronavirus


Giovanni Cellini | 26 Marzo 2020

In un momento di crisi e di emergenza come quello del Coronavirus, che tutti stiamo vivendo, anche le professioni sociali si trovano a dover affrontare situazioni imprevedibili fino a poche settimane fa. Le persone anziane, quelle più fragili e vulnerabili in questi giorni terribili, ci dicono di sentirsi in un altro tempo, quello della guerra, in cui erano poco più che bambini. Restrizioni, paura di morire, incertezza sul domani, sono questi alcuni dei ricordi che affiorano. L’immagine della guerra è molto forte, forse eccessiva per alcuni di noi, ma comunque ci è utile per comprendere e riflettere.

 

La quotidianità lavorativa ci dice che tanti professionisti che operano nel sistema dei servizi sociali si stanno mettendo in gioco, stanno fronteggiando le difficoltà di queste settimane, ognuno con le proprie competenze, con il proprio impegno, con il proprio spirito d’iniziativa.

Come assistente sociale mi sento di riportare la voce di tanti colleghi, pensando a uno degli imperativi fondamentali di questo momento del Paese: tenere conto, da un lato, delle regole a cui tutti i cittadini devono attenersi per il bene collettivo e per il diritto alla salute di tutti (prima fra tutte evitare il più possibile gli spostamenti da casa); coniugarle, d’altro canto, con quello che io posso fare per portare avanti, almeno in parte, il mio lavoro.

Quello che ho osservato è che, nel far fronte all’emergenza, i colleghi hanno reagito mettendo a punto strategie che, da una parte, permettano di garantire le prestazioni essenziali, dall’altra, rafforzino la coesione interna. Nei momenti emergenziali per l’assistente sociale, come per tutte le professioni di aiuto, è importante non rimanere fossilizzati sulle procedure abitualmente in uso nei servizi, occorre flessibilità, intraprendenza e creatività per ragionare su come poter essere utili utilizzando gli strumenti limitati che in questo momento si hanno a disposizione.

 

Ci si è attrezzati, in pochissimo tempo, con lo smartworking, che si alterna con il lavoro in presenza – ridotto al minimo – e che sta coinvolgendo oggi tanti professionisti: giorno dopo giorno si stanno reinventando strumenti di lavoro, sperimentando nuove pratiche, nuovi canali di comunicazione. Si utilizzano strumenti telematici, pc e/o smartphone, attraverso i quali si fornisce ascolto, si mantengono i rapporti con le persone seguite e con i colleghi, si porta avanti il lavoro interprofessionale fra i diversi servizi. Anche a distanza è possibile avere confronti e lavorare nella solidarietà. Responsabili e colleghi dei servizi sociali riportano che nuove collaborazioni si sono avviate, altre si sono consolidate, ad esempio con volontariato e Protezione civile.

L’uso degli strumenti telematici ha superato alcune resistenze e scetticismi e sta avendo valutazioni positive da parte degli operatori, è costruttivo e sta permettendo di cogliere opportunità nuove e percorrere strade inesplorate.

 

Ovviamente i problemi non mancano, come le preoccupazioni per le aperture al pubblico, per la corretta ricezione di documentazione indispensabile per non interrompere i necessari procedimenti amministrativi.

Si percepisce dal confronto con i colleghi e anche da prese di posizione dell’intera comunità professionale, che è molto sentita l’importanza di contribuire a diffondere informazioni corrette; il segretariato sociale, talvolta un po’ “dimenticato”, trova in questi giorni così difficili uno spazio vitale ed indispensabile.

Al centro, in questi giorni di quarantena che possono allontanare o comunque rendere più difficili gli aiuti, c’è la preoccupazione per i più deboli, come le persone sole, quelle a rischio di violenza domestica, quelle che hanno problemi di salute fisica e mentale (è di questi giorni la notizia che a Torino i TSO hanno stanno avendo un’impennata).

Poi ci sono i percorsi che rischiano di interrompersi o comunque di subire delle “deviazioni” impreviste e difficili da affrontare. Si pensi, ad esempio, alle conseguenze della sospensione degli incontri in luogo neutro per i minori, dell’educativa territoriale per minori e disabili, delle attività dei centri diurni (la Regione Piemonte, fra le altre, ha ormai reso pubbliche delle indicazioni per affrontare l’emergenza).

