Qualche riflessione e proposta sul decreto legge “Cura Italia”


Maurizio Motta | 24 Marzo 2020

In G.U. n. 70 del 17 marzo 2020 è stato pubblicato il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, cosiddetto “Cura Italia”, che contiene una serie di misure di sostegno per fronteggiare le difficoltà economiche derivanti dal Coronavirus. Di seguito si propongono sia esigenze di chiarimento che possibili proposte rispetto al testo del decreto, considerando che deve muoversi tenendo presente contestualmente due difficili orizzonti: rendere efficaci gli interventi con rapidità, ed evitare che non riescano ad accedervi (o non siano previsti tra i fruitori) le persone/famiglie più deboli. Richiamiamo qui alcuni articoli del decreto raggruppandoli intorno a diverse tematiche.1  

Supporti ai servizi e agli operatori

Accanto agli operatori e servizi del sistema sanitario sono in attività (ed è bene che lo rimangano) anche operatori e servizi del settore socioassistenziale (facenti capo ai Comuni o a loro Enti gestori). Sarebbe dunque opportuno che anche a questo comparto fossero estese misure che il decreto prevede invece per ora solo per operatori sanitari e ASL. E non si tratta di un’esigenza di colore corporativo, ma della necessità di dare sostegni a tutti i servizi del welfare che hanno funzioni di “prima linea”, e che occorre non collassino. Particolarmente importante sarebbe la possibilità di un potenziamento delle risorse finanziarie dedicate anche ai servizi socio-assistenziali locali (per il tramite delle Regioni), analogamente a quanto prevede per il SSN l’articolo 18, anche se certo in misura decisamente inferiore. Va considerato che sono necessari, proprio in questa fase, ampliamenti degli interventi a domicilio, in particolare per disabili e non autosufficienti (anche in conseguenza delle scelte più avanti ricordate di chiusura dei servizi diurni). Ampliamenti che devono essere attivati dalle Regioni, e più realistici se sostenuti da risorse mirate. Altri articoli che meritano di non dimenticare il comparto socio-assistenziale sono i seguenti:

  1. È previsto incremento delle risorse per il lavoro straordinario (art.1, comma 1) e autorizzazione a Regioni e Asl per nuovi contratti per potenziare le reti di assistenza territoriale (art. 3 comma 1); ma vi sono anche molti servizi socio-assistenziali che devono impegnare più a fondo risorse umane, basti pensare all’assistenza domiciliare per non autosufficienti. Analoga estensione al comparto socio-assistenziale potrebbe essere introdotta all’articolo 12, comma 1, che prevede la possibilità di trattenere al lavoro operatori sanitari anche in deroga alla disposizione per il collocamento in quiescenza. Peraltro un’estensione di misure a lavoratori non solo della sanità è espressa all’articolo 16, comma 1 (su quali possono essere i dispositivi di protezione individuale).
  2. L’articolo 5, comma 5, prevede che i dispositivi di protezione individuale siano forniti in via prioritaria ai medici e agli operatori sanitari e sociosanitari. Sarebbe opportuno aggiungere “ed agli operatori dei servizi socioassistenziali che gestiscono contatto col pubblico” (basti pensare al lavoro con i senza fissa dimora).
  3. Il bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting è aumentato a 1.000 euro per alcuni profili di operatori sanitari dall’articolo 25 comma 3. Per i motivi sopra citati appare improprio non includere anche gli operatori dei servizi socioassistenziali, pur limitando a specifici profili (operatori sociosanitari e assistenti sociali) e funzioni (impegnati in assistenza domiciliare o nel rapporto con persone in condizioni di fragilità e deprivazione).

 

Sostegni ai lavoratori

  1. Il comma 2 dell’art. 22 esclude i datori di lavoro domestico dalla possibilità di trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro. Con il rischio di escludere dalla nuova tutela introdotta con questo articolo l’ampia platea degli/delle assistenti familiari (badanti).2
  2. L’articolo 63 introduce un bonus di massimo 100 euro per i lavoratori dipendenti (accreditato in automatico sullo stipendio), per lavoratori che hanno “un reddito complessivo da lavoro dipendente non superiore ai 40.000 euro”. Le osservazioni possono essere le seguenti: la misura introduce un beneficio che avvantaggia solo i dipendenti, e inoltre non è del tutto chiaro il suo scopo: visto l’importo del bonus è rapportato al numero di giorni lavorati in marzo, non consiste in una compensazione di perdite di redditi da lavoro (perché viene erogata anche per chi non ne ha avute), ma pare solo un “potenziamento” del compenso per giorni già lavorati (e anche già retribuiti). Inoltre questa è l’unico intervento condizionata ad una soglia di reddito (tema più avanti discusso), ma con riferimento al reddito da lavoro dipendente del singolo, senza tener conto del reddito che davvero definisce le risorse per il mantenimento, che è quello dell’intero nucleo familiare.

