Emergenza Coronavirus: più che raddoppiato il numero dei “nuovi poveri”


Federica De Lauso | 27 Maggio 2020

A distanza di circa due mesi dall’inizio del lockdown deciso per l’Italia, le conseguenze sociali dell’emergenza Covid-19 sembrano chiare: nel nostro Paese si registra un aumento della povertà a cui la rete delle Caritas diocesane sta tentando di dare una risposta, assieme alle tante altre realtà del terzo settore attive sul territorio nazionale. Chi era povero in passato si ritrova oggi inevitabilmente più deprivato, mentre chi si collocava appena al di sopra della soglia di povertà (le famiglie che l’Istat definisce “quasi povere” secondo i parametri di calcolo della povertà relativa) inizia a non disporre del necessario per vivere.

 

Caritas italiana, al fine di monitorare e mappare le fragilità e i bisogni dei territori in questa fase inedita ed emergenziale, dal 9 al 24 aprile ha realizzato una rilevazione nazionale che ha coinvolto le Caritas diocesane sparse su tutto il territorio nazionale, da sempre a contatto con i più poveri e vulnerabili. I dati che emergono da questa prima indagine (a cui ne seguirà un’altra nel mese di giugno) sono molto preoccupanti, se si pensa che in queste settimane di crisi sanitaria e di blocco delle attività, “i nuovi poveri” incontrati sui territori sono stati oltre 38.500; un dato sicuramente sottostimato in termini complessivi, visto che riferito a circa la metà delle Caritas diocesane presenti in Italia (esattamente 101 su 218).

Dai mesi di pre-emergenza ad oggi si è registrato un aumento del 105% delle nuove povertà, che si sommano a quelle già note, e in alcuni casi croniche, conosciute da tempo. Questo trend appare ancor più grave se si pensa che avviene dopo anni di calo ininterrotto dei nuovi accessi registrato a partire dal 2016 (cfr. Rapporti Caritas Italiana su povertà ed esclusione sociale, www.caritas.it).

Il dato sull’incremento inoltre, pur essendo trasversale da Nord a Sud del Paese, appare più marcato nelle regioni del Mezzogiorno dove le nuove prese in carico registrano un +153%. In queste regioni, quelle di Sud e Isole, lo ricordiamo si concentra quasi la metà di tutti i poveri assoluti, i livelli di disoccupazione sfiorano il 18% (a fronte di un dato nazionale del 10%) e l’incidenza del lavoro irregolare risulta molto più marcata. Ecco dunque profilarsi il rischio di una crisi che può diventare un moltiplicatore delle disuguaglianze, esacerbando le fratture e le differenze sociali preesistenti, anche in termini di divario Nord- Sud.

 

Tra i “nuovi volti” incontrati dalle Caritas ci sono italiani e stranieri, giovani adulti ma anche anziani soli, famiglie con minori, nuclei con disabili. Si tratta di persone che prima dell’emergenza, potevano contare magari su un impiego precario, stagionale o irregolare; o ancora piccoli commercianti, lavoratori autonomi, ma anche persone che versavano già da tempo in uno stato di disoccupazione. A loro si aggiungono i cassaintegrati o liberi professionisti in attesa dei trasferimenti monetari di protezione e assicurazione sociale stanziati a marzo, non ancora accreditati.

A fare la differenza in questo particolare momento di “attesa” è la possibilità o meno delle famiglie di “attutire il colpo” attingendo ai propri risparmi, evitando così lo scivolamento in uno stato di indigenza. E in tal senso purtroppo i dati Istat dimostrano che in Italia quasi i due terzi dei nuclei, esattamente il 62%, non riesce ad accantonare alcunché a fine mese e che il 36% non è in grado di far fronte ad una spesa imprevista di 800 euro circa.

 

Il nostro Paese, se in passato si connotava infatti per essere una nazione di “risparmiatori” oggi risulta profondamente cambiato (a sferzare un duro colpo in tal senso è stata la grave crisi economica del 2008 i cui effetti sono ancora visibili). I dati OCSE ci collocano in fondo alla classifica dei paesi economicamente avanzati, con un tasso di risparmio netto delle famiglie del 2,5%, a fronte di una media europea del 6% (ben distanti dagli anni novanta quando l’incidenza dei risparmi superava il 15%). A fare da sfondo, una crisi occupazionale che, in varie forme, continua ad attanagliare il paese.