 

Traendo spunto dagli ambiti operativi dei quali chi scrive ha conoscenza più diretta, è inevitabile chiedersi cosa accade per i percorsi socio riabilitativi. Nel settore della giustizia penale la sospensione è uno scenario probabile, a volte per ragioni oggettive, come quella di non poter andare a lavorare, che fa venire meno una delle basi di un percorso alternativo al carcere o di probation. Il lavoro dell’assistente sociale deve necessariamente fronteggiare problemi come questo; il lavoro di relazione, il sostegno, il prefigurare con la persona la ripresa del percorso interrotto, la ridefinizione di un progetto, richiedono oggi all’assistente sociale prospettive ed approcci diversi da quelli di ieri.

Ci sono poi le reti primarie delle persone; pensiamo ai familiari delle persone detenute, per i quali sono stati sospesi i colloqui in carcere con i congiunti. Anche qui l’informazione e il sostegno, nella fondamentale collaborazione con gli educatori del sistema penitenziario, assumono un ruolo fondamentale: ad esempio fare arrivare ai detenuti (attraverso i familiari che hanno visto interrompere i colloqui di persona, ma intensificare le telefonate) il messaggio su quanto si sta facendo per fronteggiare l’emergenza per non interrompere percorsi finalizzati al reinserimento nel contesto socio familiare.

Le organizzazioni hanno cercato con indicazioni formali (decreti, circolari, etc.) strade per velocizzare alcune procedure, ad esempio al fine di permettere a coloro che si trovano sul finire della pena di liberare il carcere (altro luogo dell’emergenza, oggi più di prima) attraverso l’accesso alla detenzione domiciliare.

 

Fra i tanti servizi che lavorano nelle difficoltà affrontando situazioni impensabili fino a poche settimane fa, si possono citare i Ser.D.. Questi servizi hanno ridotto gli interventi di routine per poter garantire quelli indifferibili, risparmiando ore al personale delle A.S.L. (medici, infermieri, anche assistenti sociali ed educatori) che dovrà andare a sostituire in ospedale il personale in quarantena perché maggiormente esposto o già colpito dall’infezione. Ad esempio gli assistenti sociali e gli educatori potranno occuparsi di quegli aspetti del triage che non sono strettamente medici. Anche qui serve flessibilità, in una realtà in cui i ruoli gerarchici sembrano essere “sospesi” ed in cui si riscopre una solidarietà che, nella disperazione, è straordinaria.

 

Nell’emergenza più che mai si è concentrati sul “qui ed ora”, occorre mettere da parte tutto ciò che è differibile. Eppure è importante pensare al dopo, come ha ben sottolineato il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine Assistenti sociali.

Ci sarà un problema complessivo di tenuta del sistema dal punto di vista delle risorse. Ad oggi non possiamo prefigurare i danni e le conseguenze sugli scenari futuri, sia economici sia di natura sociale e sanitaria. Certamente occorrerà fare fronte ad una situazione di difficoltà e di gravi carenze. Si può ipotizzare, ad esempio, di poter contare su fondi speciali nel momento della conclusione della fase emergenziale, quando (e se) si potranno riaprire e far tornare alla normalità i servizi alla persona.

 

Tornando all’immagine iniziale, quella della guerra, bisognerà prima o poi pensare alla ricostruzione. La storia del servizio sociale ci dice molto in proposito. Forse le reazioni e gli atteggiamenti proattivi rispetto a quanto sta accadendo potranno essere utili; occorrerà fermarsi per ripensare alla professione, recuperando anche la dimensione “umana” del tempo. Forse il fronteggiare l’emergenza sta facendo riscoprire dei valori e un agire professionale che la sclerotizzazione burocratica e il lavoro frenetico hanno sovente messo in secondo piano. Forse questo periodo così critico aprirà gli occhi e ci farà “vedere” risorse spesso messe in ombra.

 

Si ringraziano per le loro testimonianze la D.ssa Chiara Grazia Capussotti e la D. ssa Alessandra Donato.


Commenti

Riflessione molto interessante e incoraggiante. Grazie per i preziosi stimoli in un momento lavorativo che parrebbe sospeso e fermo ma invece ribolle di pensieri nuovi.

grazie per questa riflessione. Questo difficile periodo ha portato anche me ed il mio servizio(UEPE) a sperimentare nuovi strumenti mai utilizzati e ad avere più tempo per curare la relazione interpersonale con l’utenza senza troppo fretta.