 

Sostegni ai genitori e famiglie

L’articolo 23 prevede estensioni ai congedi dal lavoro per impegni con i figli sino a 16 anni, o in alternativa un bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di 600 euro, erogato mediante il “libretto famiglia” già gestito dall’INPS per questo intervento. Possibili osservazioni:

  1. Sono esclusi adulti che hanno identici impegni con minori senza esserne genitori, ad esempio zii o tutori, ossia tutti coloro che vivono con minori privi di genitori.
  2. Il comma 7 prevede la fruizione anche da parte di affidatari, ma meriterebbe prevedere “con minori in affidamento, anche preadottivo”.
  3. La gestione del “libretto famiglia” è molto difficile (o impossibile) per persone fragili e con pochi strumenti (col rischio di una selezione arbitraria). Sul tema si vedano anche i nodi esposti al termine di questo articolo.

Tutte le indennità sono riconosciute solo “per il mese di marzo”. Ma cosa accade successivamente? Peraltro il decreto sarà convertito ben dopo la metà di marzo.

 

Rapporti con il Reddito di Cittadinanza

L’art. 31 prevede che tutte le indennità citate “…non sono riconosciute ai percettori di reddito di cittadinanza”. Il criterio si presta a queste osservazioni:

  1. Sarebbe opportuno chiarire se non possono essere riconosciute a “tutte le persone del nucleo anagrafico” che riceve il RdC, oppure solo alle persone in base alla cui presenza si è calcolato il RdC (visto che ne può escludere alcune). E se non possono essere riconosciute a persone/nuclei che ricevono la Pensione di Cittadinanza (invece del Reddito di cittadinanza), ad esempio un anziano che svolge attività professionali molto limitate ed è iscritto alla Gestione Separata INPS.
  2. Non sembra corretto che essere fruitori del RdC (e PdC) sia motivo sufficiente per essere esclusi da queste indennità, per tre motivi: perché il RdC può avere importi molto diversi (anche inferiori ai 600 euro del bonus per servizi di baby sitting), perché il RdC in ogni caso calcolerebbe tra i redditi la nuova entrata evitando per questa via eventuali improprie sovrapposizioni, perché i fruitori del RdC sono (o dovrebbero essere) proprio i nuclei più poveri, e le indennità sono previste come erogabili a tutti i nuclei senza limitazioni (anche se benestanti).
  3. L’articolo 40 sospende temporaneamente tutti gli obblighi per i fruitori del reddito di cittadinanza (per l’avvio al lavoro e nei Patti per l’inclusione sociale. Ma poiché l’obiettivo di questa sospensione (dichiarato nell’articolo) è solo quello di evitare la mobilità delle persone, si rischia di sospendere anche obblighi che non la implicano e che tuttavia sono importanti, come gli impegni di miglioramento nelle relazioni familiari ed educative previsto nel Patto per l’inclusione sociale. Meriterebbe dunque prevedere che questi specifici impegni permangano, anche se certo il monitoraggio della loro prosecuzione non può che essere sotto la responsabilità dei servizi locali, che vivono attualmente non poche difficoltà.

 

Reddito di ultima istanza

Viene istituito (con l’art. 44) il “Fondo per il reddito di ultima istanza” per lavoratori che in conseguenza del Covid-19 hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività o il loro rapporto di lavoro. Il decreto rinvia ad atti successivi la precisazione del funzionamento del fondo e della misura, tuttavia esiste il rischio di introdurre ulteriori problematiche segmentazioni negli interventi del welfare (problema già oggi assai rilevante) con l’attivazione di un nuovo fondo e di un nuovo intervento dedicato a specifiche categorie. Più opportuna pare la prospettiva di potenziare misure esistenti, anche adattandole alla contingenza. Peraltro le misure del decreto troppo poco dicono proprio sui lavoratori che hanno già perso il lavoro (ad esempio per mancato rinnovo del contratto).3 Francamente infelice appare la denominazione “di ultima istanza”, non solo perché riecheggia tinte drammatiche (e proprio in questo periodo, meglio evitare), ma anche perché ripropone il nome che un Governo di anni precedenti avrebbe voluto assegnare al reddito minimo contro la povertà, all’epoca non messo in pratica.  