E in tal senso non c’è solo il problema della disoccupazione (quasi raddoppiata dagli anni che anticipano il 2008) ma anche quello della qualità del lavoro, data la forte crescita, del part-time involontario, dei lavori intermittenti, sottopagati e precari. La nuova categoria dei working poor è forse la prova più evidente di un lavoro che spesso non riesce a fornire una adeguata protezione sociale.

La nostra Italia non arriva dunque preparata a questa nuova sfida, che segue anni di stagnazione economica, di consolidamento della povertà assoluta, sempre più “normalizzata” (a tal riguardo a breve saranno disponibili le nuove stime dell’Istat), e di inasprimento delle disuguaglianze sociali (per l’Italia, lo ricordiamo, l’indice di concentrazione Gini che misura i livelli di disuguaglianza di reddito è tra i più alti d’Europa).

 

Le Caritas diocesane in queste settimane di emergenza sociosanitaria hanno dunque già registrato un incremento delle situazioni di povertà e di disagio economico (lo attesta il 98% dei territori), quindi un aumento di famiglie che sperimentano difficoltà materiali legate alla totale o parziale assenza di reddito. Difficoltà di risorse, che si manifestano anche nell’impossibilità di poter accedere alla strumentazione utile per la didattica a distanza dei figli, sia in termini di connessione wi-fi, che di apparecchiature (quindi tablet o pc). Passano anche da qui le storie di fragilità e di deprivazione vissute da bambini e minori che vivono in famiglie in uno stato di indigenza; forme di disuguaglianza sociale che afferiscono l’ambito educativo, e che sommate a tante altre, andranno probabilmente a condizionare il futuro di questi ragazzi, innescando nei casi più gravi circoli viziosi di povertà. Perché spesso, lo sappiamo, la povertà si tramanda di padre in figlio; questo iniziano a testimoniarlo alcune Caritas diocesane, andando a confermare i dati della letteratura sociologica e della statistica pubblica, che parlano di una società, quella italiana, a bassissima mobilità sociale (oggi più di ieri).

 

Il disagio di queste settimane, tuttavia, non è solo di ordine materiale. Accanto alle fragilità economiche o occupazionali, i territori evidenziano infatti anche un accentuarsi delle problematiche familiari, in termini di conflittualità di coppia, violenza, difficoltà di accudimento di bambini piccoli o di familiari colpiti dalla disabilità, conflittualità genitori-figli (questo incremento viene registrato dal 69,3% dei territori).

Pensiamo a cosa può aver significato questo tempo di lockdown nei contesti familiari dove, appunto, si vivono situazioni di maltrattamenti e violenza, o anche le difficoltà sperimentate dalle famiglie toccate dalla disabilità, private del sostegno socio-assistenziale a domicilio o del supporto dei centri diurni. Aumentano poi le problematiche di salute (soprattutto in termini di disagio psicologico e psichico), le vulnerabilità connesse alla solitudine, ansie, paure, senso di disorientamento e incertezza sul futuro. Una povertà quindi dalle mille sfaccettature.

 

Di fronte ai tanti bisogni e le tante vulnerabilità, quali le richieste esplicitate alle Caritas diocesane? Si evidenzia soprattutto un aumento delle domande di beni e servizi materiali (in particolare cibo e beni di prima necessità), di sussidi ed aiuti economici (a supporto della spesa o del pagamento di bollette e affitti), del sostegno socio-assistenziale (assistenza a domicilio, compagnia, assistenza anziani); cresce anche la domanda di ascolto e di lavoro. Ci sono poi le domande di accoglienza e alloggio espresse per lo più dalle persone senza dimora. Anche in questo caso risuonano in modo evidente le differenze di ciò che uno stesso messaggio, “state a casa”, può aver significato per chi una casa non la possiede e si trova a vivere in strada a maggior rischio contagio.

La rete Caritas ogni anno incontra e supporta circa 28mila persone senza dimora con storie multiproblematiche alle spalle. In questo periodo di emergenza sono state tante le iniziative attivate specificatamente per loro, dal cibo da asporto, ai servizi residenziali rimodulati secondo gli standard di sicurezza (alcuni di questi sono stati creati ex-novo proprio durante queste settimane), così come gli interventi di sorveglianza sanitaria in strada. Sempre in termini di richieste di aiuto, si è registrato poi una forte domanda di dispositivi di protezione individuale, ma anche di orientamento e di supporto rispetto alle misure stanziate a livello locale e nazionale, perché a volte la povertà si esprime anche in un basso livello di alfabetizzazione culturale che non permette di orientarsi in modo autonomo nella complessità di questioni amministrative e burocratiche.

 

Sui territori gli interventi realizzati sono stati numerosi e diversificati. Registriamo in particolare l’attivazione di nuovi servizi legati all’ascolto e all’accompagnamento telefonico che hanno supportato in questa fase oltre 22mila famiglie; la fornitura dei pasti in modalità da asporto o con consegne a domicilio; la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e igienizzanti (di cui hanno beneficiato circa 290mila persone); le iniziative a supporto della didattica a distanza (fornitura di strumenti informatici e di connessione a internet),  l’acquisto di farmaci e di prodotti sanitari.  A questi servizi pensati per l’emergenza, si aggiungono poi le attività ordinarie che sono state in qualche modo rafforzate: l’assistenza socio-assistenziale, le attività di orientamento, quelle di empori/market solidali, mense e centri di ascolto riorganizzati anch’essi nel rispetto delle nuove misure di sicurezza. Sono state molto significative anche le tante sinergie e azioni congiunte portate avanti sui territori con parrocchie, soggetti del terzo settore, e amministrazioni comunali.

 

Tra le diverse iniziative è bene citare, poi, anche alcune esperienze inedite, che vanno al di là di una risposta al bisogno materiale, come ad esempio quella denominata Message in a Bottle, ideato per far recapitare ad anziani o senza dimora, assieme ai pasti da asporto, messaggi e poesie da parte della cittadinanza; o ancora il progetto #TiChiamoio, nato per offrire vicinanza, seppur solo telefonica, alle persone accompagnate prima dell’emergenza, cercando così una modalità per condividere fragilità, preoccupazioni e restituire un po’ di speranza. Questo perché appunto come abbiamo visto i bisogni legati alla pandemia non sono solo di natura economica.

 

Il monitoraggio realizzato ha quindi messo in luce una vivacità di iniziative e opere realizzate grazie alla disponibilità di decine di migliaia di volontari e operatori che, da nord a sud del Paese, non hanno fatto mancare il loro impegno quotidiano, la loro prossimità e generosità verso i più poveri, anche durante questa pandemia.

È possibile dunque cogliere un aspetto positivo di queste settimane difficili: la grande partecipazione e la solidarietà espresse in tutte le nostre comunità. I dati raccolti evidenziano che nel 60% delle diocesi italiane, si è registrato un evidente aumento dei giovani volontari Caritas, che hanno scelto di dare il proprio contributo in questo periodo delicato; questo ha consentito anche di far fronte al calo degli over 65, rimasti inattivi per motivi di prudenza e sicurezza. La grande attivazione giovanile rappresenta un segnale di speranza di un’Italia che non si arrende e che desidera ripartire. Per farlo davvero però, dobbiamo essere pronti a valorizzare e tutelare proprio le nuove generazioni, evitando così, come accaduto per la crisi del 2008, che diventino le più penalizzate da questa nuova emergenza sociale ed economica.


Commenti

Grazie a Federica De Lauso per questo contributo.
Personalmente, per lo meno nella mia città, sono stata colpita dalle richieste di aiuto da parte di lavoratrici e lavoratori in nero che non avevano mai, in passato, avuto bisogno di sostegno. Significa che il lavoro nero, purtroppo, è strutturale alla nostra economia