Persone con disabilità

Tre questioni:

  1. L’articolo 47 prevede la sospensione delle attività di tutti i tipi di Centri diurni per disabili. Poiché è una misura con conseguenze molto gravi, specialmente per famiglie deprivate o senza autonome risorse, parrebbe opportuno nel secondo periodo del comma 1, all’attuale frase “L’Azienda sanitaria locale può, d’accordo con gli enti gestori dei centri diurni socio-sanitari e sanitari di cui al primo periodo, attivare interventi non differibili in favore delle persone con disabilità ad alta necessità di sostegno sanitario”: aggiungere dopo “di sostegno sanitario” le parole “o sociale”; e aggiungere dopo la fine del periodo questa ulteriore frase “L’Azienda sanitaria locale è temuta a concordare con gli enti gestori dei servizi sociali, d’intesa con gli enti gestori dei centri diurni socio-sanitari e sanitari, le necessità di non sospendere le attività per le persone descritte nel periodo precedente”
  2. Essendo chiuse le scuole, è caduta la possibilità inclusiva di avere a fianco un insegnante di sostegno, ma anche un educatore. Tuttavia la formazione a distanza non può funzionare in questi casi, e dunque sarebbe utile, come hanno suggerito alcune associazioni di advocacy, garantire un minimo di ore a domicilio, o un accompagnamento alle famiglie, anche tramite apposita modifica contrattuale tra enti gestori e cooperative che erogano il servizio.
  3. I permessi ex legge 104 sono 3 al mese per il lavoratore con disabilità ovvero per un caregiver. Il decreto (articolo 24) dispone che il numero di giorni “è incrementato di ulteriori complessive dodici giornate usufruibili nei mesi di marzo e aprile 2020”. Sembra chiarito che in totale i giorni di permesso nel bimestre siano complessivamente 3+3+12. Tuttavia non paiono coerenti al momento le indicazioni del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e quelle dell’INPS. Speriamo che il nodo interpretativo sia chiarito a breve.4

Affrontiamo, infine, tre questioni di tipo generale, che possono riguardare molti interventi.

 

L’informazione ai possibili fruitori

Come dimostrano molti interventi del welfare (incluso il Reddito di Cittadinanza) è decisamente troppo poco confidare che l’informazione sulle diverse opportunità arrivi a tutti i possibili fruitori solo tramite i media o i datori di lavoro. Molte famiglie e persone non sono raggiungibili in quel modo, e proprio le più deprivate e fragili. Dunque potrebbe essere utile valutare se potrebbero essere assunte iniziative come queste:

  • obbligo dei datori di lavoro (di qualunque dimensione aziendale) di informare i dipendenti tutti;
  • invio a cura dell’Inps (e non dei soli servizi sociali locali, perché assai difformi e in debolezza organizzativa) di una lettera a tutti nuclei familiari con ISEE inferiore a una soglia definita, che descriva le diverse opportunità fruibili;
  • predisposizione sul sito dell’Inps e del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali di una “guida” in linguaggio molto semplificato che descriva le opportunità. Ed invio a tutte le Regioni da parte del Ministero del vincolo ad informarne tutte le associazioni di volontariato (iscritte nei registri regionali) e le cooperative sociali, affinché la diffondano ai cittadini. Analoga comunicazione attivata dalle Regioni agli Enti gestori dei servizi sociali, ai Centri per l’impiego, ai Comuni singoli, all’Anci. E dal Ministero ai CAF accreditati come tali, ai Patronati sindacali, e a Poste Italiane.

 

Il supporto nelle procedure di accesso

Come è noto, un altro fattore che contribuisce a non far fruire degli interventi pubblici può essere la difficoltà nel presentare le richieste e nei meccanismi di accesso. Certo, riordini sul tema meriterebbero anche il ridisegno della dislocazione di funzioni periferiche, ad esempio valorizzando il ruolo dei Comuni (basti pensare al dibattito sullo spostamento avvenuto, nel passaggio tra il REI ed il Reddito di Cittadinanza del punto di primo accesso dai Comuni ai CAF /Poste /Inps). Si tratta di un tema che non va dimenticato, anche se ovviamente non è affrontabile entro una situazione di emergenza. Nell’emergenza invece, è prevedibile che richieste ed accessi agli interventi siano attuati con le modalità in essere, specialmente di accesso informatico all’Inps. Dunque per fronteggiare il problema che non tutti (e soprattutto i più deprivati e senza strumenti) possono o sanno usare modalità telematiche, intanto si potrebbe prevedere la possibilità del cittadino di utilizzare CAF, Patronati sindacali, Poste italiane e Comuni (singoli o associati) senza oneri per il cittadino per le procedure di accesso a tutte le misure. Questa scelta implica tuttavia l’assunzione di nuove funzioni per alcuni dei soggetti citati, e certo va valutata sotto il profilo della fattibilità. Importante anche un potenziamento del call center dell’Inps che da giorni fatica a rispondere.  

Eventuali selezioni / priorità in base alla condizione economia dei richiedenti

Il decreto non prevede per ora meccanismi di questo tipo, salvo per il bonus di massimo 100 euro per i lavoratori dipendenti previsto dall’art. 63, ma è opportuno non dimenticare il tema qualora la valutazione della condizione economica dovesse essere più pesantemente introdotta, sia per esigenze di razionamento delle risorse sia per puntare a una migliore equità distributiva. Le tre più diffuse modalità per valutare la condizione economica nell’accedere a prestazioni sono attualmente:

  1. La valutazione del reddito del singolo, o con riferimento al reddito annuo dichiarato ai fini Irpef, o a quello ricevuto da attività lavorative. Ma questa modalità non legge in alcun modo le risorse economiche davvero disponibili, che sono quelle dell’intero nucleo familiare, e che comprendono anche i patrimoni disponibili, mobiliari ed immobiliari.
  2. Per le più diffuse e costose erogazioni pubbliche a sostegno del reddito (pensioni/assegni sociali, maggiorazioni e integrazioni delle pensioni, erogate dall’Inps) si valuta la condizione economica dell’anziano e del solo suo coniuge (e dunque non di tutto il nucleo familiare), e si valutano solo i redditi e non i patrimoni mobiliari e immobiliari. Ciò produce iniquità distributive, con erogazioni di prestazioni che dovrebbero essere “per i poveri” anche a nuclei che poveri non sono.
  3. Valuta invece tutto il nucleo, e sia i redditi che i patrimoni, l’ISEE, che si usa per tutte le altre prestazioni sociali agevolate. Ma anche l’ISEE è un test dei mezzi che genera non poche criticità e iniquità distributive.5

L’ISEE ha subito modifiche importanti dal gennaio 2020, inclusa quella di poter far valere meglio da parte del cittadino (tramite l’ISEE “corrente”) il fatto che i suoi redditi al momento della richiesta di prestazione sono diminuiti rispetto al passato. Ma restano diverse criticità. Ad esempio i redditi e i patrimoni (mobiliari e immobiliari) entro l’ISEE devono essere quelli del secondo anno precedente la redazione dell’ISEE. E se si vuol produrre un “ISEE corrente”, perché il cittadino dichiara di avere redditi attuali che sono minori di quelli di due anni prima, non si possono comunque dichiarare i patrimoni attuali, ma solo quelli posseduti due anni prima. Dunque se si usa solo l’ISEE per valutare la condizione economica:

  • può essere una modalità già collaudata, anche se per il cittadino non è molto semplice né breve;
  • ma potrà accadere che le misure previste non siano fruibili da nuclei che adesso “sono poveri” ma nell’ISEE non lo sembrano. Ad esempio se un cittadino vuole fare un ISEE a maggio 2020, dovrà dichiarare i patrimoni mobiliari che possedeva al 31/12/2018, oppure in media nel 2018. Se nel 2019 ha dovuto pagare con quei risparmi il funerale del figlio o della moglie, oppure erode i suoi risparmi perché ha perso il lavoro, l’ISEE che ne ricava nel 2020 non ne tiene conto (anche se è un “ISEE corrente”), e viene calcolato come se i risparmi al 31/12/2018 fossero ancora presenti e disponibili.

Il momento attuale di emergenza apre quindi anche questa sfida: attivare nuovi interventi usando solo procedure e meccanismi vigenti (per motivi di urgenza), oppure cogliere l’occasione del momento anche per modificare strutturalmente alcuni meccanismi (come il RdC o l’ISEE) in quanto tali, peraltro considerando che l’attuale situazione rischia di non essere breve?

  1. Ricordiamo che rispetto al decreto su questo sito è già stato pubblicato il 19 marzo l’articolo di G. Marocchi “Cura Italia: i provvedimenti che riguardano il Terzo settore”.
  2. Sul punto vedi anche C. Saraceno “Cura Italia: bene ma fino a un certo punto”, Lavoce.info, 20.03.2020.
  3. Il rilievo è anche nel già citato articolo di C. Saraceno
  4. Uno specifico approfondimento è disponibile qui.
  5. Descritte ad esempio nell’articolo di M. Motta “ISEE 2020: meglio o peggio?”, pubblicato il 17.03.2020 su questo sito.